VII, 2024/2

Max Welch Guerra, Abdellah Abarkan, María A. Castrillo Romón, Martin Pekár (eds.)

European Planning History in the 20th Century

Review by: Marika Fior

Editors: Max Welch Guerra, Abdellah Abarkan, María A. Castrillo Romón, Martin Pekár
Title: European Planning History in the 20th Century. A Continent of Urban Planning
Place: New York
Publisher: Taylor & Francis (Routledge)
Year: 2023
ISBN: 9781032222271
URL: link to the title

Reviewer Marika Fior - Università di Roma "La Sapienza"

Citation
M. Fior, review of Max Welch Guerra, Abdellah Abarkan, María A. Castrillo Romón, Martin Pekár (eds.), European Planning History in the 20th Century. A Continent of Urban Planning, New York, Taylor & Francis (Routledge), 2023, in: ARO, VII, 2024, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/2/european-planning-history-in-the-20th-century-marika-fior/

PDF

La regia di Max Welch Guerra è fondamentale per leggere questo ultimo manuale di Routledge dedicato alle storie della pianificazione urbanistica in Europa che, come noto, non possono che essere ricondotte prioritariamente al XX secolo, con un doveroso richiamo al secolo precedente. L’urbanistica moderna nasce, infatti, a seguito della seconda Rivoluzione industriale con fasi di sviluppo e intensità differenti tra i Paesi del vecchio continente[1]. Per questo sottolineo già da ora che il libro contiene molte storie e non “la storia” della pianificazione europea. Fin dalla sua introduzione Welch Guerra dichiara che l’ambizione del libro è di superare la «prospettiva modernista occidentale» colmando un gap conoscitivo della storia della pianificazione europea, attraverso l’apporto di diverse discipline che si confrontano e si relazionano in modo «reticolare e polinucleare» per illustrare una materia comune agli Stati europei, ma con radicamenti tecnici, culturali e politici differenti.

L’interpretazione che offre Welch Guerra alla fine del libro – le otto tesi per interpretare la storiografia della pianificazione in Europa nel XX secolo – riassume i contenuti principali dei 23 capitoli che lo compongono. Mi sembra importante partire dall’esplorazione di questi otto postulati, per affrontare una recensione sufficientemente strutturata del libro, a partire anche da un secondo contributo che ritengo essenziale per decifrare la portata della pubblicazione intera. Quest’ultimo è il testo di Stephen V. Ward, Is There a European Planning Tradition?, nel quale si legge esplicitamente come «l’Europa rimarrà principalmente una serie di tradizioni di pianificazioni nazionali. Come per molti altri aspetti, l’interesse progettuale dell’Europa risiede nella grande varietà che presenta all’interno di una regione del mondo relativamente concentrata» (traduzione dell’autrice, p. 206). In altre parole Ward nega l’esistenza di un’unica storia della pianificazione europea. Questa idea è confermata anche dalla volontà di molti altri autori del libro di usare metodi di ricerca e fonti informative inconsuete e originali per la scrittura dei loro contributi, proprio per staccarsi da una narrazione dominante tradizionale (quella dell’Europa occidentale e in particolare dei Paesi anglofoni).

Tornando alle otto tesi, l’osservazione del curatore porta innanzitutto a constatare che il libro raccoglie una varietà di definizioni attribuite alla parola “pianificazione”. Infatti, altri autori mettono in luce come, nella storia, ogni Paese europeo abbia non solo usato termini diversi – talvolta inventando dei neologismi, ad esempio “urbanologia” in Spagna – per marcare una propria concettualizzazione della disciplina, ma pur usando termini identici essi abbiano avuto significati differenti nei vari Paesi in relazione agli strumenti urbanistici, ai programmi e alle politiche nazionali, ai rapporti tra enti, istituzioni e operatori, ai finanziamenti erogati, ai processi decisionali, nonché ai canali comunicativi impiegati per divulgare temi e contenuti della disciplina.

In continuità con queste definizioni, nella seconda tesi, Welch Guerra scrive di «incongruenze terminologiche e fattuali» che i vari Paesi nel futuro dovrebbero provare a spiegare, poiché la sua ambizione è proprio quella di giungere a una crescente «internazionalizzazione della storiografia della pianificazione» capace di tratteggiare teorie e pratiche del contesto europeo che includa anche l’Europa orientale. Sul tema dell’internazionalizzazione tornerò più avanti.

