I, 2018/1

Mario Caravale

Una incerta idea

Review by: Massimiliano Gregorio

Authors: Mario Caravale
Title: Una incerta idea. Stato di diritto e diritti di libertà nel pensiero italiano tra età liberale e fascismo
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2016
ISBN: 9788815267757
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Reviewer Massimiliano Gregorio - Università di Firenze

Citation
M. Gregorio, review of Mario Caravale, Una incerta idea. Stato di diritto e diritti di libertà nel pensiero italiano tra età liberale e fascismo, Bologna, Il Mulino, 2016, in: ARO, I, 2018, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2018/1/una-incerta-idea-massimiliano-gregorio/

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Il volume di Mario Caravale va dritto al cuore della riflessione costituzionalistica, affrontando il tema più centrale e delicato di essa, ossia il rapporto tra potere e individuo, tra Stato – più esattamente tra Stato di diritto – e libertà individuali. Lo fa assumendo come punto di osservazione le riflessioni della dottrina italiana (giuridica ma non solo, tanto è lo spazio dedicato a sociologi, filosofi, storici, politologi) e ciò finisce per orientare la scansione temporale del volume. Questo prende infatti le mosse dalle interpretazioni immediatamente successive (e in parte anche precedenti) l’unificazione nazionale, per proseguire poi affrontando gli anni delicatissimi della transizione tra Otto- e Novecento e quelli ancor più decisivi della Grande guerra, conducendo infine il lettore all’interno della riflessione giuridica svolta durante il ventennio fascista. A quest’ultima, in particolare, Caravale dedica ben tre dei cinque complessivi capitoli dell’opera, confermando così l’ormai pacifico riconoscimento della vivacità e della rilevanza di quel dibattito, per molti anni invece tendenzialmente ignorato dalla storiografia giuridica. Descrivere il tema e l’arco cronologico oggetto della riflessione, tuttavia, non è sufficiente a presentare esaustivamente questo libro, che si distingue anche per un taglio peculiare e caratterizzante. Per accompagnare il lettore all’interno di questo lungo e denso intorno di tempo, infatti, l’autore sceglie di affidarsi quasi esclusivamente alle voci dei protagonisti e ciò rende il volume – ricchissimo di citazioni – un riferimento prezioso per le future riflessioni sull’argomento.

Tale ricchezza di materiali assume, nel primo capitolo dedicato all’età liberale, una dimensione schiettamente europea. Qui emerge con forza il dialogo costante, che fornisce una marcata impronta alla riflessione italiana, sia col liberalismo francese, portatore di una perdurante eredità giusnaturalistica, sia con la dottrina germanica, la cui diffusione nella nostra penisola Caravale fa risalire addirittura alla fine degli anni Cinquanta, con la circolazione delle tesi di Heinrich Ahrens. Le stesse elaborazioni più originali cui la dottrina nazionale perviene sul finire del secolo – e qui i nomi non possono che essere quelli di V.E. Orlando e del suo allievo Santi Romano – vengono così contestualizzate non solo alla luce del più ovvio dialogo con la dottrina tedesca (Laband e Jellinek su tutti), ma anche all’interno di un ricchissimo panorama tutto italiano (tra gli altri: Longo, Vacchelli, Miceli, Brunialti) nel quale Caravale mostra quanto sfaccettata fosse la riflessione sullo Stato di diritto e, conseguentemente, sui diritti pubblici subiettivi. Stato che si autolimita, Stato regolato dal diritto, Stato che riconosce i diritti soggettivi, Stato che offre garanzie contro la pubblica amministrazione. Le definizioni possibili del Rechtsstaat paiono dunque, già nell’elaborazione dell’età liberale, molteplici e non sempre coerenti. Ed attirano, per questo, svariate critiche, come quella di Adolfo Ravà e della sua apologia dello “Stato etico” (p. 98), che conclude il primo capitolo e, di fatto, introduce il successivo, dedicato alla Grande guerra e al primo dopoguerra.

Sono anni convulsi e densi di cambiamenti. La svalutazione della dimensione giuridico-formale dello Stato e la sottolineatura della sua natura etica (sul punto converge anche Panunzio), infatti, rappresentano l’humus culturale ideale per l’affermarsi del nazionalismo nascente (Corradini e Rocco su tutti). Si impone così una nuova visione dello Stato e del suo diritto; una visione marcatamente imperativistica, che ricorda la celebre definizione di Stato data da Treitschke (ossia: “Macht, Macht, und wieder Macht”) e dalla quale consegue un’interpretazione servente dell’individuo e delle sue sfere di libertà, che traggono adesso la propria legittimazione dalla capacità di risultare funzionali rispetto agli interessi collettivi dello Stato nazionale.

Si tratta di una linea interpretativa che finisce naturalmente per accentuarsi durante il ventennio fascista, ma senza che ciò comporti, tuttavia, la scomparsa dell’espressione Stato di diritto. A fronte del tentativo dei giuristi engagés di produrre un’interpretazione schiettamente fascista dello Stato e delle libertà individuali, infatti, il Rechtsstaat rimane un termine di confronto necessario. Magari per condannarlo (Caristia, Costamagna), per ritenerlo inglobato dallo Stato fascista (Biggini, Navarra) o per identificarlo come l’aperta negazione di quest’ultimo (Trentin). Quanto è certo però è che lo Stato di diritto non scompare. Forse anche grazie alla duttilità che sempre accompagna ogni “incerta idea”, esso riesce ad attraversare carsicamente l’intero ventennio della dittatura, per riemergere al termine di essa.

Il volume si conclude pertanto con un breve Epilogo, che prende le mosse dalla constatazione, chiara nelle riflessioni del secondo dopoguerra, della fragilità della nozione di Stato di diritto, dimostratasi incapace di tutelare l’individuo “contro l’arroganza e la prepotenza del potere pubblico” (p. 332) e dalla necessità di una sua rifondazione. Ma come rifondare il Rechtsstaat? L’autore accenna a due sentieri complementari: il recupero di una dimensione etico-sociale (così Battaglia, Bobbio e Calasso) e la positivizzazione di tali principî etico-sociali all’interno di una superiore norma costituzionale dotata di sufficienti garanzie di rigidità (Virga).

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