Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

39, 2013/1

Markus A. Denzel - Jan de Vries - Philipp Robinson Rössner (ed.)

Small is Beautiful? Interlopers and Smaller Trading Nations in the Pre-Industrial Period

Review by: Katia Occhi

Editors: Markus A. Denzel - Jan de Vries - Philipp Robinson Rössner
Title: Small is Beautiful? Interlopers and Smaller Trading Nations in the Pre-Industrial Period
Place: Stuttgart
Publisher: Franz Steiner
Year: 2011
ISBN: 978-3-515-09839-7

Reviewer Katia Occhi - FBK-ISIG

Citation
K. Occhi, review of Markus A. Denzel - Jan de Vries - Philipp Robinson Rössner (ed.), Small is Beautiful? Interlopers and Smaller Trading Nations in the Pre-Industrial Period, Stuttgart, Franz Steiner, 2011, in: ARO, 39, 2013, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2013/1/small-is-beautiful-interlopers-and-smal-katia-occhi/

PDF

Il contesto geografico internazionale degli undici saggi che compongono il volume fa da sfondo alle vicende storiche di una serie di piccole compagnie commerciali operative nel Nuovo Mondo, in Asia e in Europa durante l’età moderna. Da qui il pregio del volume che affronta da diverse prospettive le strategie di aziende e imprese familiari che agendo come «intrusi» e operatori di nicchia, talvolta al limite della legalità e sempre in contesti difficili, agirono all’ombra dei grandi stati mercantilistici e in competizione con articolate società per azioni.

A differenza degli studi sul commercio intercontinentale della prima età moderna che spesso attribuiscono la gestione di queste attività ai «leader dei mercati», questi contributi – già presentati in una sessione del XV «International Economic History Congress» di Utrecht nel 2009 – evidenziano la presenza di numerosi competitori.

I primi quattro saggi del volume si occupano di compagnie nazionali operative in Asia e nel Nuovo Mondo. Nel mondo atlantico le barriere in entrata erano relativamente basse e gli «infiltrati» erano endemici. Gli olandesi, che predominavano nel commercio in Asia ed erano i più importanti attori in quasi tutte le vie marittime europee, erano anche i più attivi come corsari, contrabbandieri e mercanti illegali nel Nuovo Mondo.

Victor Entoven si occupa delle tecniche dei mercanti privati olandesi. Pur avendo a disposizione solo una modesta base commerciale, dopo il 1650 essi gestirono il traffico di tabacco raccolto illecitamente in Virginia e di derrate alimentari nordamericane smerciate nelle piantagioni caraibiche. Agli inizi del Settecento il controllo britannico su questi traffici crebbe, ma da allora la piccola isola caraibica di San Eustatius divenne il ritrovo per tutti i tipi di commerci in violazione delle leggi mercantilistiche di ogni autorità europea nella regione.

Klas Rönnbäck nel suo saggio, corredato da una serie di grafici e da un’appendice documentaria, esamina l’economia di tre isole caraibiche (dal 1917 le americane isole Vergini) controllate dai danesi. Qui essi crearono un Impero monopolistico in miniatura con un’economia coloniale basata sulla schiavitù che riforniva la madrepatria di zucchero e altri prodotti tropicali.

I saggi sul commercio europeo con l’Asia mostrano che le barriere in entrata erano sostanziali. I piccoli contrabbandieri erano pochi, ma le più grandi compagnie commerciali, la Compagnia Olandese delle Indie orientali (V.O.C.) e la Compagnia Inglese delle Indie orientali (E.I.C.) dovevano fronteggiare la competizione di una lunga serie di sfidanti europei.

Tra i piccoli commercianti operativi in Asia, i danesi ebbero maggior successo e durata. Martin Krieger nel suo saggio sull’Asiastik Kompagni, la terza compagnia danese fondata nel 1732, rileva come i profitti derivati dal commercio cinese permisero di rinvigorire i punti di appoggio di lunga data in India, a Tranquebar, e di sviluppare piccole manifatture commerciali sulla costa di Malabar, incluso il Bengala, nelle immediate vicinanze dell’inglese Calcutta.

Nel suo contributo Leos Müller afferma che gli svedesi erano nuovi alle avventure del commercio intercontinentale quando finanziarono la Compagnia svedese delle Indie orientali (1731-1813), una sorta di società off-shore di mercanti scozzesi e fiamminghi decisi a ristabilire il loro proficuo commercio di tè cinese a Gothenburg, attraverso contrabbandieri che lo introducevano nel mercato inglese.

