VII, 2024/2

Marzia Giuliani

La Repubblica dei Segretari

Review by: Giovanni Florio

Authors: Marzia Giuliani
Title: La Repubblica dei Segretari. Potere e comunicazione nell'Italia d'Antico regime
Place: Roma
Publisher: Carocci
Year: 2022
ISBN: 9788843098736
URL: link to the title

Reviewer Giovanni Florio - Università di Padova

Citation
G. Florio, review of Marzia Giuliani, La Repubblica dei Segretari. Potere e comunicazione nell'Italia d'Antico regime, Roma, Carocci, 2022, in: ARO, VII, 2024, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/2/la-repubblica-dei-segretari-giovanni-florio/

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Come titolo per la sua seconda monografia, Marzia Guliani sceglie un’espressione tratta dalla lettera che, il 20 settembre 1596, il segretario ed epistolografo pistoiese Bonifacio Vannozzi inviò al suo collega Bartolomeo Zucchi, allora impegnato nella collezione dei materiali che avrebbero composto la sua Idea del segretario, «emblema delle raccolte epistolari concepite quali manuali a uso del segretario» (p. 71).

Il ricorso all’espressione “repubblica dei segretari” presuppone, secondo l’autrice, due principali condizioni: la prima, è il persistere di un’orgogliosa autocoscienza dello status e della funzione di segretario in una congiuntura che, secondo la storiografia, ne vedrebbe l’arretramento da una posizione di attore politico a quella di mero tecnico scrittorio al servizio del potere; la seconda, è l’esistenza di uno «spazio ideale» (p. 211) entro il quale esprimere tale autocoscienza e legittimare la propria funzione, «un luogo di incontro alla pari, di conversazione e di reciproca solidarietà» (p. 214). I termini di questa autocoscienza segretariale, l’estensione di questo spazio ideale e i meccanismi comunicativi che gli diedero sostanza e visibilità sono gli oggetti della ricerca di Marzia Giuliani.

Essa si snoda dal 1561 al 1628, abbracciando una congiuntura che si vorrebbe segnata, come si è detto, da un ridimensionamento della statura politica e culturale del segretario, ma anche dalla svolta retorica ed editoriale che vide il libro di lettere d’ascendenza umanistico-rinascimentale ripiegare su una funzione sempre più manualistica, di repertorio a beneficio dei professionisti della scrittura per conto d’altri. La discussione di questi paradigmi attraversa le 307 pagine del volume di Marzia Giuliani.

Le fonti convocate dall’autrice sono «una quarantina di epistolari a stampa, per diverse migliaia di lettere, che si collocano nel pieno della fase di transizione sul crinale tra Cinquecento e Seicento». Una fonte «originale se non insolita» (p.13), nota alla critica letteraria, ma che l’autrice, in maniera invero avvertita, rivaluta nella sua dimensione di evidenza storico-politica, antropologica e sociale. Diverse le metodologie chiamate in causa: l’autrice evidenzia, oltre all’archival turn, «gli apporti della storia del libro, della lettura e della letteratura, i court studies e i nuovi approcci della storia diplomatica, e infine il dibattito aperto nella storia della comunicazione e dei media della prima età moderna su categorie quali printing revolution, spazio pubblico, sistema multimediale, o ancora information revolution» (p. 16). Originale, inoltre, il ricorso agli «studi di genere» (p. 175), necessario per apprezzare la complessità di una fonte che, anche da questo punto di vista, si rivela ampia e plurale. Infine, la “vecchia” storia politica, onnipresente nella riflessione dell’autrice, che guarda ad essa da angolature che alludono ora alla microstoria ora alla storia locale, rese possibili – se non necessarie – dalla collocazione periferica – ma in realtà policentrica – degli scriventi e dei loro editor.

Quattro gli autori presi in considerazione con la loro produzione di antologie epistolari: il piacentino Alberto Bissa, il monzese Bartolomeo Zucchi e il pistoiese Bonifacio Vannozzi, tutti attivi come segretari, e l’alessandrino Annibale Guasco, che segretario non fu, ma che «scrisse come un segretario» (p. 14). Ad ognuno di loro è dedicato un capitolo del volume; di fatto, la biografia e gli scritti dell’uno sconfinano a più riprese in quelli dell’altro, e non può essere diversamene in un libro dedicato all’indagine di una repubblica il cui spazio, estremamente fluido, è dato dall’aprirsi, intrecciarsi e contrarsi di reti di socialità e comunicazione, di dibattito e mutuo riconoscimento.

