Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

36-37, 2010-2011/1

Philippe Büttgen - Christophe Duhamelle (ed.)

Religion ou confession

Review by: Émilie Delivré

Editors: Philippe Büttgen - Christophe Duhamelle
Title: Religion ou confession. Un bilan franco-allemand sur l’époque moderne (XVIe-XVIIIe siècles)
Place: Paris
Publisher: Editions de la Maison des sciences de l’homme
Year: 2010
ISBN: 978-2-7351-1269-2

Reviewer Émilie Delivré

Citation
É. Delivré, review of Philippe Büttgen - Christophe Duhamelle (ed.), Religion ou confession. Un bilan franco-allemand sur l’époque moderne (XVIe-XVIIIe siècles), Paris, Editions de la Maison des sciences de l’homme, 2010, in: ARO, 36-37, 2010-2011, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2010-2011/1/religion-ou-confession-un-bilan-franco-emilie-delivre/

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Il volume pubblica gli atti di un colloquio internazionale organizzato alla Mission historique française en Allemagne di Göttingen. Si tratta di una ricca raccolta di saggi, che operano una riflessione sulla storiografia religiosa francese e tedesca e aprono numerose strade per future ricerche.

Più che definire la specificità del suo oggetto, lo scopo dell’opera è relazionarsi con e distanziarsi dalla storia religiosa sull’epoca moderna, ovvero «comparare», come annunciato dai due curatori. Nell’introduzione, Büttgen e Duhamelle fanno il punto su alcune differenze strutturali delle due storiografie: in Francia la storia religiosa è un lavoro da storici, mentre in Germania, invece, spesso la storia della religione viene scritta da docenti della Facoltà di Teologia (che, diversamente dalla Francia, fa parte dell’università pubblica), come Friedrich Wilhelm Graf o Hubert Wolf. Soltanto negli ultimi decenni anche Allgemeinhistoriker come Wolfgang Reinhard o Heinz Schilling sono entrati nello studio della religione attraverso il concetto fertile della Konfessionalisierung. Quello che si chiama Religionsgeschichte non è prodotta da tutti coloro che fanno storia e parlano di religione; implica anche un certo tipo di approccio, una storia culturale della realtà religiosa, che non è per niente consensuale in Germania, mentre lo è molto di più in Francia. Lì, la storia della religione è nata dallo studio della religione di massa e ha intessuto quindi rapporti stretti con la demografia e le rappresentazioni collettive. Infine, secondo i curatori, si sa sempre di uno storico della religione tedesco se è protestante o cattolico (dal tema che sceglie, la maniera della quale ne parla, anziché dal fatto che la confessione viene dichiarata molto semplicemente), mentre in Francia, la complessa laicité fa che la fede di uno storico viene nascosta, quasi con vergogna.

Il volume Religion ou Confession comprende ventisette saggi di storici francesi e tedeschi (questi ultimi tradotti in francese) ed è organizzato in tre sezioni. Nella prima, Cadres et conditions de l’histoire du religieux à l’époque moderne, i saggi di Dominique Julia, Volker Leppin, Kaspar von Greyerz e Hubert Bost trattano della storia delle differenti storiografie nazionali: chiariscono perché e come siano ancora oggi divergenti gli approcci a uno stesso oggetto. Julia si chiede se lo slancio attuale della storiografia religiosa sia il sintomo di una rimozione religiosa (p. 44). Loda la fecondità dei nuovi studi, ispirati all’antropologia, ma nota che allo storico francese manca un bagaglio teologico, nel senso di una conoscenza delle teorie religiose dei tempi più remoti. Leppin affronta la problematica tipicamente tedesca dello statuto della storia della Chiesa come scienza ausiliaria della teologia. Secondo von Greyerz (p. 77), gli studi su una specifica confessione dovrebbero riprendere le questioni comuni a tutte le confessioni: questo è l’obiettivo di una storia religiosa adatta ai nostri tempi. Infine, per Bost (p. 111), lo storico dovrebbe interrogarsi su questa dimensione ‘non riducibile’ dell’essere umano, ovvero la propensione a credere, che secondo l’autore viene troppo spesso occultata dalla ricerca francese.

