Reviewer Andrea Dessardo - Università Europea di Roma
CitationÈ recentemente uscito nella collana “Quality Paperbacks” dell’editore Carocci La massoneria italiana. Dalle origini al nuovo millennio di Luca Giuseppe Manenti, volume che possiamo definire un’impresa ambiziosa al limite della sfrontatezza perché, dovendo condensare in maniera esauriente in appena duecento pagine ben tre secoli di storia, sa di dover necessariamente fare i conti con l’autorità di Aldo Alessandro Mola, il massimo esperto italiano in materia, che nel 2018 ha dato alle stampe per Bompiani il ponderoso (oltre ottocento pagine!) Storia della massoneria in Italia dal 1717 al 2018. Tre secoli di un Ordine iniziatico. Si può però dire che il libro di Manenti riesca intelligentemente a centrare l’obiettivo.
Il successo dell’impresa consiste nell’aver trovato la giusta misura tra il rigore storiografico, di cui Manenti, alla luce delle sue precedenti pubblicazioni, certo non difetta, e la piacevolezza della scrittura: ne risulta un’appassionante escursione in cui l’autore ci guida con sapiente tensione narrativa alla scoperta di un’istituzione che è molto più discussa che conosciuta. La prosa di Manenti ama i preziosismi e le perifrasi ermetiche che l’asciutta scrittura presuntamente scientifica di oggi di solito evita: l’effetto è quello della complicità col lettore curioso che voglia sbirciare tra i segreti iniziatici di cui il libro racconta la storia.
La tesi che emerge dalla lettura è che la lotta combattuta contro la massoneria da tutti i suoi avversari, dalla Chiesa al fascismo, fino ai partiti costituzionali dell’Italia repubblicana, sia frutto perlopiù d’ignoranza e ottusi pregiudizi, che fanno gridare al complotto laddove invece le obbedienze hanno sempre agito a viso scoperto. Poiché la massoneria non è una società segreta: la riservatezza riguarda infatti unicamente i riti, cui sono ammessi solo gli iniziati. Riti esoterici che, per quanto oggi poco seriamente considerati dai suoi principali critici, sono alla base della scomunica comminata ai liberi muratori da papa Clemente XII con la bolla In eminenti nel 1738, ossia pochi anni dopo la diffusione dell’ordine nella penisola italiana. Com’è noto, essa è un prodotto d’importazione, che attecchì per la prima volta a Firenze, in seno alla locale colonia inglese, tra il 1731 e il 1732. Forse, lascia intendere Manenti, sulla scomunica influì il fatto che proprio nel 1738 ascese al trono granducale, estintisi i Medici, Francesco Stefano di Lorena, che era stato iniziato all’Aia. Sicché già allora, alle ufficiali ragioni di rispetto per l’ortodossia religiosa parvero sovrapporsi motivazioni d’indole politica.
La frammentazione dell’Italia fu ovviamente all’origine anche della diffusione disomogenea delle diverse logge, che facevano capo a obbedienze diverse e si caratterizzavano in maniera differente di città in città, penetrando la società e la politica degli Stati preunitari. Molto efficace pare la definizione della massoneria come «lettera di cambio della socialità», che Manenti trae da un opuscolo del 1787: la fratellanza trovò infatti i suoi adepti nel mondo borghese del commercio, della diplomazia e delle armi; mondo che intesseva fervidi rapporti al di là delle frontiere, e che proprio in questa rete di relazioni internazionali individuava la conferma del proprio valore. L’élite massonica, che aveva conquistato il mondo delle arti (molti libretti d’opera, per esempio, furono firmati da liberi muratori), si faceva riconoscere attraverso codici sofisticati di messaggi incomprensibili ai profani: «Coloro che ne carpivano i significati nascosti [si sentivano] parte di una comunità squisita» (p. 34), trovando così conferma del proprio prestigio sociale. Gran parte della fama controversa di setta incistata nei gangli del potere delle cancellerie diplomatiche di mezzo mondo, argomenta l’autore, andrebbe ricondotta, perlomeno in un primo momento, al puro piacere intellettuale e snobistico di sentirsi parte di una scelta schiera di eletti, che si dilettavano con culti misterici e collezionismo antiquario.
E tuttavia tale prima fase, che possiamo considerare un portato del successo della stessa ideologia illuminista, fece presto a intercettare i venti rivoluzionari che cominciavano a contestare la legittimità delle antiche dinastie europee: fu così che la massoneria venne identificata con l’idra di un complotto internazionale. «Tessera su tessera venne costruito – scrive Manenti (p. 43) – un canone che, portatore di una filosofia della storia disancorata dai fatti, incise sulla mentalità di generazioni di reazionari e fissò delle coordinate interpretative durevoli, in conformità alle quali il complotto massonico […] sarebbe stato uno dei fili conduttori della storia d’Italia».