Di questa repubblica in perpetuo movimento, Marzia Giuliani ricostruisce il segmento che fa perno sul lignaggio degli Sfondrati, famiglia alla quale ognuno degli autori considerati è, più o meno direttamente, legato. Si tratta di un segmento apparentemente periferico e limitato,  ma che proprio in virtù della natura reticolare della repubblica dei segretari – ma verrebbe da dire del potere, e non solo in Antico regime –, dal suo baricentro padano interseca traiettorie più ampie, che si irradiano da Madrid a Varsavia, passando per la Torino sabauda, la Milano borromaica, la Venezia dei poligrafi e, naturalmente, la Roma della matura Controriforma e del pontificato di Gregorio XIV, al secolo Nicolò Sfondrati.

In questo mondo di grandi e piccoli principi, di corti e microgiurisdizioni, di monarchie composite e stati territoriali, in questo mondo già barocco in cui l’incipiente burocratizzazione e istituzionalizzazione delle professioni tende a ridimensionare il profilo più propriamente politico del segretario, quest’ultimo si legittima attraverso la mediatizzazione di una funzione che trascende la mera pratica della scrittura per conto del signore. Lungi dal limitarsi alla stanca riproduzione di formulari e capi retorici, i libri di lettere scorciano un profilo ideale del segretario rivendicandone la funzione di consigliere politico, ritraendolo al cuore di reti politiche e culturali transnazionali ed esaltandolo, infine, nel suo ruolo di mediatore: tra i pensieri del suo signore e la carta alla quale sono affidati; tra mittente e destinatario; tra processo decisionale e sua messa a terra; tra oralità e scrittura; tra l’effimero della lettera e la durabilità dell’antologizzazione; tra il segreto dell’archivio e delle vicende familiari e la dimensione mediatica del libro a stampa.

Marzia Giuliani ricostruisce i termini di questa azione di mediazione districando i fili rossi che attraversano la rappresentazione di sé e della funzione segretariale che gli autori in analisi vollero restituire attraverso le loro antologie. Di ogni autore viene offerta non tanto la biografia, quanto i termini della sua ricostruzione e proiezione per mezzo del libro di lettere; allo stesso modo vengono trattate le reti politiche, culturali e sociali entro le quali essa si inserisce e che finiscono per definirla. Una scelta, questa, dettata dall’oggetto della ricerca (più che la realtà segretariale, la costruzione di una sua idea) ma anche dalla dichiarata scarsità di fonti bibliografiche e archivistiche su personalità che, anche nel più documentato dei casi, rimangono comunque oscure.

La trama di fili rossi offerta dai loro epistolari si dimostra, nonostante questo, oltremodo densa, coerente e minuziosamente considerata. Al punto, a tratti, da risultare disorientante. Di questa repubblica dei segretari, una mappa non guasterebbe: fuor di metafora, degli apparati che vadano oltre all’indice dei nomi aiuterebbero il lettore ad apprezzare ulteriormente l’acuto lavoro storiografico condotto dall’autrice e a destreggiarsi con maggior agio nell’enorme mole di dati e personalità, luoghi e date che ne è la sostanza. 

Chiaramente intelleggibile, invece, la polifonia entro cui si inserisce la singola antologia con la sua idea di segretario. Che il singolo epistolario a stampa non costituisca una voce isolata ma che, al contrario, il suo tema profondo sia comprensibile solo se inserito nel concerto dei suoi omologhi, è l’idea forte del volume. L’autrice la avanza con rigore e generosità, facendoci entrare più volte nel suo laboratorio e indicando i possibili sviluppi di un campo di ricerca che La Repubblica dei Segretari ha il merito di aprire: messe adeguatamente in dialogo con fonti d’archivio e manoscritte, osservate attraverso gli «strumenti elaborati nell’ambito della social network analysis in un quadro di digital humanities» (p. 272), le evidenze offerte – come si è dimostrato – dai libri di lettere consentirebbero la ricostruzione di una prosopografia del segretario ad un’altezza cronologica insolita, un torno di anni tra Cinque e Seicento segnato da un cambio di paradigma nella percezione e nell’esercizio della funzione segretariale, se non dell’idea stessa di Stato e, per dirla con il segretario Botero, della sua ragione.

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