VII, 2024/2

Francesco Piovan, Gian Maria Varanini (eds.)

Roberto Cessi (1885-1969)

Review by: Paolo Maria Amighetti

Editors: Francesco Piovan, Gian Maria Varanini
Title: Roberto Cessi (1885-1969). Cinquant’anni dopo
Place: Venezia
Publisher: Archivio Veneto
Year: 2022
ISBN: None

Reviewer Paolo Maria Amighetti - Università Cattolica del Sacro Cuore

Citation
P.M. Amighetti, review of Francesco Piovan, Gian Maria Varanini (eds.), Roberto Cessi (1885-1969). Cinquant’anni dopo, Venezia, Archivio Veneto, 2022, in: ARO, VII, 2024, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/2/roberto-cessi-1885-1969-paolo-maria-amighetti/

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Il fascicolo n. 23 di «Archivio Veneto» (sesta serie, 2022) a cura di Francesco Piovan e Gian Maria Varanini offre un quadro complessivo della figura dello storico rodigino, tra i protagonisti delle vicende intellettuali veneziane (e venete) dagli anni precedenti la Prima guerra mondiale fino alla morte[1]. Emerge, dai numerosi interventi qui riproposti, un quadro necessariamente sfaccettato, che dà conto, da molteplici prospettive, di una lunga esperienza biografica e scientifica. Pregio indubbio del volume, la pluralità dei punti di vista consente non soltanto di mettere a fuoco una ad una le principali tappe della formazione personale e culturale di un personaggio complesso, ma anche di apprezzarne i pregi rilevando, al contempo, i limiti di approcci e concezioni che oggi risultano inevitabilmente superati. I vari saggi, concentrandosi ciascuno su un aspetto o un’attività delle tante che videro impegnato il protagonista, ne delineano un ritratto composito, che è anche un po’, in filigrana, un affresco della storia italiana e delle vicissitudini politico-culturali del Paese tra la fine dell’Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento.

