Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

39, 2013/1

Klaus Heitmann

Das italienische Deutschlandbild in seiner Geschichte, III/1: Das kurze zwanzigste Jahrhundert (1914-1989)

Review by: Gabriele D’Ottavio

Authors: Klaus Heitmann
Title: Das italienische Deutschlandbild in seiner Geschichte, III/1: Das kurze zwanzigste Jahrhundert (1914-1989). Italien gegen Deutschland: der Erste Weltkrieg
Place: Heidelberg
Publisher: Universitätsverlag Winter
Year: 2012
ISBN: 978-3-8253-6034-4

Reviewer Gabriele D’Ottavio

Citation
G. D’Ottavio, review of Klaus Heitmann, Das italienische Deutschlandbild in seiner Geschichte, III/1: Das kurze zwanzigste Jahrhundert (1914-1989). Italien gegen Deutschland: der Erste Weltkrieg, Heidelberg, Universitätsverlag Winter, 2012, in: ARO, 39, 2013, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2013/1/das-italienische-deutschlandbild-in-sein-gabriele-dottavio/

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L’immagine che gli italiani hanno dei tedeschi appare ancora oggi condizionata da una memoria collettiva impregnata di pregiudizi, luoghi comuni e stereotipi che si sono consolidati nel corso del secolo scorso. Per comprenderne l’origine bisogna risalire a quegli eventi del passato che hanno scolpito, traumatizzandola, la coscienza nazionale italiana nel suo rapporto con quella tedesca. La Grande Guerra è certamente uno di questi, come constatò, già nel 1918, il «germanista germanofobo» Rodolfo Bottacchiari: «questo fenomeno inaudito, inverosimile si è verificato in pochi mesi, specialmente in Italia: la Germania prima della guerra era tutto; in un momento più niente. Al suo popolo si è riconosciuta soltanto la forza bruta dell’orda primitiva; la sua decantata civiltà è diventata tutto a un tratto raffinata barbarie; la sua cultura, sulla cui superiorità abbiamo cento volte giurato è diventata sinonimo di ogni aberrazione morale; tutta la scienza tedesca è apparsa una colossale mistificazione, la sua arte un plagio, il suo commercio una frode, la sua organizzazione un ridicolo automatismo. Così, quando il mondo partito alla scoperta della Germania, ne ha finalmente visto la vera faccia, la leggenda è svanita, ma la realtà è rimasta ugualmente falsata» (p. 9).

Questo è solo uno dei tanti documenti che vengono riportati, in lingua originale, da Klaus Heitmann nel suo interessante studio: Italien gegen Deutschland: der Erste Weltkrieg. Si tratta del primo tomo del terzo volume della serie Das italienische Deutschlandbild in seiner Geschichte, un’opera che ha l’ambizione di ricostruire, attraverso la presentazione di materiale inedito o comunque poco conosciuto al lettore tedesco, l’immagine della Germania in Italia nel corso del XX secolo. Al centro del presente volume ci sono le opere letterarie, i saggi scientifici, i pamphlet e gli articoli di commento tratti dalle principali testate dell’epoca che portano la firma di più di settanta letterati, intellettuali e pubblicisti italiani, tra cui spiccano i nomi di Gaetano Salvemini, Giuseppe Antonio Borgese, Guglielmo Ferrero, Mario Mariani, Benito Mussolini, il sopra ricordato Rodolfo Bottacchiari, Guido De Ruggiero e Arturo Farinelli. Il risultato è una vera e propria «foto di gruppo», un ritratto, ancorché impressionistico, molto concreto di come la Germania all’epoca della Grande Guerra venisse percepita in Italia nei settori della cosiddetta «alta cultura».

