Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts

36-37, 2010-2011/1

Beat Kümin (ed.)

Political Space in Pre-Industrial Europe

Review by: Massimo Rospocher

Editors: Beat Kümin
Title: Political Space in Pre-Industrial Europe
Place: Aldershot
Publisher: Ashgate
Year: 2009
ISBN: 978-0-7546-6072-9

Reviewer Massimo Rospocher - FBK-ISIG

Citation
M. Rospocher, review of Beat Kümin (ed.), Political Space in Pre-Industrial Europe, Aldershot, Ashgate, 2009, in: ARO, 36-37, 2010-2011, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2010-2011/1/political-space-in-pre-industrial-europe-massimo-rospocher/

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Esaurita la deriva post-modernista del linguistic turn, la ricerca storica pare avere imboccato nell’ultimo decennio un nuovo tornante storiografico, il cosiddetto spatial turn. Con tale etichetta si richiama quell’attitudine a considerare la dimensione spaziale che accomuna molte discipline delle scienze umane e sociali, a partire ovviamente dalla geografia storica e culturale, sino alla storia della letteratura – basti pensare, ad esempio, all’impostazione del recente Atlante della letteratura italiana (Torino, Einaudi, 2010). Nell’alveo di questo contesto epistemologico si colloca il presente volume, che mette a disposizione i primi risultati del network accademico di ricerca Social Sites – Öffentliche Räume – Lieux d’Échanges, che coinvolge le Università di Warwick, Dresda e Parigi I.

La nozione di political space, da tempo impiegata nella geografia politica e in ambito antropologico, ha ricevuto recentemente una crescente attenzione anche nelle altre discipline che s’interessano alle nuove modalità per descrivere gli attori, le strutture e i processi politici. La collezione di saggi si propone di investigare, in un’ottica interdisciplinare, la natura dello spazio politico nella realtà dell’Europa pre-industriale, con particolare riferimento all’Inghilterra e all’area linguistica tedesca. L’intento è di mettere alla prova le possibilità dello «spazio» come categoria analitica per la storia politica.

Nell’ambito del rinnovamento che ha coinvolto gli studi di storia politica e che ha condotto alla definizione di una Neue Politikgeschichte, un sempre maggiore interesse è rivolto alle forme di resistenza al potere, di riadattamento o di ‘reimpiego’ degli spazi pubblici delle città dell’Europa moderna e alla dialettica spaziale in atto tra le autorità e i governati. In questa prospettiva, anziché come un’entità statica assoluta o imposta dall’alto, lo spazio viene qui considerato in maniera relativistica e relazionale. Lo spazio è «il risultato dinamico dell’interazione di luoghi fisici, oggetti e individui» (Introduction, p. 8), è il prodotto tanto dai disegni delle autorità quanto dall’agire quotidiano della gente comune che lo attraversa.

Il tentativo di rappresentare la dimensione relazionale e dialettica dello spazio politico è il filo rosso che unisce i contributi della prima sezione della raccolta (Political Sites). Alcuni degli autori, adottando prospettive analitiche e scale d’osservazione differenti, mettono in questione diversi paradigmi della storiografia del secolo passato. Attraverso l’approccio sistemico di Niklas Luhmann, secondo cui il Sacro Romano Impero si configura come un ‘sistema’ appunto anziché come uno Stato, Henry J. Cohn (Representing Political Space at a Political Site: The Imperial Diets of the Sixteenth Century) analizza il funzionamento delle diete imperiali nel XVI secolo. In un Impero senza capitale le diete divengono da un lato il teatro di rappresentazione cerimoniale dell’autorità imperiale, dall’altro lo spazio politico dell’interazione e della mediazione tra le classi dirigenti e il sovrano; ma anche il possibile luogo di conflitto per la collocazione geografica delle assemblee stesse e dei rappresentanti al loro interno.

