VII, 2024/2

Salvatore Lupo

Il mito del grande complotto

Review by: Andrea Argenio

Authors: Salvatore Lupo
Title: Il mito del grande complotto. Gli americani, la mafia e lo sbarco in Sicilia del 1943
Place: Roma
Publisher: Donzelli
Year: 2023
ISBN: 9788855224963
URL: link to the title

Reviewer Andrea Argenio - Università di Roma Tre

Citation
A. Argenio, review of Salvatore Lupo, Il mito del grande complotto. Gli americani, la mafia e lo sbarco in Sicilia del 1943, Roma, Donzelli, 2023, in: ARO, VII, 2024, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/2/il-mito-del-grande-complotto-andrea-argenio/

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Il libro di Salvatore Lupo non è un semplice saggio pubblicato in occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco in Sicilia delle truppe anglo-americane ma una messa a punto necessaria su un avvenimento che, da almeno un sessantennio, ha generato un dibattito molto ampio trasformandosi in un qualcosa di più di un dato acquisito ma di un mito. E proprio nell’introduzione l’autore avverte il lettore: «Voglio subito pronunciarmi su un punto qualificante. Non è vero che lo sbarco in Sicilia delle armate statunitensi e britanniche, l’operazione Husky del luglio 1943, sia stato realizzato grazie a un preventivo accordo con la mafia, e tanto meno che le armate alleate abbiano trionfato sui loro nemici in forza di quell’accordo. Nessuna fonte attendibile avalla questa narrazione, che possiamo chiamare del Grande Complotto, per quanto fortunata sia e sia stata nel dibattito pubblico» (p. VII). Il volume tratta infatti del modo in cui, nel corso della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti in armi si rapportarono all’una e all’altra mafia, quella americana e quella siciliana, senza però che questi rapporti debbano essere visti come una sorta di autorizzazione o, peggio, di una collaborazione in vista delle operazioni militari da svolgere sul suolo italiano. Eppure, poche convinzioni sono rimaste presenti nell’immaginario collettivo come quella di una “relazione pericolosa” tra la malavita siciliana e le autorità statunitensi. L’idea del Grande Complotto nasce alla fine degli anni Cinquanta grazie alle prime ricerche di Michele Pantaleone, giornalista e storico vicino all’allora Partito socialista, in un contesto legato alle battaglie politiche dell’epoca: democristiani e americani venivano accomunati nella costruzione e nel mantenimento di un’alleanza basata sull’anticomunismo e sulla connivenza con il potere mafioso nata proprio in occasione dello sbarco. Pantaleone era originario di Villalba, lo stesso paese del boss Calogero Vizzini che, all’interno della sua narrazione, appariva come il deus ex machina dell’alleanza. Un’argomentazione dunque basata anche sulle esperienze personali dello stesso Pantaleone che si era scontrato duramente con il capomafia del suo paese che era anche l’esponente di spicco del blocco cattolico-separatista di Villalba. Questa tesi, dall’ambito politico-propagandistico, si sviluppò nell’ambito dell’opinione pubblica sino a giungere financo nelle conclusioni della commissione parlamentare antimafia firmate dal senatore democristiano Luigi Carraro secondo le quali alla fine lo sbarco si era potuto svolgere grazie agli accordi con la mafia siciliana nelle persone in particolare di Lucky Luciano e Vizzini. Non solo, il governo militare alleato avrebbe nominato amministratori locali legati alla mafia e avrebbe guardato con simpatia al movimento separatista. Scrive efficacemente Lupo: «Il Grande Complotto è un mito, non una mera falsificazione. In quanto mito, rielabora materiali reali, rispondendo alla necessità di spiegare ribaltamenti improvvisi, imprevedibili sviluppi della grande storia; nacque in tempo di guerra, per poi prendere forma nel dopoguerra» (p. 15). E, soprattutto, si era di fronte a un problema capitale, «la successiva ridislocazione della storia stessa, dalla sfera di una combattiva saggistica d’opposizione a quella propria di un testo istituzionale (la Relazione della Commissione antimafia), [accentuava] il problema della sua inverosimiglianza, e anche [aggravava] l’altro suo difetto evidente: la mancanza di una documentazione» (p. 8). Eppure, solo pochi anni fa il mito del Grande Complotto trovò una rispondenza anche al cinema grazie al film di Pierfrancesco Diliberto, Pif, che nel 2016 uscì nelle sale portando sullo schermo le vicende di un italoamericano che per ragioni sentimentali si arruolò con le truppe che parteciparono allo sbarco in Sicilia. La pellicola ricade nel solito stereotipo dei mafiosi onniscienti e dominatori dell’isola e degli italoamericani che non possono non entrare in rapporto con la malavita locale. Nonostante il dibattito seguito all’uscita del film che produsse uno scambio di video tra lo stesso Pif e Rosario Mangiameli, storico dell’Università di Catania e probabilmente il primo ricercatore che lavorò sulle carte statunitensi all’inizio degli anni Ottanta, la eco non fu tale da modificare l’impatto sull’opinione pubblica. E il libro di Lupo pone una domanda agli studiosi di storia contemporanea. Qual è l’impatto di ricerche serie e documentate rispetto alle tante fake news che soprattutto negli ultimi anni funestano la ricerca? Lo storico con i suoi strumenti del mestiere può rappresentare un argine alla banalizzazione di argomenti complessi? La sfida di Lupo, il suo personalissimo sasso lanciato nello stagno, rappresenta il miglior antidoto alla banalizzazione della complessità. Ritornare sulle origini del rapporto tra mafia, storia nazionale e politica significa affrontare una narrazione che spesso ha ridotto la storia italiana a una serie di avvenimenti caratterizzati da un rapporto impari tra l’alleato americano e i diversi governi descritti come eterodiretti da Washington e particolarmente timidi nella lotta alla mafia. Un racconto che, con diverse declinazioni, è arrivato sino a noi così come quello del fascismo che con il prefetto Mori aveva debellato il fenomeno mafioso. In realtà gli ufficiali alleati si accorsero subito di quanto Cosa Nostra avesse mantenuto una presa molto forte sulla Sicilia e sin da subito registrarono nei loro rapporti il pericolo che la malavita acquisisse un potere che rischiava di far da contraltare a quello politico o, nel peggiore dei casi, di mischiarsi ad esso come sarebbe accaduto con il fenomeno separatista negli anni a venire. Mafia e alleati non ebbero quindi nessun rapporto? In realtà Lupo ci dice che «però è vero che, nella fase precedente e in quella successiva all’operazione Husky, sul proprio suolo e su quello siciliano, l’America in guerra assunse un atteggiamento tollerante nei confronti delle due mafie» (p. VII) ma, per quanto vi fossero dubbi sul ruolo di alcuni boss italoamericani come Lucky Luciano, il successo dello sbarco in Sicilia si ebbe solo grazie alla pianificazione militare di inglesi e americani.

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