In una schematizzazione approssimativa è possibile distinguere, come fa anche l’autore, tra la componente maggioritaria, prevalentemente interventista e germanofoba, e quella minoritaria, composta da neutralisti e germanofili, anche se non sempre questa classificazione e tali etichette rendono pienamente giustizia della pluralità dei punti di vista. Le stesse posizioni assunte dai vari esponenti dell’interventismo democratico e rivoluzionario, per esempio, consentono di evidenziare i limiti connessi a ogni tentativo di descrivere questi raggruppamenti come monolitici e omogenei. Unanimi nel far ricadere sulla Germania le principali responsabilità per lo scoppio della guerra, alcuni interventisti, come Gaetano Salvemini e Guglielmo Ferrero, si contraddistinsero per una posizione non solo di aperta condanna nei confronti dei tedeschi per aver pensato, «affidandosi alla sola forza delle armi, … di poter calpestare tutti i principi politici e morali che sono alla base della nostra civiltà», ma anche di netto rifiuto del cosiddetto «modello germanico», che veniva identificato con il militarismo di matrice prussiana, con una cultura politica profondamente antidemocratica e con le pulsioni egemoniche e prevaricatrici (p. 17). Altri interventisti invece, come per esempio Mario Mariani, per i quali la Germania rappresentava una sorta di Paese d’adozione («il popolo che aveva visto crescere la mia virilità, la mia cultura, cui mi sentivo un po’ fratello»), vissero con sentimenti più contrastanti il loro rapporto con il «nemico teutonico». Significativo al riguardo quanto scrisse un altro germanista, Antonio Borgese: «In Germania più che in ogni altro paese d’Europa, ho ricordi di care amicizie … Cosicché, se la confessione non sonasse così strana, dovrei senz’altro dire che nessuna terra, dopo l’Italia, mi fu più cara quanto la Germania. La confessione suona strana in bocca d’uno che ha fatto propaganda per la guerra contro la Germania» (p. 19). Nella maggior parte degli studiosi o dei «cultori» della Germania prevalse un atteggiamento ambivalente: certamente di dichiarata ostilità per aver provocato la guerra, ma anche di ammirazione per la grande forza di spirito e la superiorità militare esibite nel perseguimento di obiettivi che comunque andavano contrastati: «A vincere non basta l’entusiasmo. Mai chi abbia attraversato la Germania che mobilizza, chi abbia visto con quanta sicurezza di vincere, con quanta gioia e quanta disciplina sei milioni di persone corrono a rischiare la vita sul campo e cinquantanove milioni rimasti a vegliare il focolare domestico, senza una lacrima, li accompagnino con i loro voti e le loro benedizioni, deve inchinarsi. Il popolo tedesco è un grande popolo ed ha veramente qualità militari che mancano ad altri … Bisogna odiare i tedeschi con cuore latino, ma pensare a vincerli con metodo tedesco. Opporre al loro spirito di conquista uno spirito di contraconquista, credere nella guerra e prepararla instancabilmente, avere fede nella assoluta irreconciliabilità degli interessi e dei sentimenti delle due razze, ritenere sempre inevitabile e immanente il conflitto, vivere aspettando l’allarmi» (pp. 28 e 33).

D’altra parte, il protrarsi e la drammaticità di una guerra che molti avevano immaginato breve e catartica contribuirono a inasprire le posizioni anche dei germanisti inizialmente più simpatetici con il mondo teutonico. Fu allora che il pregiudizio prese il posto del giudizio: «Una donna tedesca pronuncerà quattordici volte in un minuto la parola Liebe – amore – ma che cosa sia l’amore non saprà mai; un tedesco scriverà quattordici volumi sulle più sottili questioni di diritto, ma del diritto non avrà mai nemmeno una pallida idea … Si tratta di gente che, un po’ per naturale apatia un po’ in seguito a speciali sistemi pedagogici, ha ridotto affetti e sentimenti a quel minimo che è necessario per lasciare i vocaboli nel dizionario» (p. 33). Alcune di queste citazioni, che sono tratte dagli scritti del germanista Mario Mariani, possono essere considerate rappresentative di alcuni modelli di percezione stereotipata della Germania, che attraverso l’esperienza della Grande Guerra si consolidavano ulteriormente, e non solo in Italia, nel corso del «secolo breve». E dalla sempre più diffusa convinzione dell’esistenza di un’originaria peculiarità della «razza germanica» avrebbe certamente tratto alimento anche quella tesi, successivamente confluita nel più complesso teorema del Sonderweg, basata sull’idea di una presunta anomalia patologica della Germania che la distingueva dagli altri Paesi europei occidentali.

Come ha opportunamente osservato Jens Petersen, che è stato anche uno dei primi studiosi a misurarsi con il tema delle percezioni reciproche di italiani e tedeschi, spesso «la percezione dell’altro è strettamente legata all’autopercezione nazionale, anzi addirittura esse si condizionano a vicenda». In tal senso, nei tanti giudizi severi e talvolta impietosi emessi sulla nazione tedesca al tempo della Grande Guerra si può cogliere anche l’immagine che del loro Paese gli intellettuali e l’opinione pubblica vedevano riflessa nello specchio tedesco. Una delle immagini prevalenti è senza dubbio quella di un Paese che si sentiva storicamente e ingiustamente vittima dell’«utopia straniera» (Mariani, p. 30), e in particolare, come scrisse Benito Mussolini nel 1918 – dunque molto tempo prima del famigerato asse Roma-Berlino –, dell’«anima antica e moderna del germano invasore, rapinatore e nemico mortale della latinità» (p. 49). Ma al di là del tema delle percezioni reciproche di italiani e tedeschi, questo volume aiuta a gettare nuova luce sul più ampio significato culturale della Prima guerra mondiale, un «cataclisma storico» (Ferrero, p. 23) che cambiò il mondo dei contemporanei e il loro modo di guardarlo e di comprenderlo.

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