La terza tesi è il riconoscimento dell’azione igienista (fisica e morale) assunta dall’urbanistica quale strumento di controllo della classe operaia da parte della nascente borghesia ottocentesca. Un effetto generato dalla Rivoluzione industriale appunto e che ha portato sia gli Stati capitalisti sia quelli socialisti a utilizzare la pianificazione come strumento di controllo spaziale – non a caso la tecnica dello zoning nasce in Germania proprio alla fine dell’Ottocento con l’obiettivo di ordinamento raziale[2] – tuttavia finalizzato allo sviluppo (inteso come crescita non solo progresso) economico, sociale nonché urbano delle città moderne.

La quarta tesi riguarda la comunicazione dell’urbanistica attraverso i mezzi di stampa (interni al campo di studi ma anche divulgativi verso un pubblico più ampio), eventi internazionali (convegni, mostre, esposizioni) nonché la strutturazione dei programmi di studio universitari, volti da un lato a comprovare la solidità scientifica della pianificazione (europea) e dall’altro a rafforzare la legittimità politica dei vari Governi nazionali o locali, poiché tali narrazioni erano fortemente intrecciate con i programmi governativi e i progetti socio-politici di ogni Paese.

La quinta tesi riguarda il ruolo didattico con cui si afferma la storiografia della pianificazione, volta a sostenere come la scientificità dell’urbanistica avesse in realtà evidenti risvolti pratici e operativi[3]. Esiti che hanno direttamente a che vedere con la sesta tesi, ovvero la finalità generale della pianificazione. Tale finalità è la crescita fisica della città (moderna soprattutto, limitata per quella contemporanea) quale specchio della crescita sociale ed economica delle diverse nazioni. A sua volta questa tesi si lega al settimo postulato della storiografia della pianificazione, per il quale la disciplina urbanistica ha da sempre avuto una funzione fondamentale nella costruzione del rapporto tra uomo e natura: dalla creazione delle città giardino alla definizione delle città sostenibili.

Infine, l’ottava tesi di Welch Guerra richiama il valore pionieristico dell’opera stessa in quanto, secondo il curatore, è impossibile ripercorrere in un solo volume l’intera storia dell’urbanistica europea del XX secolo e pertanto esso rappresenta una prima prospettiva aggiornata[4] verso tale direzione, auspicando che ulteriori confronti, ad esempio con la storiografia della pianificazione di Cina o Giappone, possano incrementare nuove conoscenze sulla storia della pianificazione europea, il cui fine è offrire alle generazioni future le informazioni sufficienti per reinterpretare il passato alla luce delle nuove istituzioni (parità di genere, adattamento climatico, lotta alla povertà, ecc.).

Quanto finora scritto riassume i contenuti che trasversalmente emergono dai vari capitoli del libro la cui struttura è suddivisa in tre parti che descrivono: i) l’emergere della pianificazione urbanistica attraverso le teorie igieniste e la definizione dogmatica della città giardino tra XIX e XX secolo; ii) le missioni della pianificazione in coerenza con i temi prioritari di sviluppo (essenzialmente quattro: la mobilità/accessibilità, la casa, l’ambiente, il patrimonio storico) e le visioni politiche dei Paesi soprattutto a cavallo dei due conflitti bellici mondiali e nel periodo della ricostruzione; iii) le interpretazioni e le ricerche sulla storia della pianificazione in particolare dopo gli anni Settanta del secolo scorso (la costruzione della città-regione, le prospettive ambientaliste, la narrazione del paesaggio residenziale ordinario, gli strumenti deregolamentativi alla pianificazione).

A ben vedere la ripartizione del libro, che discute prioritariamente della pianificazione del XX secolo, rimanda inevitabilmente alla lettura del «Secolo Breve»[5] dello storico britannico Eric Hobsbawm[6] che descrisse gli anni dal 1914 al 1991 come il periodo con enormi cambiamenti, conquiste, scoperte, ma anche grandi crisi socio-economiche e naturali. Se questo è lo scenario storico, il libro a cura di Max Welch Guerra, Abdellah Abarkan, María A. Castillo Romón, Martin Pekár si offre come raccolta di voci disciplinari plurime (architetti, urbanisti, storici, sociologi, geografi, paesaggisti) che convergono e si integrano verso la costruzione del libro[7] sia per rafforzare l’autonomia scientifica della stessa storiografia della pianificazione, sia per avviare ulteriori confronti con altri contesti, ovvero attraverso un confronto internazionale che pone la storia della pianificazione in Europa a paragone con quella degli altri continenti. Su questo aspetto mi preme sottolineare che l’internazionalizzazione (della pianificazione e della sua storia) tuttavia non dovrà essere vista come il fine da raggiungere (convergere verso una pianificazione urbanistica europea unica per risolvere problemi/sfide comuni ai vari Paesi) ma dovrà essere il mezzo attraverso il quale ampliare una conoscenza orientata all’attuazione pratica, e quindi fattuale e contestuale, della disciplina stessa: il progetto di città.

