Reviewer Marco Zanella - Università di Trento
Citation«Il governo è diviso in due parti: perché in un modo i Signori sé medesimi: in un altro i sudditi loro governano»[1]. Così scriveva Giovanni Botero nella sua Relazione della Repubblica Veneziana, data alle stampe nel 1605 dopo un lungo processo di “revisione” ad opera del Consiglio dei Dieci. Una apparente incomunicabilità emerge qui dal discorso boteriano posto «a mo’ di introduzione» da Giovanni Florio nel suo libro Micropolitica della rappresentanza. Dinamiche del potere a Venezia in età moderna. Il libro, scritto nell’ambito del progetto ERC “RISK – Republics on the Stage of Kings”, conduce un’indagine minuta per capire il modo in cui parti così separate abbiano potuto, in certa misura, avere un contatto (micro)politico. Le figure che emergono sono quelle dei “nunzi” e degli “oratori”, agenti diplomatici delle città della Terraferma veneta, inviati a Venezia per rappresentare le necessità e gli interessi delle communitates suddite. Attraverso gli epistolari dei nunzi e degli oratori, fonti voluminose e preziosissime sia per la ricchezza delle informazioni sia per la loro profonda qualità, Florio delinea i termini del confronto tra dominanti e dominati, individua i luoghi in cui esso avveniva e le strategie adottate di volta in volta per avere la più alta efficacia possibile nel portare a termine gli “uffici”. Comprendere insomma se, e come, sia stato possibile aggirare quella «separatezza» di cui parlava Claudio Povolo[2] e ribadiva Gaetano Cozzi: influenzare, formalmente e informalmente, il processo decisionale tutto aristocratico (anzi oligarchico), presentando istanze micropolitiche o politiche tout court.
Il tentativo di indagare in profondità il modo in cui la Repubblica abbia potuto reggere i propri territori dello Stato da Terra è stato recentemente rinvigorito da nuove ricerche: il ruolo svolto dai rettori patrizi non può essere sicuramente ridotto ad un'asettica rappresentanza della Dominante presso le città suddite, come, forse, prescrivevano le “parti” licenziate dal Senato veneziano. Della magistratura rettorale, dal carattere composito e agente a vari livelli, ha messo in luce le manifestazioni, partendo dalle raffigurazioni celebrative, Marco Bellabarba[3] evidenziando come i legami creatisi tra rettori e nobiltà cittadine travalicassero i limiti della formalità esatta dalle leggi. E proprio su questa linea insiste il libro di Giovanni Florio, ma spostando il fuoco dello sguardo: non sulla Dominante in Terraferma quanto piuttosto sulla Terraferma nella Dominante.
Nel primo capitolo l’autore traccia il «lessico della rappresentanza» analizzando tre casi della Terraferma veneziana tra i secoli XV e il XVII: Verona, Vicenza e Padova. L’introduzione e la stabilizzazione di rappresentanti fissi presso la Dominante da parte delle città suddite avvenne in un lungo arco di tempo, seguendo lo sviluppo interno delle magistrature veneziane e in corrispondenza della strutturazione delle rappresentanze diplomatiche internazionali. Facce di una stessa medaglia, questi processi rispondono inevitabilmente, come peraltro sottolinea Florio nel corso di tutto il libro, alla particolare natura della Repubblica di Venezia. La separatezza, la voluta e reiteratamente confermata differenza tra dominanti e dominati, ha posto le communitates suddite davanti ad un ineluttabile percorso: per comunicare con le magistrature patrizie era necessario individuare i centri più adatti alla presentazione delle proprie istanze, cambiati al mutare degli equilibri istituzionali, e al contempo avere ben presente la distanza che intercorreva tra la Terraferma (in questo caso) e Venezia, si direbbe, in un certo senso, tale da giustificare processi simili osservabili nella diplomazia tra “Stati”. Riprendendo e svolgendo gli spunti di ricerca da lui stesso proposti in altre sedi[4], Florio delinea con precisione le figure di nunzi e oratori, le loro funzioni, spesso sovrapponibili ma mai davvero interscambiabili, la natura antropologicamente e giuridicamente definita dei rappresentanti e, infine, l’azione non passiva della via supplicationis, man mano affermatasi come principale strumento micropolitico nell’ambito veneziano.
Il secondo capitolo prende in considerazione la natura del rappresentante ideale: date le “parti” prese dai consigli cittadini, Florio definisce l’effettiva manifestazione di esse nella scelta dei nunzi sudditi, analizzando curriculum e retorica supplicatoria dei candidati di volta in volta presentatisi per assumere la carica. Gli elementi che emergono determinanti nella scelta sono i seguenti: esperienza giuridica, appartenenza ad una nobiltà di secondo piano e possesso di una rete di conoscenze e protezioni, le più ampie possibile, a Venezia da mettere a disposizione degli interessi della città per cui si prestava servizio. Dettagli non irrilevanti se si vuole comprendere a fondo i meccanismi e le logiche che regolavano la rappresentanza suddita e la possibile – nonché, per essi, auspicabile – influenza sui processi decisionali della Dominante.