Nella seconda parte, Instances, modes et pratiques religieuses à l’époque moderne, il volume prosegue seguendo una logica a specchio. Andreas Holzem studia la praxis pietatis, ovvero la religione vissuta. Critica una storia della confessionalizzazione vista unicamente attraverso la prospettiva dello stato territoriale, senza lasciare spazio alle connessioni extra-statali che ne aiutano il processo. Il suo omologo francese Philippe Martin analizza come il fedele si può appropriare del messaggio cristiano fra i secoli XVI-XVII, e quali sono le strategie per questa appropriazione (oggetti e spazi della devozione, la rilevanza della dimensione dell’intimità). Christophe Duhamelle, analizzando le categorie di individualecollettivo, interno-esterno, discute l’assenza delle pratiche collettive, a suo parere un «no man’s land tedesco» (p. 177). Critica anche postulati di ricerca non abbastanza giustificati: per esempio, che i segni esteriori della religione siano tipicamente cattolici (Verdinglichung), mentre il protestantesimo sarebbe tutto religione interiore (Verinnerlichung). Hartmut Kühne completa gli assunti di Duhamelle mostrando come tutta una parte della pietà protestante debba essere ancora studiata. Manfred Jakubowsky-Tiessen rileva lo scarso numero di studi sul clero di età moderna, evidenziando il fatto che spesso il problema viene osservato attraverso la lente statale, senza guardare se il clero applicasse veramente le direttive delle autorità; mentre Bernard Dompnier studia il clero come gruppo sociale. Nicolas Lyon-Caen opera uno stato della questione dei differenti tribunali della Chiesa nel Regno di Francia dal XVI al XVIII secolo, mentre Axel Gotthard considera la divisione giuridica come uno dei maggiori problemi che dovette affrontare l’Impero nell’età confessionale. Claire Gantet si occupa delle concezioni che gli uomini del XVI e XVII secolo avevano dell’irrazionale e dei modi di discernere il vero; Birgit Emich nota che la confessionalizzazione ha aperto la ricerca nel campo delle relazioni internazionali alla storia sociale e ha stimolato la collaborazione con la teologia e la storia ecclesiastica. In un interessante saggio, Alain Tallon mostra come manchino in Francia ricerche sulla monarchia francese vista come Stato confessionale: secondo l’autore, gli storici francesi hanno una tendenza a vedere nello Stato un’alternativa alla Chiesa (p. 368). Anne Bozon loda le recenti evoluzioni dei lavori sulle parrocchie che mostrano quali esse erano: uno spazio di vita religiosa fatta di scambi molteplici, dotata di una certa autonomia e generatrice di identità; Claudia Ulbrich mostra, infine, come la nozione del Kommunalismus, sviluppata da Peter Blicke negli anni Settanta, sia arrivata a modellare lo studio della parrocchia.

La terza sezione, Religion, vérité et société, inizia con un saggio di Philippe Büttgen che discute il concetto di Konfessionskultur. Christian Grosse non solo opera un bilancio dell’antropologia storica, che negli ultimi anni ha conosciuto molte pubblicazioni, soprattutto in Germania, ma anche ne storicizza diversi concetti, a sua opinione ancora carichi di un valore evoluzionista. Thomas Kaufmann incoraggia nuove piste di ricerca sulla teologia universitaria dell’epoca moderna che considerino anche ciò che va oltre il semplice scambio di sapere nelle università (pratiche, spazi, reti). Stefan Ehrenpreis opera, con successo, una comparazione della storia dell’educazione e della storia religiosa, mostrando come sia stata soprattutto la storia religiosa a incoraggiare una storia sociale dell’educazione nelle scuole elementari e come in Germania la storia dell’educazione sia parte della scienza dell’educazione. Patrice Veit compara la storiografia del canto e della musica religiosa in Germania e in Francia, mentre Denis Crouzet studia l’immaginario cattolico nel XVI secolo. Infine, Pierre-Antoire Fabre e Angelika Schaser aprono l’orizzonte alle riflessioni sulla storia delle missioni e delle conversioni. Per concludere, Etienne François incoraggia l’apertura del dibattito franco-tedesco al di là dei confini europei.

Una delle pochissime obiezioni che potrei muovere al libro, è il fatto che non siano stati considerati nomi importanti della storia religiosa di lingua inglese, come David Blackbourn, e che non vengano menzionati, per esempio, i lavori di Jonathan Sperber. Pochi autori aprono alla comparazione verso altre realtà nazionali. Rimane anche stranamente assente (a parte la menzione in poche note) nell’opera di Friedrich Wilhelm Graf Wiederkehr der Götter del 2004. Il volume, inoltre, avrebbe potuto insistere maggiormente sulle possibilità offerte dallo studio del linguaggio e della comunicazione religiosa, dal momento che le confessioni religiose si sono diffuse attraverso il «verbo». Alcune idee sono già state elaborate da Graf, ma anche da Lucian Hölscher con la ripresa dei metodi della Begriffsgeschichte per una storia dei concetti religiosi: infatti, non è proprio il linguaggio la sede privilegiata delle contaminazioni fra – per esempio – confessioni diverse, o religione e politica, o ancora religione e diritto? Per concludere, è un libro importante, che opera un’ampia comparazione ed è particolarmente stimolante: auspichiamo che essa possa incoraggiare altri volumi di questo tipo, relativi, per esempio, alla comparazione italo-germanica.

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