Reviewer Antonio Varsori - Università di Padova
CitationLa ricorrenza del centenario della “Grande guerra” ha favorito negli Stati europei maggiormente coinvolti nel conflitto, non solo una serie di iniziative di carattere rievocativo più o meno ufficiale, ma anche un fiorire di studi storici su un evento considerato da gran parte degli studiosi, non solo come un fondamentale momento di svolta nella storia mondiale, ma anche come il vero “inizio” del XX secolo. Nell’ambito di queste nuove ricerche, alcuni libri hanno suscitato forte attenzione fra gli studiosi e un vasto interesse presso i lettori; esempio significativo in tal senso è il noto volume di Christopher Clarke, The Sleepwalkers intorno al dibattuto tema delle cause della guerra, che presentava nuove stimolanti interpretazioni.
Anche in Italia non sono mancati i convegni, gli studi, i dibattiti sulla “Grande guerra”, per quanto siano stati privilegiati alcuni temi e altri al contrario abbiano riscosso un’attenzione decisamente minore. Fra gli storici accademici vi è stato una sorta di allineamento alle principali linee di tendenza manifestatesi in nazioni quali la Francia e, in parte, la Gran Bretagna, con interessanti contributi di storia culturale e sociale. Sono stati inoltre affrontati argomenti tradizionali quali la controversa figura di Luigi Cadorna o la disfatta di Caporetto, con una discussione critica delle relative polemiche di carattere storiografico e politico. Quanto agli aspetti militari, sono apparsi alcuni studi interessanti, ma di natura spesso settoriale. Infine va ricordata una consistente produzione “localistica”, determinata dal risveglio di interesse per la Grande guerra verificatosi nelle regioni del Nord-Est d’Italia, che furono teatro dei combattimenti, dove la “memoria” del primo conflitto mondiale è tuttora forte, con il contorno di iniziative lodevoli, ma a volte un poco limitate, dalle mostre fotografiche in ogni cittadina coinvolta nella guerra, a varie forme di turismo “storico”. È singolare come nel quadro della produzione storica avutasi in Italia sul primo conflitto mondiale, ben pochi siano stati, almeno sino ad ora, i contributi della storia politica, sia nella prospettiva interna, sia in quella del ruolo internazionale del Paese, con alcune eccezioni relative al breve periodo intercorso fra la dichiarazione di neutralità nell’estate del 1914 e l’ingresso in guerra nel maggio del 1915.
Il volume di Gastone Breccia rientra nell’ambito degli studi di storia militare, per quanto l’autore non abbia trascurato aspetti e approcci storiografici di carattere diverso. Breccia, docente di storia bizantina all’Università di Pavia, ha d’altronde al suo attivo numerosi libri su temi di carattere militare che spaziano dall’organizzazione dell’esercito romano alle guerre in Afghanistan, al fenomeno della guerriglia. Fin dalle prime pagine l’autore indica come egli non abbia inteso affrontare temi della guerra italiana già più volte trattati, ma abbia mirato ad analizzare il primo impatto del conflitto sull’esercito italiano, in altri termini i pochi mesi tra la dichiarazione di guerra e l’inverno 1915-1916. Nell’introduzione egli delinea in maniera efficace alcuni aspetti concernenti lo scoppio della Grande guerra, in particolare lo spirito che animò le opinioni pubbliche, gli obiettivi dei gruppi dirigenti, nonché, con maggiori particolari, i caratteri di novità che il conflitto avrebbe assunto in conseguenza delle innovazioni tecnologiche nel settore degli armamenti manifestatesi con il nuovo secolo. Breccia concentra quindi la sua attenzione sui primi giorni della guerra italiana, indicando la debolezza delle difese austriache alla fine di maggio del 1915, una situazione che avrebbe offerto alle truppe italiane la possibilità di conseguire rapidi e facili successi. Se ciò non accadde – argomenta Breccia – la responsabilità va attribuita a Cadorna e alla sua condotta eccessivamente prudente; le scelte del comandante in capo dell’esercito italiano consentirono agli austriaci far pervenire quei rinforzi, che insieme alle più favorevoli posizioni difensive, avrebbero permesso alle forze imperial-regie di contenere le successive spinte offensive italiane.
Breccia però non intende adagiarsi sull’abituale critica della strategia perseguita da Cadorna e sulle inutili, quanto tragicamente sanguinose, “spallate” lungo il fronte del Carso. Al contrario, egli dedica ampio spazio a due vittorie italiane conseguite proprio nelle prime settimane dei combattimenti: la conquista del Monte Nero – o Krn – da parte degli Alpini, e quella del San Michele, ottenuta però a prezzo di numerosi caduti. L’autore non trascura nemmeno episodi meno felici per le armi italiane, in particolare i primi tentativi di sfondamento dell’Isonzo. Interessanti sono le pagine che Breccia dedica agli scontri sul fronte dolomitico, illustrando i caratteri di una guerra combattuta ad alta quota in condizioni particolarmente difficili sia per le truppe italiane sia per quelle austro-ungariche. Breccia non dimentica di delineare i caratteri di una guerra che sin dall’inizio, seguendo la logica offensiva di Cadorna, condusse alla distruzione di interi reggimenti, ponendo subito in luce tra l’altro il problema non secondario di come far fronte agli enormi vuoti creatisi nelle unità più colpite.
Nella parte conclusiva del volume l’autore, dopo aver concentrato l’attenzione sugli aspetti militari, anche sulla base della documentazione archivistica italiana e austriaca, passa a prendere in considerazione le reazioni al conflitto dei combattenti, facendo ricorso ai diari e alle memorie, sottolineando i caratteri più brutali della guerra combattuta nelle trincee. Ciò nonostante Breccia non intende cadere nel “facile” e un poco abusato discorso sull’“inutile massacro”. In un breve post-scriptum a guisa di conclusione, egli ricorda come alla fine del 1915, dopo soli sette mesi di guerra, l’esercito italiano avesse perso 115.875 uomini, 250.000 fra morti, feriti e dispersi e come la linea del fronte fosse rimasta sostanzialmente inalterata. Erano inoltre scomparsi rapidamente fra i combattenti i “sogni di gloria” e le illusioni di un conflitto breve. A dispetto di tutto ciò – come argomenta l’autore – le truppe italiane avrebbero imparato a combattere e a resistere sino alla conclusione vittoriosa della guerra. Se queste considerazioni finali possono apparire valide, esse sembrano trascurare come l’evoluzione della guerra e la vittoria siano state anche le conseguenze di più complesse vicende militari e politiche, le quali andavano ben al di là del teatro di operazioni italiano e della “guerra italo-austriaca”. Ma l’intenzione dell’autore, d’altronde dichiarata sin dalle prime pagine del volume, era concentrare l’attenzione sugli aspetti militari dei primi mesi della guerra condotta dall’esercito italiano. In questa prospettiva lo studio di Breccia risulta interessante e ben documentato e costituisce quindi un utile contributo agli studi apparsi in questi anni sul primo conflitto mondiale.