VII, 2024/2

Gregory Hanlon

Death Control in the West 1500–1800

Review by: Umberto Cecchinato

Authors: Gregory Hanlon
Title: Death Control in the West 1500–1800. Sex Ratios at Baptism in Italy, France and England
Place: New York
Publisher: Taylor & Francis (Routledge)
Year: 2023
ISBN: 9781032267586
URL: link to the title

Reviewer Umberto Cecchinato - Università di Trento | FBK-ISIG

Citation
U. Cecchinato, review of Gregory Hanlon, Death Control in the West 1500–1800. Sex Ratios at Baptism in Italy, France and England, New York, Taylor & Francis (Routledge), 2023, in: ARO, VII, 2024, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/2/death-control-in-the-west-15001800-umberto-cecchinato/

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L’infanticidio è stato a lungo considerato una pratica propria delle società extraeuropee, in particolare asiatiche, dove è da tempo oggetto di studio. In Europa, l’infanticidio evoca ancora oggi l’immagine di un crimine femminile e innaturale, atto estremo di una giovane madre non sposata, spinta dalla miseria o dalla disperazione. Cinquant’anni fa si cominciò a ricostruire un quadro molto diverso. In uno studio pionieristico, Richard Trexler notò un pesante sbilanciamento tra i sessi dei battezzati nei registri parrocchiali fiorentini del primo Rinascimento, con netta prevalenza di bambini piuttosto che bambine. Data la frequenza con cui ciò si verificava, Trexler escludeva che l’alta mortalità femminile fosse dovuta a cause naturali o accidentali, proponendo piuttosto che fosse frutto di una selezione da parte di genitori e delle istituzioni assistenziali, dove gli infanti erano abbandonati. Una decina di anni dopo, Maria Pia Casarini arrivava a conclusioni simili studiando una serie di processi di inizio Ottocento contro giovani donne definite dai contemporanei “madri snaturate”. Casarini notava che il crimine, sebbene equiparato al parricidio e all’omicidio e punibile con la pena di morte, nei fatti «non era mai punito con una pena superiore ai 10 anni, ed anche questi casi erano rari». La rappresentazione giudiziaria dell’infanticidio lo faceva apparire come un rituale – nascondere il parto, partorire senza le nutrici, strangolare il neonato o soffocarlo, sbarazzarsi del corpo in un letamaio – e indicava la larga diffusione della pratica. Entrambi gli studi trovavano le cause dell’infanticidio nella cultura dell’epoca. Secondo Trexler, i maschi risultavano favoriti a causa del valore loro assegnato dalla società patriarcale. Casarini sottolineava il ruolo delle credenze popolari e dell’ignoranza relativa al processo biologico della gravidanza[1].

Il tema fu poi a lungo quasi ignorato. L’infanticidio è difficile da studiare per la cortina d’ombra dietro alla quale da sempre è preferibile nasconderlo. Death Control in the West getta nuova luce sul fenomeno con una serie di studi quantitativi di un vasto corpo di fonti archivistiche di diverse città e villaggi rurali di Italia, Francia e Inghilterra, nell’arco di trecento anni. Il libro scritto a più mani e strutturato in tre parti – una per regione europea analizzata – suddivise in diciotto capitoli dal carattere fortemente comparativo e indirizzati a un pubblico specialista. È un libro “tecnico”, scritto in modo chiaro e conciso, ma di non facile lettura. I testi sono interrotti da continue statistiche ed esposizioni di dati. I saggi non seguono una narrazione organica, ma sono accomunati dalla struttura e dal tema che trattano. Propongono la stessa metodologia d’analisi con carotaggi in differenti aree geografiche e periodi; descrivono il contesto climatico, economico e sociale e presentano le fonti da dove sono stati estrapolati i dati; infine, commentano i dati con l’ausilio di tabelle analitiche e ne traggono le conclusioni. Pur appesantendo la lettura, grazie a questa impostazione gli autori dimostrano efficacemente l’universalità dell’infanticidio. I risultati fanno impressione: il 30-40% dei nascituri era soppresso, per incuria volontaria o soffocamento.

Oltre all’impressionante mole di dati, Death Control ricostruisce anche alcuni aspetti sociali sulla pratica e sulle sue motivazioni. L’uccisione avveniva poco dopo la nascita, spesso per mano della madre e talvolta con l’ausilio delle parenti più strette o delle balie. Era preferibile all’aborto, perché le partorienti evitavano i rischi collaterali dei metodi abortivi dell’epoca. I motivi per cui si sopprimevano gli infanti erano vari e complessi, spesso economici, di sopravvivenza, o di status. In generale, la prole era uccisa perché era troppo numerosa o presentava malformazioni, oppure per selezionarne il sesso (infanticidio selettivo). I gemelli e i figli illegittimi erano maggiormente esposti. I motivi variavano poi secondo le classi sociali. Presso le aristocrazie, l’infanticidio era praticato come strategia selettiva di lungo termine – uccisione di bastardi, o gemelli, o selezione di un sesso invece di un altro – mentre i popolani vi ricorrevano in brevi periodi alterni, spinti da circostanze economiche o climatiche avverse – per sopravvivere alla carestia o selezionare il sesso a seconda della forza lavoro di cui la famiglia aveva bisogno. Secondo Hanlon, le cause ambientali svolgevano un ruolo primario, soprattutto durante la cosiddetta piccola era glaciale, quando gli intensi picchi di gelo e pioggia in eccesso causavano continue tempeste e allagamenti, rovinando i raccolti. La pratica routinaria di infanticidio era situazionale. I genitori si liberavano delle bocche in più da sfamare in periodi avversi e tenevano quello che conveniva a loro: solitamente, in città si preferivano le bambine mentre nelle campagne i maschi.

