Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

38, 2012/1

Jörg Echternkamp - Wolfgang Schmidt - Thomas Vogel (ed.)

Perspektiven der Militärgeschichte

Review by: Marco Mondini

Editors: Jörg Echternkamp - Wolfgang Schmidt - Thomas Vogel
Title: Perspektiven der Militärgeschichte. Raum, Gewalt und Repräsentation in historischer Forschung und Bildung
Place: München
Publisher: De Gruyter Oldenbourg
Year: 2010
ISBN: 978-3-486-58816-3

Reviewer Marco Mondini - Università di Padova- Isig

Citation
M. Mondini, review of Jörg Echternkamp - Wolfgang Schmidt - Thomas Vogel (ed.), Perspektiven der Militärgeschichte. Raum, Gewalt und Repräsentation in historischer Forschung und Bildung, München, De Gruyter Oldenbourg, 2010, in: ARO, 38, 2012, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2012/1/perspektiven-der-militargeschichte-raum-marco-mondini/

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A differenza di ciò che accade per molti uffici storici delle forze armate europee (e segnatamente a differenza di ciò che capita in Italia), il Militärgeschichtliches Forschungsamt della Bundeswehr (MGFA) si è distinto in questi anni per un’intelligente attività di promozione scientifica e per un’intensa attività editoriale. In ambedue i casi, il MGFA si è distinto per la capacità di alimentare il dibattito storiografico a proposito del rinnovamento della storia militare e dei nuovi confini che essa si deve porre, sia in termini metodologici, sotto la pressione dell’utilizzo di nuove categorie tratte dai cultural studies, sia cronologici. Non casualmente, la ricca collana delle sue pubblicazioni «Beiträge zur Militärgeschichte» è ormai un punto di riferimento per gli storici che si occupano di guerra e forze armate, per la vastità dei temi (dalla storia sociale militare alla storia della guerra fredda, dai crimini di guerra tedeschi ai rapporti tra forze armate e potere politico nella DDR fino agli studi sulle cosiddette «guerre postnazionali») e per la qualità delle opere.

Nel 2007, in occasione del cinquantesimo dalla fondazione, il MGFA organizzò un importante convegno internazionale sulle prospettive della storia militare dopo il 1945, a cui parteciparono una trentina di specialisti, sia tratti dalla vasta schiera dei brillanti collaboratori dell’ufficio (militari e civili), sia dalle fila dei più noti studiosi europei e americani (tra gli altri, Alan Kramer, Volker Berghahn, Jörn Leonhard). Da quel convegno nasce questo volume, una efficace sintesi di alcune delle frontiere più interessanti della ricerca attuale ma anche una riflessione ampia e critica sulla storiografia militare nella seconda metà del Novecento, con particolare riferimento agli studi della e sulla Germania.