Come illustrato in maniera convincente nel contributo di Ronald G. Ash (The Princely Court and Politcal Space in Early Modern Europe) la corte non rappresentava solo il palcoscenico della habermasiana «repräsentative Öffentlichkeit», in cui avveniva la mise-en-scène del potere, come a lungo sostenuto da una storiografia riconducibile all’opera seminale di Norbert Elias. La corte era invece lo spazio dove aveva luogo un costante processo di negoziazione tra il principe e i cortigiani. Ciò si verificava attraverso la lotta per l’ascesa nella gerarchia spaziale dei palazzi principeschi, tramite le regolamentazioni dell’accesso dal mondo esterno e per mezzo dei rituali di comunicazione interni ad essa.

Contrariamente ad un assunto storiografico piuttosto consolidato, le taverne, le locande e le osterie non erano solo lo spazio pubblico in cui si manifestavano forme più o meno volontarie di dissenso. Come illustra la microstoria della città portuale di Southampton nell’Inghilterra del Seicento, nei luoghi circoscritti della sociabilità urbana operavano forme di sorveglianza sociale, politica ed economica, nonché di controllo sulla moralità pubblica (James Brown, Drinking Houses and the Politics of Surveillance in Pre-Industrial Southampton).

Anziché sui luoghi, la seconda sezione (Politics of Space) si concentra sugli aspetti riguardanti le politiche attraverso cui lo spazio veniva regolato o manipolato. In una società urbana che fondava gran parte della cultura politica e dell’ordine sociale sulla comunicazione orale il controllo dello spazio deteneva un’immensa importanza. In occasione di conflitti urbani la manipolazione dello spazio diveniva uno strumento di lotta da parte degli attori sociali. È questo il caso delle rivolte di barbieri in una libera città dell’Impero nel XVIII secolo analizzate da Alexander Schlaak (Social Space and Urban Conflict: Unrest in the German Imperial City of Esslingen am Neckar). Nel corso dei tumulti la lotta per il controllo o la violazione dello spazio sociale avversario erano elementi caratterizzanti della contesa.

L’incertezza dello spazio politico della Confederazione Svizzera è il tema affrontato da Andreas Würgler (Which Switzerland? Contrasting Conceptions of the Early Modern Swiss Confederation in European Minds and Maps). L’analisi delle mappe rivela come innumerevoli variabili e fattori, dall’appartenenza confessionale all’interesse politico di cartografi e diplomatici, rendessero la definizione dei con- fini politici e geografici svizzeri pressoché impossibile nella prima età moderna.

Seppure non privo di ambiguità, legate soprattutto alla problematica definizione della nozione stessa di «spazio», lo spatial turn ha avuto un indiscutibile impatto sulla storiografia recente. Nell’ambito della comunicazione politica, ad esempio, ha contribuito a rinnovare il dibattito sulla sfera pubblica, determinando un maggiore interesse verso la sua dimensione spaziale (topica) in rapporto dialettico con quella verbale/discorsiva (metatopica) – come esemplificato qui nell’ottimo contributo di David Zaret (Petitioning Places and the Credibility of Opinion in the Public Sphere in Seventeenth-Century England) che mette in relazione lo spazio politico astratto creato dalla stampa delle petizioni con i luoghi reali in cui le istanze diffuse avevano origine.

Tra le possibilità analitiche offerte dalla acquisita dimensione spaziale nella storia politica della prima modernità, vi è soprattutto quella di aver restituito concretezza alle procedure di contestualizzazione e di analisi processuale. Tale effetto è riscontrabile nella maggior parte dei saggi qui raccolti, in cui è manifesta l’attenzione verso i teatri degli eventi e la materialità degli spazi politici di antico regime, in cui avveniva lo scorrere di notizie e opinioni.

Chiese, corti, assemblee, diete imperiali, abitazioni private e residenze aristocratiche, locande, mercati, osterie, birrerie, club e coffee houses: quella che viene descritta nel volume è una geografia composita dello spazio politico pubblico nell’Europa della prima età moderna. Si tratta di una geografia che comprende vernacular places e official places, spazi politici informali e istituzionali, come evidenziato dall’antropologo James Scott nella prefazione al volume (p. 2). L’approccio spaziale permette di far emergere un pubblico eterogeneo della politica, un pubblico che popolava questi luoghi reali. Le schiere degli attori sociali che calcavano la scena politica nell’Europa della prima età moderna non erano composte solo dalle élites dominanti, ma anche dalle classi escluse dalla gestione diretta del potere.

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