Il terzo capitolo è dedicato alle pratiche poste in atto da nunzi e oratori per ottenere i favori della Repubblica, nelle persone dei suoi magistrati.«Clientele repubblicane» è il titolo scelto, e trovo sia quello più adatto a descriverne la sostanza. E già dall’immagine della copertina del libro comprendiamo il tenore delle relazioni, almeno una parte di esse, tra patrizi e nunzi: l’incisione di Giacomo Franco mostra «Palazzo Ducale visto dalla Piazzetta[5], e distinguiamo con facilità nobili veneziani intenti a fare “broglio” con altri patrizi, con cittadini veneziani e, non ultimi, con i rappresentanti delle città di Terraferma. I legami tra i governanti e i governati sono bene evidenziati nel corso di tutto il capitolo, dal quale emerge un particolare tipo di rapporto clientelare. Impossibile riferirsi con precisione all’ormai consolidato schema “patron-broker-client”, agevolmente applicabile ad altre realtà ma non a quella veneziana. Certo è, tuttavia, che i contatti tra rappresentanti sudditi e governanti non avvenisse solamente nella sala del Collegio ma che si strutturasse anche attraverso contatti privati (“uffici a parte”) con patrizi “protettori” delle città e con l’intermediazione di quei funzionari della Repubblica, i “cittadini originari”, profondamente immersi nei meccanismi delle istituzioni della Serenissima.
E infine il quarto capitolo analizza un caso particolarmente rilevante per comprendere come il patriziato veneziano sfruttasse il rapporto con le proprie communitates suddite (e i loro rappresentanti) al fine di influenzare le votazioni in Collegio o in Senato. Nel primo Seicento, il nobile padovano Francesco Zabarella ebbe una controversia giudiziaria, di carattere del tutto privato, con il monastero di Praglia circa la compravendita di un terreno sul quale i monaci rivendicavano un diritto di prelazione. Il caso, una volta portato a Venezia, servì da pretesto per l’approvazione di una “parte” del Senato che vietava in tutto il Dominio qualsiasi prelazione ecclesiastica nell’acquisto di beni laici. Il processo attivò tutti i canali dei rapporti tra governanti e governati, tra patroni protettori e protetti, tra nunzi, oratori e patrizi componenti il Pien Collegio: un esempio plastico di come la micropolitica della rappresentanza potesse trasformarsi in politica effettiva della Repubblica.
Quanto questa simbiosi atipica, amicale nei termini e formalmente diseguale, abbia pervaso il mondo della Serenissima è chiarissimo dalle fitte pagine di questo bel libro. I risultati già li tratteggiava Gaetano Cozzi in quel vivido affresco che è il suo saggio Ambiente veneziano, ambiente veneto: un patriziato veneziano di «tipo nuovo», che dal ‘600, pur mantenendo la propria alterità, risultava influenzato dal contatto, mai passivo e mai del tutto unilaterale, con i rappresentanti delle comunità suddite[6].
[1] G. Botero, Relatione della Repubblica Venetiana, appresso Giorgio Varisco, Venezia, 1605, c. 28v.
[2] C. Povolo, L’intrigo dell’onore. Poteri e istituzioni nella Repubblica di Venezia tra Cinque e Seicento, Verona, Cierre, 1997, pp. 103-105.
[3] M. Bellabarba, Rettori veneti e città di Terraferma nel primo Seicento: immagini e parole, in G.M. Varanini (ed.), Rituali civici e continuità istituzionale nelle città italiane in età moderna, Roma, Viella, 2023, pp. 31-47. [4] G. Florio, Représentants des villes de la Terre Ferme à Venise durant l’Interdit (1606-1607). Nonces et ambassadeurs citadins entre instances locales et politiques internationales, in L. Faggion – C. Regina (a cura di), Les expressions de la manipulation du Moyen Âge à nos jours, Paris, Classiques Garnier, 2016, pp. 127-154. [5] G. Franco, Habiti d'huomeni et donne venetiane, con la processione della Serma Signoria et altri particolari, cioè trionfi, feste et cerimonie publiche della nobilissima città di Venetia, Venezia, formata in Frezaria al Sol, 1614 (I edizione 1610), c. 26v. [6] G. Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto. Governanti e governati del dominio di qua del Mincio nei secoli XV-XVIII, in G. Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nella Repubblica di Venezia in età moderna, Venezia, Marsilio, 1997, p. 323.