Benché il convegno sia stato organizzato su tre assi tematici, per l’appunto «spazio», «violenza» e «rappresentazione», il volume si articola in realtà in sei sezioni, ampiamente autonome nel proprio sviluppo e nei propri contributi: l’istituzionalizzazione della storia militare dopo il 1945; guerra, forze armate e spazio; controllo militare e violenza; rappresentazione culturale della guerra e dei combattenti; tradizioni e identità della Bundeswehr; la formazione storica dei militari come risorsa per le operazioni odierne. Si tratta di un quadro assai ampio che implica la definizione e la discussione di accezioni differenti della Militärgeschichte, e che, proprio per questo, si presta bene sia per dimostrare le capacità plurali della disciplina sia per sottolineare i rischi di confusione nel modo in cui la storia della guerra-storia militare può essere recepita e concepi- ta. In molti interventi, la Militärgeschichte è intesa come disciplina specialistica della storia e, in particolar modo qui, della storia contemporanea: lontana ormai dal vetusto significato di histoire bataille, la storia sociale e culturale delle istituzioni militari e della guerra è una via preferenziale per osservare i processi genetici delle identità (nazionali, sociali, sessuali) e in generale il rapporto tra le comunità politiche e il proprio passato. In questo senso, sono da leggersi ad esempio il contributo di Jörn Leonhard sulle forze armate e l’esperienza della guerra come momento di integrazione sovranazionale (immaginato, sperimentato e alla fine fallito) nella monarchia asburgica, analizzato comparativamente al caso britannico, tradizionalmente percepito come anomalo (l’unica potenza europea senza esercito di coscrizione) e marginale («Integrationserwartungen und Desintegrationserfahrungen», pp. 149-165). Leonhard richiama qui i suoi studi precedenti sul legame tra guerra, nazionalismo e costruzione statuale fino alla Grande Guerra, legame che trova nel modello della Nation in Waffen, nelle diverse declinazioni monarchico-prussiana o repubblicana-francese, una dimostrazione paradigmatica della centralità delle armi e dei miti guerrieri nell’immaginario europeo tra XVIII e XX secolo. Anche gran parte degli interventi della quarta sezione vedono prevalere un’interpretazione della «storia militare» come histoire culturelle de guerre, per utilizzare la categoria efficacemente coniata dalla scuola di Pèronne. Esemplare, in questa prospettiva, lo studio di Christian Kehrt sulla rappresentazione del pilota tedesco nella Seconda guerra mondiale. Kehrt, che all’argomento ha dedicato la sua tesi nel 2007, intreccia lo studio della genesi di un’immagine pubblica e di un’autopercezione di élite a quello della produzione di un habitus del «guerriero moderno», eroico e tecnologico insieme, combinando lessici di derivazione bourdiediana e foucoltiana.

Ma non sempre la definizione di quali siano i confini e le prospettive della Militärgeschichte emerge con chiarezza. Da questo punto di vista, la seconda sezione, dedicata all’importanza dello spazio nella storia militare, è alquanto confusa, come risulta anche dal Kommentar finale affidato a Bernhard R. Kroener (pp. 165-172): per irruzione della dimensione spaziale nello studio del fatto guerriero e della vita militare si intende sottolineare l’importanza della variabile spazio nella dottrina e nella pianificazione o fare riferimento all’influenza che il paradigma dello spatial turn ha, e particolarmente proprio in Germania, negli ultimi anni? L’introduzione dei curatori (pp. XIII ss.) fa riferimento all’importanza che la nuova dimensione della spazialità assume nella prospettiva di un boom di una rinnovata storiografia militare, ma i contributi non lasciano intravedere alcun collegamento diretto o esplicito in questo senso. Al contrario, altri elementi più canonici della storiografia culturale di guerra (l’esame della dimensione e della ricezione della violenza all’epoca delle guerre mondiali e del suo ruolo nel definire nuovi paradigmi dei rapporti di genere, cardine tematico della terza parte) sono utilizzati più nettamente e con risultati anche molto più soddisfacenti.

Un ulteriore limite del volume potrebbe essere imputato al suo non esplicito ma sostanziale squilibrio a favore della storiografia e della storia tedesca. In realtà, si tratta di una lacuna più apparente che reale. In primo luogo, perché, se la sproporzione a favore del caso tedesco (anzi, della Germania Ovest dopo il 1945) è ben evidente, essa fa sì che il volume si presenti come prezioso compendio della storiografia sulla Germania a beneficio del lettore non tedesco. La quinta sezione (pp. 269-322), ad esempio, permette in relativamente poco tempo anche al non esperto di impadronirsi della coordinate principali dell’autorappresentazione della Bundeswehr nel complesso (e per certi versi aporematico) processo di denazificazione iniziato con la rifondazione di un apparato militare negli anni Cinquanta. Ancora oggi la retorica ufficiale prevede che le tradizioni della Bundeswehr affondino nel retaggio, liberale e vagamente repubblicano, dei corpi franchi delle guerre di liberazione contro Napoleone, nel Bürgersoldat del 1848-1849 e nelle velleitarie aspirazioni dei generali che cospirarono contro Hitler nel luglio 1944. Quali siano stati e siano tutt’oggi i limiti di queste discendenze simboliche è, ovviamente, una questione ancora aperta.

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