VII, 2024/2

Paola Somma

Non è città per poveri

Review by: Lucia Tedesco

Authors: Paola Somma
Title: Non è città per poveri. Vite e luoghi della Venezia popolare di inizio Novecento
Place: Venezia
Publisher: Wetlands
Year: 2024
ISBN: 9791280930255
URL: link to the title

Reviewer Lucia Tedesco - ISIG-FBK - Università di Torino

Citation
L. Tedesco, review of Paola Somma, Non è città per poveri. Vite e luoghi della Venezia popolare di inizio Novecento, Venezia, Wetlands, 2024, in: ARO, VII, 2024, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/2/non-e-citta-per-poveri-lucia-tedesco/

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In Campo Santa Margherita, nel cuore della Venezia insulare, lampeggia dal 17 aprile 2023 un numero a cifre variabili. L’insegna, ospitata nella vetrina di una libreria, vuole portare all’attenzione delle/dei passanti lo stretto rapporto che c’è tra spopolamento del centro storico veneziano e crescita del turismo. Da un po’ di anni, in effetti, si è acceso un forte dibattito sulla questione abitativa nel capoluogo veneto. L’aumento dei turisti rende il centro storico accessibile sempre più a pochi privilegiati e costringe molti degli abitanti a spostarsi lì dove il costo della vita è più sostenibile. Ma è sempre stato così?

Paola Somma, architetta e urbanista, accompagna le lettrici e i lettori nelle calli di una Venezia primo novecentesca. In questo caso, però, il tour non guarda allo splendore, allo sfarzo e alla maestosità della città da cartolina, ma svela l’altro lato della medaglia. I luoghi del disagio, dei vagabondi, di mendicanti, senza tetto, prostitute e ubriaconi. Nessuno, spiega nell’introduzione, «[…] ammette che il cosiddetto problema demografico di Venezia non è, e non è mai stato, una questione di numeri ma di capacità di spesa degli individui e dei gruppi sociali ai quali viene riconosciuto il diritto di vivere in città» (p. 17). In questo senso, la ricostruzione dell’autrice sembra rifarsi da subito al pensiero di Henri Lefebvre. Nel solco del pensiero marxista, infatti, il filosofo e sociologo francese è il primo ad occuparsi specificamente della questione urbana, spostando l’attenzione dalla classe operaia alla classe urbana. E, forse, proprio per questo nelle prime pagine del libro Somma ricorda La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) di Friedrich Engels, testo in cui il filosofo tedesco aveva definito «rivoltante» il modo in cui la grande massa dei poveri veniva trattata dalla società (p. 21).

In ciascuno dei dieci capitoli, l’autrice si sofferma in diverse parti della città insulare e tramite i giornali del tempo – precisamente «L’Adriatico», «Il Giornaletto», la «Gazzetta di Venezia» e «Il Secolo Nuovo» – restituisce uno spaccato di società perpetuamente marginalizzata e senza voce, che pian piano è stata allontanata dal centro urbano. La città dei poveri, le cui vite sono spesso nascoste, invisibilizzate. Una città in cui – come emerge nel secondo capitolo – l’insalubrità, il diffondersi delle epidemie e l’aumento della mortalità erano dovute unicamente all’addensamento della popolazione in case malsane, a pianoterra e in alcuni quartieri più di altri (concentrati visivamente in una mappa alla fine del libro). Persino il piano di risanamento del 1904, ossia la demolizione delle abitazioni insalubri, non servì a risolvere il problema. Al contrario, fu utile solo ad aumentare il valore delle case dei ricchi. Come se non bastasse, poi, le autorità veneziane usarono anche in seguito i dati relativi alle condizioni abitative della popolazione per ottenere benefici statali a vantaggio unicamente delle classi abbienti e dei proprietari.