Se l’ambiente polesano in cui nacque e crebbe (Traniello, pp. 11-44) suggerì al giovane Cessi un’adesione precoce e mai abiurata agli ideali socialisti (Mansi, pp. 283-314)[2], il prosieguo della sua carriera come archivista ai Frari e studioso della Venezia medievale e moderna gli consentì di prendere parte a iniziative di rilevante interesse nazionale e non solo: si pensi alla sua partecipazione, nel primo dopoguerra, ai lavori della commissione incaricata di decidere le sorti degli archivi trentini, veneti e giuliani allora conservati nel defunto impero asburgico (Pistoia, pp. 167-182), o alla "dittatoriale" supervisione dei contributi di ambito veneto/veneziano all’Enciclopedia Italiana diretta da Giovanni Gentile (Varanini, pp. 253-281); esperienze alle quali Roberto Cessi accompagnò, dal 1927 agli anni Cinquanta, l’attività di docenza all’Università di Padova[3] e per circa un ventennio (1947-1969) la lunghissima e operosa presidenza della Deputazione di Storia Patria per le Venezie (Perini, pp. 217-244). Studioso precoce, archivista (Bonfiglio-Dosio, pp. 95-105) e ricercatore onnivoro, Cessi ha quindi attraversato, caratterizzandola, una lunga stagione storiografica, con un contributo che va oltre le pur numerose edizioni di fonti: si segnalano in particolare i molti studi sulla storia economico-sociale di Venezia (Fontana, pp. 45-93), del Veneto e di alcune zone della “Lombardia veneziana” (Valseriati, pp. 147-166)[4], e l’attenzione a temi fondamentali come quello, particolarmente suscettibile di distorsioni apologetiche o mitiche, delle origini e dei primi secoli di Venezia (Orlando, pp. 107-137). A questi è dedicato il libro Venezia ducale (1927), più volte rimaneggiato e rivisto, una delle poche monografie – assieme all’ambiziosa sintesi Storia della Repubblica di Venezia (1944-1946)[5] – pubblicate dall’infaticabile ricercatore che al giovane Gaetano Cozzi appariva (e non si trattava, da parte sua, di un elogio) come «il proprietario e il garante» della storia veneziana stessa (Trebbi, pp. 315-340). Legato, sul piano metodologico o quantomeno dei temi prediletti di ricerca, all’influenza della cosiddetta scuola economico-giuridica, Cessi fece propria una concezione fondata in particolare sull’esegesi delle fonti, sulla scorta di una lunga pratica di edizione e analisi documentaria affinata secondo i criteri dell’erudizione otto-novecentesca. Tale impostazione, animata da uno spirito in qualche modo positivistico[6] e orgogliosa del suo isolamento da più moderne concezioni storiografiche, negli anni della maturità dello studioso sconfinò talvolta in un atteggiamento di dura critica nei confronti dei colleghi più giovani (Marino Berengo in primis), provenienti – e non solo per ragioni anagrafiche – da scuole ed esperienze assai lontane dalla sua. Non è eccessivo affermare che la successiva storiografia sulla Repubblica di Venezia, prodotta innanzitutto da studiosi che Cessi non mostrò di apprezzare, abbia conservato ben poco della sua lezione, cui pure vollero rimanere legati allievi a lui cari come Paolo Sambin e Federico Seneca. Malgrado la distanza, temporale e anche culturale, che ci separa oggi dalla sua opera, non si può non riconoscere retrospettivamente a Cessi un ruolo significativo nel panorama culturale della sua epoca: un’importanza giustificata perlomeno dall’autorevolezza personale di cui egli godette, dalla quantità delle pubblicazioni, dall’assiduità nel lavoro. Il volume colloca lo studioso (e l’uomo) nel suo tempo, contestualizzandone l’opera con efficacia e compiutezza. Né lo studioso né l’opera, comunque, sembrano aver lasciato tracce durature nell’ultimo mezzo secolo di storiografia veneziana, figlia piuttosto dei destinatari delle sue "stroncature".

 

[1] Il fascicolo raccoglie le comunicazioni del Convegno di studi Roberto Cessi (1885-1969) cinquant’anni dopo, Padova-Rovigo, 6-7 dicembre 2019, organizzato dalla Deputazione di Storia Patria per le Venezie in collaborazione con l’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti di Padova e con l’Accademia dei Concordi di Rovigo.

[2] Il socialista Cessi evitò di compromettersi col regime, firmando il Manifesto crociano e seguitando a nutrire, sottotraccia, sentimenti antifascisti. La sottoscrizione gli si ritorse contro nel 1933, quando gli fu rifiutata per tale motivo la tessera del PNF che si era infine risolto a richiedere. Partecipò poi alla prima legislatura repubblicana tra le file dei socialisti.

[3] Ateneo presso il quale si era formato in gioventù.

[4] Anche se la puntualità e l’interesse dei suoi affondi su Brescia e Bergamo sembrano piuttosto modesti: una sensibilità sostanzialmente “veneziano-centrica” impediva in fondo a Cessi di apprezzare il ruolo di attori locali e comunità suddite, in radicale contrasto – vale appena la pena di rilevarlo – con la stragrande maggioranza della storiografia veneziana e veneta a lui successiva.

[5] Secondo Egidio Ivetic la lettura della Storia cessiana può essere ancor oggi «un’utile prova di iniziazione per chi abbia deciso di cimentarsi con la storia di Venezia» (Idem, pp. 139-145).

[6] Che non gli impediva, tuttavia, di formulare talvolta sull’amata Venezia giudizi tutt’altro che imparziali, addirittura dando a Federico Chabod l’idea di sposarne, in un saggio apparso nel 1943, la causa: una specie di «pregiudizio patriottico» riscontrato anche da Giuseppe Ricuperati (Trebbi, pp. 320, 331).

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