L’espansione della massoneria fu resa possibile in tutta Europa dalle baionette dell’esercito napoleonico. Particolarmente carica di suggestioni fu la campagna d’Egitto, in cui la memoria degli antichi culti alessandrini rinfocolò l’interesse per l’esoterismo. Il 16 marzo 1805 nacque a Parigi il Supremo consiglio del Rito scozzese antico e accettato per la giurisdizione italiana, da cui avrebbe avuto origine il Grande Oriente d’Italia, stabilito a Milano dal viceré Eugenio de Beauharnais: per la prima volta i fratelli italiani sarebbero stati governati con statuti omogenei.
La caduta di Napoleone causò anche l’interdizione delle logge: ma fu così che si accentuò la loro commistione con le trame politiche, formando la massoneria e le varie società segrete, prima fra tutte la Carboneria, un intrico spesso difficile da distinguere. Tra i ranghi dei seguaci di Hiram vanno annoverati Aurelio Saffi e ovviamente Giuseppe Garibaldi, ma – nota Manenti, confermando la sua linea interpretativa – la militanza patriottica di molti massoni fu condotta solo a titolo personale: «Sebbene dei liberi muratori fossero intervenuti nei moti succedutisi in Italia nel primo Ottocento, talvolta in posizione autorevole, a conti fatti il ruolo che vi svolsero non fu determinante. La loro pressoché illimitata potenza è stata un’invenzione di sovrani, ecclesiastici, sostenitori dell’antico regime e scrittori controrivoluzionari, impauriti da una minaccia da essi stessi gonfiata». E però aggiunge: «Il maggior contributo dei fratelli fu ideologico, stante che il patriottismo coltivato nelle logge divenne il fattore trainante di una schiera di militanti disposti a combattere per dare uno Stato alla nazione» (p. 67).
Tale contributo sarebbe stato poi determinante nel primo cinquantennio di Regno unitario, cui la massoneria fornì buona parte della classe dirigente (su questo aspetto lo studio di riferimento è F. Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna, il Mulino, 2006); e mentre lo Stato confermava la sua amministrazione, la fratellanza consolidava la sua organizzazione interna, divenendo la spina dorsale dell’amministrazione pubblica fino alla deflagrazione del primo conflitto mondiale. La seconda metà del secolo XIX rappresenta perciò la vera età dell’oro per la libera muratoria, anche per il suo impegno profuso in molte opere di filantropia dichiaratamente alternative a quelle precedentemente impiantate dalla Chiesa, la cui secolare influenza essa voleva rimpiazzare: sotto la guida di Adriano Lemmi prima e di Ernesto Nathan poi, la massoneria, attirando la borghesia acattolica (e anche apertamente anticattolica), rappresentò quanto di più simile a un partito organizzato, in una società in cui essi non avevano ancora preso forma.
Perseguitati dal fascismo, molti massoni presero la via dell’esilio e furono in seguito attivi nella Resistenza: eppure, osserva giustamente Manenti, il profilo antifascista della fratellanza e il suo ruolo nella lotta al regime non vengono riconosciuti e sono anzi sovente rinnegati, a ulteriore conferma della memoria selettiva con cui si usa scrivere la storia del nostro Paese. Il libro riserva il settimo capitolo alla massoneria nel secondo Novecento, occupandosi in particolare dello scandalo della loggia P2, rubricata a «escrescenza cancerosa cresciuta nel corpo sano del Grande Oriente» (p. 146), o meglio – confermando l’opinione che ne hanno i fratelli - «fenomeno controiniziatico che ha contraffatto gli ideali muratori, una scheggia impazzita che stava al GOI […] come le Brigate rosse stavano al PCI».
La narrazione che fa Luca Manenti della plurisecolare storia della massoneria italiana è scopertamente assolutoria: essa non è la piovra che insidia nell’ombra i centri del potere per imporre un ordine alternativo diretto da conventicole nascoste; al contrario, si direbbe che siano gli uomini di potere e di maggior ingegno e talento che, in quanto tali, possono vedere nella fratellanza esoterica la dimensione in cui riconoscersi e in cui condividere la stessa concezione di progresso e sviluppo umano. Manenti lo afferma solo implicitamente ma, diciamo noi, a ragion veduta, perché ricorre a una bibliografia articolata che egli ben padroneggia; la quale, tuttavia, più che dirci che cosa in effetti la massoneria sia, ci indica per dove essa è passata lasciando la sua impronta, confermando come un’associazione in fin dei conti esigua nei numeri sia stata presente, spesso da protagonista, in tutti i momenti decisivi della storia del Paese.