Eppure, ricorda Clara Zanardi nella prefazione, questo atteggiamento nei confronti dei poveri non appartiene solo alla storia della Serenissima, così come non appartiene solo a questa città la progressiva marginalizzazione geografica delle classi popolari nei contesti urbani del Novecento: «… agli albori dell’età moderna il povero [aveva] perso quella connotazione che aveva avuto nel Medioevo, diventando agli occhi dei gruppi dominanti colpevole del proprio stato» (p. 13). Da qui, la crescente criminalizzazione di questa categoria di persone, percepite dalla politica sempre più come una minaccia, e per questo da spostare in altri spazi urbani. È emblematica la risposta delle autorità ai tumulti e alle proteste degli affamati che, fin dall’inizio della Prima guerra mondiale, si verificano in città: misure rigide – per reprimere l’accattonaggio e catturare i mendicanti – e trasformare interamente la compagine sociale (p. 119). Come? Selezionando gli abitanti e, come si è anticipato, ricollocandoli nello spazio. I fautori di questo progetto, non a caso, avevano a cuore anche il progetto della “grande” Venezia e la costruzione di una nuova area su una sponda barenosa di terraferma: i Bottenighi, ribattezzata Porto Marghera[1]. Secondo la loro visione, questa scelta avrebbe contribuito a ridurre la densità abitativa nella città storica e a favorire l’economia di tutto il territorio grazie all’aumento complessivo della popolazione, ora abitante la terraferma. Una bonifica «sociale» (così definita da Clara Zanardi nell’introduzione) o «umana», se si vuole restare ancorati alla fonte ritrovata da Somma (p. 134). In questo punto, più che in altri, la ricostruzione dell’autrice aderisce al pensiero e alle parole di Lefebvre quando scrive: «questa espansione della città si accompagna a una degradazione dell’architettura e del quadro urbanistico. La gente è costretta alla dispersione, soprattutto i lavoratori, allontanati dai centri urbani. Ciò che ha dominato il processo di espansione delle città, è la segregazione economica, sociale, culturale»[2].

In questo studio emerge come l’ingiustizia sociale sia strettamente legata all’ingiustizia ambientale[3]. Sarebbe, perciò, interessante approfondire il rapporto tra le due nel territorio della laguna veneta a partire dal periodo preso in considerazione da Somma, sia perché la città sta da tempo fronteggiando due sfide importanti – la crisi climatica e il sovraffollamento turistico – sia per le ferite lasciate dall’eredità chimica di Porto Marghera[4]. Chi sono – oggi – le/gli escluse/i, le/i marginalizzate/i, le/gli invisibilizzate/i a Venezia? Qual è la loro storia? Quale la loro voce?

 

[1] Sulla storia del polo industriale di Porto Marghera si vedano: G. Zazzara, I cento anni di Porto Marghera (1917-2017), in «Italia Contemporanea», 284, 2017, pp. 209-236; G. Zazzara, Il Petrolchimico, Padova, Il Poligrafo, 2009.

[2] H. Lefebvre, Spazio e politica: il diritto alla città II, Verona, Ombre corte, 2018, p. 121.

[3] Pur essendo nata come paradigma teorico solo alla fine dello scorso secolo, infatti, la giustizia ambientale chiede che tutte le persone, senza distinzione alcuna, abbiano il diritto di vivere in un ambiente sano, sicuro e giusto. Per approfondire la nascita e la storia del dibattito sulla giustizia ambientale – la cui letteratura è ampia –  mi limito a rimandare al saggio di Francesca Rosignoli, Giustizia ambientale. Come sono nate e cosa sono le diseguaglianze ambientali, Roma, Castelvecchi, 2020.

[4] Sul tema, mi permetto di segnalare Lucia Tedesco, Nelle notti abitate da fuochi di chimica combusta: giustizia ambientale e pratiche di resistenza nella laguna veneta (1990-2022), in «L’altro diritto. Rivista», 7, 2023, disponibile all’url: https://www.pacinieditore.it/wp-content/uploads/2024/05/5-Tedesco.pdf, consultato il 09/07/2024.

 

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