Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

39, 2013/1

Dorothea Weltecke

«Der Narr spricht: Es ist kein Gott»

Review by: Swen Steinberg

Authors: Dorothea Weltecke
Title: «Der Narr spricht: Es ist kein Gott». Atheismus, Unglauben und Glaubenszweifel vom 12. Jahrhundert bis zur Neuzeit
Place: Frankfurt a.M. - New York
Publisher: Campus
Year: 2010
ISBN: 978-3-593-39194-6

Reviewer Swen Steinberg

Citation
S. Steinberg, review of Dorothea Weltecke, «Der Narr spricht: Es ist kein Gott». Atheismus, Unglauben und Glaubenszweifel vom 12. Jahrhundert bis zur Neuzeit, Frankfurt a.M. - New York, Campus, 2010, in: ARO, 39, 2013, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2013/1/der-narr-spricht-es-ist-kein-gott-at-swen-steinberg/

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Il lavoro di abilitazione di Dorothea Weltecke ha per oggetto l’immagine del medioevo formatasi soprattutto nel XIX secolo. Tale immagine – condizionata dallo sviluppo sociale in Germania e in Europa – delimitava con un preciso obiettivo il rapporto tra religione e società. Si era infatti diffusa, nel segno dell’industrializzazione, della modernizzazione, dell’emancipazione borghese e della «questione sociale», una sempre maggiore lontananza dalla Chiesa; nel 1796 Jean Paul aveva fatto dire al suo «Cristo morto dall’alto dell’edificio del mondo» che «non esiste Dio alcuno» (p. 15). Tale idea di evoluzione ha acceso sino a oggi la discussione accademica e si muove tra il concetto di «seconda epoca confessionale» (Olaf Blaschke) e il paradigma della secolarizzazione. Ora, il definire come sfondo della società in cui vivevano un passato presentato come altamente religioso, obbediva per gli storici del XIX secolo ad una precisa funzione, ma è qualcosa che non regge ai ritrovati di una moderna scienza e certamente dev’essere a sua volta storicizzato. Dorothea Weltecke riesce, grazie al suo approccio di studiosa medievalista e dell’Ottocento, a cogliere la relazione tra le due cose – ed è proprio la dissoluzione di tale correlazione a rappresentare uno dei punti centrali del suo lavoro, che consapevolmente va a ricercare le conseguenze di lungo periodo di tale approccio nella storiografia: fino ad oggi è diffusa infatti nella storia della religione l’«ipotesi che le società medievali siano tutte da pensare come legate dalla religione e che questo sia per esse costitutivo» (p. 12).

