Reviewer Paolo Fonzi - Università del Piemonte Orientale
CitationSe ogni «paesaggio memoriale» nazionale è agitato da conflitti interpretativi, quello tedesco è certamente tra i più travagliati. L’Olocausto, la catastrofe tedesca, la divisione della Germania e la riunificazione hanno reso la storia nazionale di questo paese oggetto di reinterpretazioni continue e di proiezioni identitarie non solo da parte dei tedeschi ma del mondo intero. Elaborando l’idea di una «divergenza» tedesca, come l’ha definita Kim Priemel, l’occidente uscito vittorioso dalla guerra ha definito, per contrasto, la propria identità. Con la creazione dagli anni Novanta di una memoria globale dell’Olocausto la Germania è imbrigliata in regimi memoriali transnazionali che moltiplicano i soggetti dotati di «sovranità interpretativa» sul suo passato. A ciò si aggiunge la complessità di una società di immigrazione in cui gruppi sociali marginalizzati da regimi di memoria dominanti si mobilitano per affermare la propria voce nello spazio pubblico. A chi appartiene oggi la storia tedesca?
Intento del libro è offrire un’istantanea di questa complessità. I 23 saggi che lo compongono sono scritti sia da protagonisti che da analisti del dibattito storico-politico degli ultimi anni. Trattandosi di dibattiti temporalmente vicini e ancora caldi è ovvio che molti autori rivestano entrambi i ruoli. Il libro è quindi anche una sorta di riflessione a caldo, una «seconda presa di posizione» in una discussione ancora in corso. La figura del curatore è emblematica di questo doppio ruolo. Zimmerer è uno dei maggiori storici della politica coloniale tedesca in Africa. In un libro del 2011 ha provocatoriamente affermato la tesi di una continuità tra lo sterminio del 1905 degli Herero e Nama in Africa Sud-occidentale – riconosciuto come genocidio dalla Germania nel 2021 – e l’Olocausto, intervenendo negli anni successivi nel dibattito sul rapporto tra colonialismo e crimini nazionalsocialisti. Nella sua introduzione al volume egli stesso evidenzia come al centro di molti attuali dibattiti sulla storia tedesca vi sia una dualità irrisolta. Se da un lato la Berliner Republik si fa carico inequivocabilmente dei crimini nazionalsocialisti, una politica simbolizzata dal «Memoriale per gli ebrei assassinati d'Europa» che ogni turista visita nel centro di Berlino, dall’altro vi è una rinazionalizzazione acritica della storia che cancella molte delle sue contraddizioni. Questa seconda tendenza è espressa nella ricostruzione del Berliner Stadtschloss, abbattuto nel 1950 dalla RDT in quanto simbolo del militarismo prussiano e sostituito dal Palazzo della Repubblica, sede del parlamento tedesco-orientale. Zimmerer ha fortemente criticato la ricostruzione dell’edificio prussiano definendola uno Schlussstrich, un tentativo di mettere un punto sul passato, «in forma di pietra» (steingeworden).
La prima parte del volume è dedicata al Kaiserreich. Centrale è il tema, dibattuto fin dalla Fischerdebatte degli anni Sessanta, delle continuità tra l’autoritarismo della società tedesca di quegli anni e il nazionalsocialismo, ripreso in occasione del centocinquantesimo dell’unificazione tedesca ed alimentato dall’emergere della destra populista. Come sottolinea Eckart Conze, per elaborare un’immagine positiva del passato nazionale la nuova destra rivaluta il Kaiserreich degli anni di Bismarck. Conze al contrario sottolinea come l’immagine tradizionalmente positiva del cancelliere vada rivista e non solo per la sua repressione del socialismo e del cattolicesimo. Andrebbe messa in discussione anche la sua politica estera, che secondo una visione tradizionale favorì l’equilibrio in contrasto con l’espansionismo aggressivo di Guglielmo II. In definitiva la politica del cancelliere acuì lo scontro con la Francia preparando così la Prima guerra mondiale. Non è solo questo, però, l’argomento del contendere. Come sottolinea Christoph Nonn, in anni recenti si è svolto un dibattito, a livello locale e fortemente influenzato dalla cancel culture, sul restauro di alcuni monumenti a Bismarck. La critica al cancelliere di ferro in questo caso si è incentrata sulla sua politica coloniale, tema ripreso da un saggio di Zimmerer che ripercorre il dibattito sul passato coloniale tedesco.
Al centro della seconda e della terza parte del libro vi sono nazionalsocialismo e Olocausto. Qui spiccano un contributo di Dirk Moses, che con il suo articolo «Il catechismo tedesco» ha scatenato nel 2021 una polemica definita «Historikerstreit 2.0», e uno di Michael Rothberg che ha partecipato a tale dibattito ri-proponendo la sua categoria di «memoria multi-direzionale». Entrambi criticano aspramente un paradigma interpretativo che considera l’Olocausto unico e incomparabile, negando uguale rilevanza ad altre forme di violenza e riproducendo una cultura neo-coloniale. La «memoria multi-direzionale» avrebbe, secondo Rothberg, la capacità di legare il ricordo dell’Olocausto al colonialismo, rendendo possibile forme di identificazione multiple che integrano soggetti marginalizzati da un paradigma eurocentrico.
Le ultime due sezioni del libro sono dedicate alla storia della RDT, della RFT e della riunificazione e alla Berliner Republik. Quest’ultima ha ricostruito e continua a definire la propria identità rileggendo il proprio passato in una ricerca di equilibrio che Caroline Pearce ha definito una «dialettica della normalità».
Una valutazione conclusiva piuttosto scontata, che però non può mancare, è che il volume alterna saggi brillanti a contributi di minore interesse. Complessivamente però esso offre un panorama ricco e ha un notevole valore informativo. Mi sembra dunque che l’operazione tentata da Zimmerer sia riuscita: mettere insieme un volume che da un lato dà conto in modo distaccato di culture e politiche della memoria e dall’altro contiene prese di posizione partigiane su questioni aperte.