I, 2018/2

Barbara H. Rosenwein

Generazioni di sentimenti

Review by: Fernanda Alfieri

Authors: Barbara H. Rosenwein
Title: Generazioni di sentimenti. Una storia delle emozioni (600-1700)
Place: Roma
Publisher: Viella
Year: 2016
ISBN: 9788867285945
URL: link to the title

Reviewer Fernanda Alfieri - FBK-ISIG

Citation
F. Alfieri, review of Barbara H. Rosenwein, Generazioni di sentimenti. Una storia delle emozioni (600-1700), Roma, Viella, 2016, in: ARO, I, 2018, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2018/2/generazioni-sentimenti-fernanda-alfieri/

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Da alcuni anni le emozioni costituiscono oggetto specifico di studio in ambito tanto scientifico quanto umanistico. Il volume di Barbara H. Rosenwein, che col volume Anger’s Past: The Social Uses of an Emotion in the Middle Ages (1998) e il saggio Worrying about Emotions in History, pubblicato su “The American Historical Review” (2002), contribuiva a fondare un nuovo campo di ricerca, tiene conto di questa comunanza di interessi, ma sottolineando sin dalle battute iniziali una sostanziale diversità di lettura. Alcune branche delle scienze cognitive concepirebbero le emozioni umane come degli universali, la cui immutabilità è dovuta alla loro natura corporea. Rosenwein non ritiene si possa negare l’esistenza di una predisposizione biologica delle emozioni, ma discute il fatto che da questo si possa inferirne l’invariabilità in tempi e contesti differenti. Le emozioni sono modellate dalla cultura, che agisce tanto su significati, codici e modalità espressive, quanto sulla stessa corporeità nella quale le emozioni sono incarnate. Tuttavia, mentre Daniel L. Smail – medievista come Rosenwein – con il suo Storia profonda. Il cervello umano e l’origine della storia (pubblicato nel 2008 ma tradotto in italiano solo lo scorso anno) partiva dal concetto neuroscientifico di plasticità del cervello per integrare storia e biologia nella “neurostoria”, spingendo l’osservazione alle primissime tracce umane (non solo manufatti) e osservando nel lungo periodo come l’interazione con l’ambiente naturale e le modificazioni delle strutture culturali abbiano plasmato il sistema nervoso nell’essere umano, Rosenwein seleziona un arco cronologico relativamente più breve (dal VI al XVII secolo) e isola delle precise comunità organizzate, indagando le modalità attraverso le quali esse assegnano valore alle emozioni e ne codificano l’espressione. Quelle che Rosenwein circoscrive e osserva fra tardoantico ed età moderna sono le cosiddette comunità emotive, che già avevano costituito oggetto di uno studio pubblicato nel 2007, Emotional Communities in the early Middle Ages, dedicato alle comunità franche fra VII e VIII secolo ma con uno sguardo all’eredità della tradizione filosofica classica. Le comunità emotive sono gruppi sociali che si definiscono attraverso un determinato modo di esprimere e valutare i sentimenti, estromettendone alcuni e promuovendone altri. Se ne possono individuare diverse coesistenti nella stessa epoca e nel medesimo contesto, e un soggetto può appartenere a più di una. Procedendo per sezioni orizzontali di porzioni precise, Rosenwein non intende ricostruire delle genealogie, e rifiuta – come le recenti storie delle emozioni, fra cui anche quella di Jan Plamper recentemente tradotta per il Mulino, a conferma di una prospettiva accolta con interesse dal mercato editoriale italiano – visioni teleologiche di una civilizzazione che si affermerebbe per progressivo contenimento delle pulsioni primarie e violente. L’emozione in sé, del resto, non è da intendersi come una forza necessariamente pronta ad esplodere con effetti distruttivi, e opposta alla sfera della razionalità, cui il senso comune tende a ricondurre gli atti intellettivi, ma come una componente inevitabile della cognizione e della volizione. Se questo significa che l’emozione è ovunque, e che potenzialmente ubique sono le sue tracce, tuttavia è su un oggetto specifico che la ricerca di Rosenwein si concentra: il lessico delle emozioni, ovvero in primis le parole che le enunciano e che, enunciandole, al contempo le comunicano e imprimono un cambiamento emotivo in chi le enuncia e in chi le riceve (utile in questo senso il concetto di emotive, coniato da William Reddy in Against Constructionism: The Historical Ethnography of Emotions, 1997). All’autrice, come dichiara in introduzione, interessa “sapere quali parole le comunità emotive privilegiano e il modo in cui lo fanno” (p. 21). Interessa, infine, fare luce sui “copioni emotivi” (definizione presa a prestito dalla psicologia sociale e reinterpretata da Rosenwein), ovvero sui vari patterns di sequenze di sentimenti, che cambiano a seconda del valore che in un dato contesto si assegna alla data emozione. Ma se, come già precisato, il volume non intende offrire ricostruzioni di genealogie, tuttavia, partendo dalle parole, individua alcuni capostipiti di intere generazioni, e di generazioni, per l’appunto, di sentimenti. I primi sono Cicerone (delle Tusculanae disputationes, 45 a.C. e del De amicitia, 44 a.C.) e Agostino (del De libero arbitrio, 388, delle Confessiones, 398 e De civitate Dei, 413-426). Sono loro i tramiti delle teorie classiche, stoiche in primis, fra antichità e medioevo, che forniranno per secoli nozioni sulle sedi delle emozioni (il cuore? il sangue? la testa?) e tassonomie, basate su uno schema che procede per poli antagonisti dalla lunga fortuna. Un’indagine lessicale (operazione complessa da restituire in traduzione, impresa ben riuscita dal traduttore e curatore Riccardo Cristiani) individua nei testi costanti e variabili. Se nel Cicerone delle Tusculanae le emozioni sono “perturbazioni dell’animo” delle quali liberarsi, in quello del De amicitia sono ciò che caratterizza, in fondo, l’umano. Secondo Rosenwein, Agostino sfumerà l’accezione negativa delle emozioni – date di per sé come neutre – spostando il fuoco della valutazione morale sulla volontà, che è il vero luogo del libero arbitrio, e facendo spazio al ruolo necessario della grazia nell’indurre l’essere umano al compimento del bene. Le emozioni, dunque, sono dotate di potenziale parimenti buono e malvagio, capaci, se disciplinate da intenzioni oneste, di divenire virtù, altrimenti vizi. Una necessità di classificazione di virtù e vizi che avrebbe dominato nel trattato di Alcuino di York (scritto fra 801 e 804), erudito alla corte di Carlo Magno. La teoria di Tommaso d’Aquino, la più influente fra medioevo ed età moderna, conduce poi il lettore dalla corte alle aule universitarie, mentre la trattatistica di Jean Gerson (XIV-XV secolo) sul “canto del cuore”, apre alle pratiche emotive della pietà. All’esame delle teorie delle auctoritates, Rosenwein fa seguire lo studio di comunità emotive che, fra Francia e Inghilterra, se ne appropriarono nella prassi, adattandole in primis, a nuovi contesti linguistici (dal latino tardo antico all’occitano del XIII secolo, all’inglese erudito del XVII). In questa lunga storia, in cui qualcosa si conserva e molto si perde, Rosenwein non vede alcun processo di civilizzazione, ma “racconti vivaci di continuità e cambiamento” (p. 26).

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