La breve descrizione qui fornita di tale sviluppo nella storia delle idee rappresenta un punto di partenza delle riflessioni di Weltecke, che intende il suo studio come «racconto storico-secolare della religiosità nelle sue correnti ortodosse ed eterodosse» (p. 567). L’obiettivo generale del lavoro consiste nella storicizzazione del concetto di ateismo, come pure nello sviluppo di prospettive metodologiche nel trattamento dei concetti di «dubbio» e «incredulità» nel medioevo. Weltecke presenta gruppi di fonti e concetti operativizzabili e sviluppa una teoria storica sull’approccio ai dubbi e alla assenza di fede. La ricerca si concentra sul periodo compreso tra il XII e il XVI secolo, nello spazio geografico della cristianità latina: sulla scolastica e sulla razionalità, dunque, che in Europa furono sostituite in misura sempre maggiore dalle idee dell’Umanesimo e dall’evoluzione del concetto di ateismo – dopo il Cinquecento videro la luce «modi di dire specificamente europei sulla non esistenza di Dio» (p. 19). Poiché l’autrice intende decostruire immagini storiche e concetti, il suo lavoro ha inizio, coerentemente, con un capitolo che affronta complessivamente, storicamente, nelle loro tradizioni e nei loro orientamenti di ricerca tra l’Illuminismo e l’Ottocento, la provenienza e soprattutto l’impiego di concetti che venivano e vengono messi in relazione con il fenomeno dell’«incredulità». In fin dei conti già nel XIX secolo si confrontavano due interpretazioni sostanzialmente opposte del medioevo: da un lato l’immagine armonica di un mondo unitario di fede, nell’«epoca di cavalieri e suore». E d’altro canto il formarsi della tradizione del libero pensiero, sorto in epoca illuminista, che individuava i propri predecessori nella devianza religiosa del medioevo e nelle correnti pre-riformistiche. E proprio in questo modo di procedere sta il grande merito di questo studio, che include nella ricerca, molto più di quanto non accada di solito nei lavori medievisti, gli sviluppi in età moderna. Tale decostruzione del processo di formazione della tradizione viene poi proseguita da Weltecke nel secondo capitolo; qui si tratta soprattutto delle grandezze di riferimento medievali di spiegazione e illuminazione, di ateismo e incredulità, che trovavano forma nei topoi correnti di «potere senza Dio», di «dotti increduli» e di «scettici illetterati». Mentre Weltecke nelle prime due parti del suo lavoro tenta di ricostruire soprattutto la storiografia e le immagini storiche, nel terzo capitolo si dedica a quelle raccolte di fonti medievali che, a suo parere, possono fornire indicazioni su incredulità e dubbi di fede. Il suo interesse è diretto da un lato alla storia dei concetti e all’impiego delle categorie coeve per la descrizione di tali fenomeni. Dall’altra parte, lavora partendo dalla constatazione che la devianza religiosa è sì nota per il medioevo ed è stata anche indagata, ma non si è cercato di capire «se esistessero degli uomini che non credevano all’esistenza di Dio» (p. 16). E lo fa chiarendo che concetti quali «incredulità» o «dubbio» sono troppo ampi e non specifici per la descrizione e l’analisi, poiché questi già all’epoca non erano astratti e non venivano impiegati in senso unitario e non descrivevano esclusivamente la non credenza. E comunque non sono stati analizzati sufficientemente dal punto di vista del significato storico. Nel contempo, il concetto di ateismo, sviluppatosi dopo il Cinquecento, come categoria consapevolmente opaca e polemica, non poteva essere applicata al periodo precedente al 1500. Weltecke riesce a dimostrare che i dubbi di fede, fino alla convinzione che non esista un Dio, sono esistiti prima del XVI secolo, e che tali dubbi non sono stati affatto criminalizzati e perseguiti ‘per se’ (tesi sulla discriminazione): «Incredulità e dubbi di fede nei termini di un puro e semplice non essere della fede» erano «ben presenti» prima del Cinquecento (p. 459). E più ancora: nella cura delle anime, il «dubbio» era addirittura un «elemento di merito», quando si accompagnava alla decisione di superarlo. Nella pubblicistica, tuttavia, tali dubbi – e i possibili contro-argomenti – giocavano un ruolo esclusivamente nella letteratura edificante. Il fatto che i circoli eruditi non si siano occupati intenzionalmente di tali fenomeni è spiegabile, secon- do la Weltecke, più con una sottovalutazione che con la loro non esistenza. E anche se l’autrice non offre in definitiva – e nemmeno vuole farlo – una storia sistematica dei concetti, ella auspica, nel trattare i fenomeni dell’«incredulità» e del «dubbio», soprattutto l’impiego di termini coevi. In fin dei conti, solo in questo modo possono aver luogo una descrizione e una valutazione dei fenomeni studiati, che consentano anche conclusioni sull’esperienza personale e sul sistema di valori. Concetti quali «incredulità» rimangono invece troppo opachi oppure debbono essere storicizzati sullo sfondo della storia delle idee e della storiografia presentate dall’autrice.

Dorothea Weltecke ha prodotto uno studio eccellente dal punto di vista metodologico, e anche molto leggibile, le cui conclusioni sono particolarmente valide non solo per la ricerca sul medioevo e sulla prima età moderna, ma rappresentano anche un elemento centrale per una ricostruzione della storiografia in materia di storia della religione e della cultura europea. E ci presenta in modo molto chiaro l’efficacia di immmagini della storia e di concetti sviluppati soprattutto in età tardo-illuminista e nel XIX secolo: la sua informata «radicale ridefinizione dei parametri non corretti con cui viene costruita la religiosità medievale» riesce in modo convincente (p. 450).

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