Due saggi portano la firma di Philipp Robinson Rössner, cocuratore del volume. Il primo sul commercio di tabacco scozzese evidenzia che l’unione tra la Scozia e la corona inglese nel 1707 consentì alla prima di entrare di fatto nella zona doganale protetta dell’Impero britannico di allora. Grazie a innovazioni commerciali, alla presenza capillare di rivenditori lungo il reticolo fluviale della regione di Chesapeake, gli scozzesi trassero ingenti profitti dal commercio di tabacco della regione americana, il cui maggior mercato era situato nell’Europa settentrionale e fecero di Glasgow l’emporio di tabacco più grande d’Europa. Il secondo contributo si concentra sulle iniziative scozzesi per (ri)sviluppare la pesca all’aringa, condizionata dall’arretratezza tecnologica, e sulle misure adottate per farne decollare il commercio estero.

Quattro contributi del volume sono dedicati alle aziende familiari attive in contesti commerciali internazionali, spesso interculturali. Gli autori sottolineano la forte dipendenza di queste imprese di antico regime da istituzioni esterne, quali gilde, fiere, corti commerciali, legami informali tra membri delle stesse comunità religiose, etnie, nationes oltre che dalle politiche commerciali degli stati. Come scrive Jan de Vries nell’introduzione al volume, in un’Europa preindustriale a sovranità frammentata, da queste istituzioni, alleanze e leggi derivava una vasta gamma di opportunità e di rischi.

Vediamo brevemente i lavori dedicati a queste problematiche. Claudia Schnurmann ricostruisce le vicende dell’impresa familiare guidata da John Parish, uno scozzese a lungo residente nella città libera di Amburgo, dove fu console dei neonati Stati Uniti, esempio singolare dei rischi e dei ricavi derivati dai commerci negli interstizi del sistema statale europeo, in questo caso basato sugli scambi illeciti con i ribelli americani che valsero a Parish la nomina a console.

Un ambiente ancora più complesso è quello in cui agiva il greco Zorzi Cumano, nominato nel 1699 console veneziano di Durazzo, all’epoca parte dell’Impero ottomano. Christian Luca nel suo saggio arricchito da un’interessante appendice documentaria, mostra che i veneziani dovevano confrontarsi con svariate comunità mercantili a base etnica che controllavano particolari prodotti, vie commerciali e empori dell’Impero ottomano, per aggirare i poteri inglesi, olandesi e francesi che gestivano oramai il commercio marittimo nel Mediterraneo orientale.

Il volume raccoglie anche due contributi sulle reti commerciali lungo i passi del Brennero e del Sempione nel XVIII e nel XIX secolo. Andrea Bonoldi offre un’accurata ricostruzione delle attività di un gruppo di mercanti ebrei di Hohenems nel Vorarlberg, specializzati nel commercio su lunga distanza. Analizzandone la presenza nelle quattro fiere di Bolzano tra 1750-1799, l’autore mostra l’importanza delle istituzioni pubbliche e il condizionamento politico sulle imprese familiari che ne derivava.

Lo studio di Marie-Claude Schöpfer Pfaffen e Gabriel Imboden è dedicato a un mercante di Brig, operativo nel corridoio commerciale del Sempione, attraverso cui era importata nelle Alpi una vasta gamma di prodotti specializzati e coloniali. Il saggio corredato da numerose tabelle mette in evidenza il ruolo del credito e delle relazioni fiduciarie tra le famiglie della diaspora italiana nella regione, organizzate in una rete di patronage che consentiva di gestire affari internazionali a piccole imprese familiari con limitata liquidità e un ridotto accesso alle informazioni commerciali.

Il volume si chiude con il saggio di Ian Blanchard sul complesso reticolo che univa la Cina con il Medio Oriente e la Russia nei due secoli successivi al 1650, periodo in cui la via marittima del Capo di Buona Speranza, dominata dagli europei, si era oramai imposta come tragitto principale. Lungo questa «grande via della seta» solamente la presenza d’istituzioni esterne quali i caravanserragli e le città fortificate permettevano a una nicchia di piccole imprese familiari di far fronte alle sfide dell’ambiente circostante.

Subscribe to our newsletter

Partners