Per calcolare la frequenza e la diffusione dell’infanticidio, Death Control si serve per lo più di registri battesimali e status animarum. Gli autori dei saggi calcolano il sex ratio at baptism contando quanti maschi e quante femmine sono portati a battesimo e confrontando i risultati con il sex ratio universale, fissato a 105 uomini ogni 100 donne. Quando si identificano grandi sbilanciamenti, in favore dell’uno o dell’altro sesso, si può ipotizzare che gli infanti mancanti fossero soppressi. Le fluttuazioni del sex ratio non sempre combaciano con quelle economiche. Per esempio a Siena, negli anni Ottanta del Seicento, il sex ratio appare sbilanciato anche in corrispondenza di ottimi raccolti che fanno abbassare il prezzo del grano. Tuttavia, la sovrabbondanza e il minore guadagno derivante dalle vendite spingono anche a piantare meno grano, privando così i contadini di lavoro, cibo e reddito.

Adottando questa metodologia, il libro deve per forza fare i conti con la parzialità del quadro ricostruibile attraverso le fonti dell’epoca. L’autore afferma che non c’è motivo empirico di considerare questi dati inaffidabili, poiché i campioni e il modo in cui sono usati replicano rigorosamente le metodologie adottate in altre scienze sociali. Al contempo però nessuna tabella è correlata da segnature archivistiche precise, rendendo impossibile una verifica dei dati o l’accesso alle fonti per altri scopi di ricerca. Non si vuole dubitare che i registri usati per comporre le tabelle analitiche esistano, ma è necessario sapere dove trovarli. Detto questo, i numeri così presentati lasciano poche altre spiegazioni alternative all’infantidicio sistemico. La presenza o meno dei figli illegittimi, per esempio. A Cortemaggiore se ne battezzano solo due in un decennio (1610-1619) e addirittura nessuno nei periodi in cui nel territorio stazionavano truppe militari (1634-1637, 1691-1695, 1703-1708). Sarebbe ingenuo pensare che in tali periodi non vi siano stati rapporti sessuali tra i soldati e la popolazione femminile del luogo.

Un altro aspetto discutibile di questo libro è la spiegazione fornita per motivare il comportamento infanticida. L’enorme mole di dati esposti e la cruda realtà – che in Europa, per secoli, uccidere infanti fosse considerato normale – offre il destro alle più diverse interpretazioni. Poiché parliamo di un comportamento tabù, queste interpretazioni hanno un peso politico di non poco conto. Hanlon si rifà a teorie sociobiologiche, considerando il fenomeno una manifestazione dei comportamenti riproduttivi della specie umana. Secondo tale visione, la donna infanticida non fa altro che replicare un comportamento ritrovabile anche nel mondo animale, tra i primati: la selezione della specie. La madre calcola, a seconda dei periodi, quante chances di sopravvivenza hanno i nascituri e sacrifica quelli che non ce la faranno per poter accudire i più forti. Questo approccio ignora completamente l’agency femminile: la donna sembra agire istintualmente, non per scelta propria. Inoltre, per quanto si possano appoggiare o avversare queste teorie e la loro validità nell’ambito degli studi storici, alcune posizioni sono inaccettabili. Per esempio, l’autore compara l’infanticidio – che è un omicidio – all’aborto – che non lo è – per affermare che le due diverse pratiche sono espressione dello stesso «eternal behavioural repertoire of the human animal», ovvero rispondono a meccanismi innati di sopravvivenza. Ancora, Hanlon rigetta fin da subito le teorie gender o le spiegazioni di tipo culturale. La preferenza per i figli maschi sarebbe frutto di calcoli finalizzati alla sopravvivenza in un ambiente ostile, una scelta economica piuttosto che etica. Non vi è spazio per le emozioni: i traguardi metodologici raggiunti negli anni dalla storia delle emozioni e dalla neurologia sono completamente ignorati.

Death Control ha il merito di imporre la questione alla comunità scientifica e di dimostrare che l’infanticidio era una pratica routinaria anche nella “civile” Europa. In tal modo, il libro demolisce le convinzioni di coloro che, in passato, pur vedendo l’elefante preferivano ignorarlo. I dati offerti da questo sforzo scientifico costituiscono un utile punto di partenza per arrivare a nuove interpretazioni. Per esempio, il numero di infanticidi, anche se ipotetico, impattano in modo determinante sul tasso di omicidi, usato largamente per misurare i livelli di violenza in una data società. In tal senso, il libro contribuisce a creare una visione diversa anche su temi ancora molto dibattuti tra gli storici culturali della violenza, come la validità della teoria del processo di civilizzazione. Anche il messaggio politico di Death Control è molto importante, perché contribuisce a smascherare certe ipocrisie e falsità riguardanti l’aborto. Dimostra ancora una volta che, in un modo o nell’altro, la specie umana ha sempre operato il controllo delle nascite.

 

[1] R. Trexler, Infanticide in Florence: New Sources and First Results, in «History of Childhood Quarterly», 1, 1973, pp. 98-116; M.P. Casarini, Maternità e infanticidio a Bologna: fonti e linee di ricerca, in «Quaderni storici», 17, 1982, 49(1), pp. 275-284.

 

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