I, 2018/1

Florian Huber

Grenzkatholizismen

Review by: Marco Bellabarba

Authors: Florian Huber
Title: Grenzkatholizismen. Religion, Raum und Nation in Tirol 1830-1848
Place: Göttingen
Publisher: Vandenhoeck & Ruprecht
Year: 2016
ISBN: 9783847105749
URL: link to the title

Reviewer Marco Bellabarba - Università di Trento

Citation
M. Bellabarba, review of Florian Huber, Grenzkatholizismen. Religion, Raum und Nation in Tirol 1830-1848, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2016, in: ARO, I, 2018, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2018/1/grenzkatholizismen-marco-bellabarba/

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Sul cattolicesimo trentino e tirolese ottocentesco esiste una solida tradizione di ricerca. Le premesse di questi studi sono per certi versi radicate nella storia dei due principati vescovili di Trento e Bressanone, che ne costituiscono l’antefatto naturale: dall’epoca della loro fondazione nell’alto medioevo, questi ibridi di potere spirituale e temporale hanno costituito fino alle invasioni napoleoniche la componente più meridionale della Reichskirche oltre che un robusto presidio contro le infiltrazioni protestanti. Ma anche a valle della cesura ottocentesca, quando i principati ecclesiastici furono secolarizzati, il cattolicesimo sembra costituire l’elemento distintivo della storia regionale: il dominio dei partiti d’ispirazione cristiana, la religiosità profonda della popolazione, la presenza capillare delle istituzioni ecclesiastiche, stendono un filo di continuità che, attraversando il lungo Ottocento asburgico, si prolunga anche oltre le drammatiche cesure dei due conflitti mondiali.

L’identificazione del Tirolo con le sue radici cattoliche è tuttavia una sineddoche non spontanea, sia nelle sue origini, sia nella sua evoluzione. L’immagine oleografica dell’Heiliges Land e la ricerca delle sue contraddizioni costituiscono lo spunto di partenza della ricerca di Florian Huber. Per sfuggire alla ristrettezza del campo visivo dei contributi più datati, Grenzkatholizismen allarga anzitutto il piano della sua indagine: la vicenda tirolese viene così collocata in un orizzonte geografico esteso dall’Impero austriaco agli stati del Bund germanico e a quelli della penisola italiana. A questo cambio di prospettiva spaziale si unisce anche il confronto serrato con le teorie della secolarizzazione e della “Medialität” religiosa, un ambito di ricerche che negli ultimi decenni ha approfondito le nostre conoscenze dei fenomeni religiosi nell’Europa ottocentesca.

Come avvertono le tre parole del sottotitolo (Religion, Raum, Nation), l’unità religiosa della provincia non esprime un’esperienza di fede simile, non vive uno spazio condiviso e non parla nemmeno gli stessi linguaggi nazionali. Le differenze vengono in superficie già dopo il 1815, quando la “principesca contea del Tirolo” incorpora i distretti italofoni dell’episcopato trentino. La politica di Francesco I intraprende la riduzione a semplice nesso amministrativo delle antiche autonomie territoriali, ma il centralismo viennese fallisce nel tentativo di amalgamare le differenze dei suoi nuovi sudditi. Il Tirolo, nonostante un’uniformità politica di facciata, resta un “multiples Grenzland” [p. 92] diviso da molte frontiere (linguistiche, politiche, economiche). Se Francesco I, al pari degli altri sovrani restaurati, ha investito molto sull’alleanza con la Chiesa, il controllo dall’alto del cattolicesimo tirolese non dà gli esiti sperati. Contro tutte le aspettative, la versione ottocentesca del giuseppinismo austriaco, ancora più burocratica e censoria del suo predecessore, ha conseguenze paradossali: la religione, pensata come il pilastro del legittimismo monarchico, si trasforma in una “politische Option” [pp. 89-90].

Nelle parti centrali del libro, Huber descrive i passaggi attraverso i quali la religione diviene un’opzione politica nel lungo periodo divisiva. La Glaubenseinheit viene affermata nel corso dell’espulsione dei presunti protestanti della Zillertal, una vicenda che nel 1837 divulga l’immagine di un cattolicesimo solido e intollerante verso qualsiasi deviazione. Oltre a ciò, i casi di misticismo ai quali la stampa conservatrice dà un’eco larghissima, attirano in Tirolo folle di pellegrini da tutta Europa. Ma la Tyrolomanie esplosa in quegli anni è vissuta dalle elite culturali di lingua italiana con un senso crescente di estraneazione. I capitoli 4, 5 e 6 (“Religiöse Ethnographien”; “Mediale Aufbrüche; Ersatzöffentlichkeiten”: “Religiöse Kommunikation im Trentino”), mostrano bene il bisogno di marcare le distanze da quel genere di pratiche confessionali. A scorrere le descrizioni etnografiche di Giuseppe Pinamonti e Beda Weber, o gli articoli pubblicati su Die katholischen Blätter aus Tirol e quelli, di segno opposto, sul “Giornale agrario” trentino, si avvertono i segni di una divaricazione insopprimibile.

Il lealismo governativo, almeno fin qui, non sembra un fattore davvero discriminante. La Heimat regionale a cui si ispirano gli ecclesiastici del Tirolo tedesco ha le stesse recriminazioni verso il governo centrale della “patria” evocata di continuo dai loro omologhi trentini. È invece la politicizzazione dell’elemento religioso a tracciare nuove linee di confine interne, un argomento affrontato negli ultimi capitoli del libro (“‘Sängerkriege: Die frühen Kulturkämpfe Tirols’; ‘Glaubenseinheit’ und ‘Pio IX’ – Zwischen Vormärz und 1848”; “Grenzkatholizismen als öffentliche Religionen”). Qui Huber esamina il fascino esercitato sugli attori locali dalle ipotesi di cattolicesimo, o del rifiuto di esso, provenienti dall’esterno: l’entusiasmo dei religiosi trentini per il liberalismo cattolico di Pio IX (forse un po’ meno monolitico di quanto pensi l’autore) si contrappone all’ultramontanismo dei conservatori e alle posizioni dei liberali, un gruppo di intellettuali borghesi allo stesso tempo ostili al predominio della Chiesa e fautori di un nazionalismo germanico a tutto tondo. Le fratture esplodono, radicalizzandosi, a metà secolo: in un arco di tempo lungo, dal 1846 al 1852, i moti rivoluzionari intensificano i nazionalismi, trovando proprio nelle differenti concezioni del cattolicesimo un catalizzatore “der nationalen Selbstbeschreibungen” [p. 352]. Il mito, del “santo Tirolo” nasce adesso, messo a punto in fretta sulle ceneri della rivoluzione e sorretto dalle politiche neoassolutiste di Francesco Giuseppe; ma il canone dell’unità religiosa tirolese – suggerisce Huber alla fine di questo bel libro – non sarà mai in grado di ricucire quelle ferite che aveva essa stessa provocato.

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