In continuità con questa idea, mi sembra che il collante vero e proprio del libro siano i temi e le questioni trasversali ai vari Paesi che hanno caratterizzato il Novecento e che però hanno ricevuto risposte differenti in base al contesto nazionale in cui si sono manifestati. Il valore aggiunto del libro, quindi, mi sembra essere l’aver evidenziato le specificità “delle storie” (urbanistiche) nazionali che, pur dovendo affrontare problemi comuni, hanno ampliato la gamma di tecniche, processi, strumenti offrendo soluzioni diversificate ma coerenti con il carattere dei territori (situazioni geomorfologiche e ambientali), l’identità socio-culturale (condizioni politico-amministrative) e le capacità economiche (dotazioni di capitali e solidità dei rapporti pubblico-privato) di ogni contesto. In conclusione, da un unico continente escono tante pianificazioni che meritano di essere singolarmente studiate e complessivamente comparate, ma non necessariamente messe in competizione.

Pertanto, questa lettura storiografica, che potrà arricchirsi ulteriormente come auspicato dai curatori, non può che essere considerata come il tentativo di un lavoro finalizzato ad aumentare la ricchezza culturale, la biodiversità tecnica, professionale e accademica, nonché la fertile contaminazione tra materie diverse attraverso lo studio della storia che diviene patrimonio e vera zona ecotonale per delineare il progetto futuro delle città.

 

[1] L. Benevolo,  Le origini dell’urbanistica moderna, Roma-Bari, Laterza, 2019 (ed. originale 1963).

[2] L. Gaeta – U. Janin Rivolin – L. Mazza, In piano e i diritti di cittadinanza, in L. Gaeta – U. Janin Rivolin – L. Mazza, Governo del territorio e pianificazione spaziale, Novara, DeAgostini Scuola, 2013, pp. 65-78.

[3] Non a caso Luigi Piccinato (1899-1983) sosteneva che «L’urbanistica, dunque, pur non essendo una scienza esatta … è tuttavia una disciplina che, profittando sia dei risultati dello studio scientifico dei fenomeni della vita urbana che dell’esperienza tecnica dell’edilizia, mira a comporre armonicamente, attraverso delle norme, una sintesi architettonica dell’agglomerato urbano. È dunque un’arte. Tale fine pratico è raggiunto mediante il piano regolatore sostenuto da regolamenti, da leggi e da organizzazioni amministrative. È appunto attraverso il piano regolatore che l’architetto-urbanista si esprime, ricomponendo in sintesi gli elementi analizzati attraverso lo studio» Urbanistica, in Enciclopedia italiana, Roma, Treccani, 1937 <https://www.treccani.it/enciclopedia/urbanistica_res-2bd3b412-8bb8-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/>.

[4] Più volte nel libro si leggerà il rimando all’opera prima a cura di Carola Hein dal titolo The Routledge Handbook of Planning History, London, Routledge, 2018.

[5] E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, Milano, Rizzoli, 1995 (trad. B. Lotti).

[6] In particolare egli distinse il “Breve Novecento” dal “Lungo Ottocento”, iniziato con la Rivoluzione francese che portò in Europa la costituzione di una forma di governo repubblicano, e al suo interno: l’età della catastrofe (1914-1945) caratterizzata dalle due Guerre mondiali e da regimi totalitari; l’età dell’oro (1946-1973) in cui i Paesi si ricostruiscono dopo i conflitti e vivono un'eccezionale fioritura economica; ed infine l’età della crisi (1973-1991) che, a partire dalla crisi petrolifera del 1973, investe soprattutto i Paesi del Secondo mondo.

[7] Il libro è esito del lavoro condotto all’interno dell’European Joint Doctorate tra il 2016 e il 2020, finanziato dal programma di ricerca e innovazione dell’Unione europea Horizon 2020 - ITN Marie Skłodowska-Curie dal titolo urbanHIST – History of European Urbanism in the 20th Century.

Subscribe to our newsletter

Partners