Reviewer Lucia Tedesco - ISIG-FBK - Università di Torino
CitationQuali percorsi ha intrapreso la conoscenza umana per passare, nonostante molte deviazioni e vicoli ciechi, dai suoi umili inizi alla comprensione odierna della natura e della cultura? Dove possiamo trovare le prime prove della ricerca dei patterns (che tradurrò con «schemi») e come si è evoluta la conoscenza umana nelle diverse regioni e culture del mondo? La monografia di Rens Bod World of Patterns: A Global History of Knowledge (2019), pubblicata nel 2022 dalla John Hopkins University Press nella sua versione inglese, ha come obiettivo quello di rispondere a questi interrogativi. L’autore, infatti, sostiene che manca una panoramica storica generale, sebbene il tema sia da tempo dibattuto in filosofia della scienza.
Dunque, prima di ripercorrere le origini e l’evoluzione del riconoscimento e dell’interpretazione dei patterns nella storia della conoscenza umana, Bod fornisce due fondamentali definizioni: quella di «schema» e quella di «principio» . Per schema s’intende «an observed regularity that contains an element of repetition. It is not necessarily immutable but may be subject to exceptions and variation. […] For the time being, the word ‘pattern’ will be an umbrella term encompassing a range from the most unstable regularity to the most absolute» (p. 2). Una regolarità osservata, dunque, contenente un certo elemento di ripetizione. Nonostante gli esseri umani abbiano sempre ricercato e interpretato schemi, è pur vero che questi ultimi di per sé non dicano nulla. Introduce, perciò, un secondo concetto, quello di principio, in un’accezione leggermente diversa rispetto al suo precedente studio: «I use the word ‘principle’ – spiega – when it can cover multiple patterns at the same time» (p. 3)[1]. Sta ai principi, dunque, ossia al modo in cui le cose stanno in relazione fra loro, fornire una spiegazione dei patterns.
A partire dalle definizioni di schemi e principi, quindi, l’analisi dell’autore si svolge in cinque capitoli divisi per sfere temporali: la preistoria, la prima antichità, l’antichità classica, il periodo post-classico e l’età moderna. In ciascuno di questi, Bod passa in rassegna non solo le scienze naturali, ma anche altre discipline, in particolare la giurisprudenza, la medicina, la matematica, la filologia, la musicologia e la storia dell’arte. Soprattutto, vuole mettere in luce come appare la storia della conoscenza se non si presuppone un unico centro di attività – ad esempio, l’Europa –, ma si ipotizza l’esistenza di molteplici centri fra loro comunicanti. Emerge così che la Great Divergence, ossia la crescente frattura tra le società in termini di conoscenza, tra il sapere europeo e quello nel resto del mondo non è solo un fenomeno coloniale[2]. Al contrario, Bod tenta di dimostrare che tornando indietro nel tempo di mille anni è possibile individuare una divergenza altrettanto ampia tra Cina ed Europa a favore della Cina e una ancora maggiore tra il mondo islamico e l’Europa a favore del primo. Scrive, a tal proposito, nel quarto capitolo: «The desire for fewer principle came in the Islamic world first» (corsivo mio). Si potrebbe andare indietro a ritroso ed evidenziare altre divergenze tra contesti diversi (si vedano i capitoli 2 e 3), eppure – sostiene – il punto è riconoscere che ognuna di esse si è rivelata temporanea e che, pian piano, i patterns utili di una civiltà sono stati adottati da altre civiltà con cui sono entrati in contatto.
Sorge spontaneo, di fronte a un approccio di storia globale come questo, chiedersi se i casi storici raccolti forniscano prove sufficienti per le conclusioni raggiunte. Dunque, per non incappare nei rischi più comuni (fare generalizzazioni, per esempio), Bod ricorre al termine «tendenza» o linea storica, così da non dover rifiutare automaticamente una generalizzazione nel caso in cui si presenti un controesempio. La storia globale del sapere ripercorsa dallo storico olandese, inoltre, non è costellata di soli successi. Sono diversi gli esempi fallimentari riportati nel saggio, dai quali si può comunque imparare molto: ogni fallimento, infatti, ha portato a una nuova scoperta in un sottocampo diverso permettendo così allo sviluppo della conoscenza di procedere (p. 310).
Infine, lo studio condotto fin qui da Bod lascia spazio a nuove domande. Domande che tirano in ballo altri dibattiti in corso, il più recente dei quali è quello relativo al rapporto tra schemi e principi con la pratica del modellismo nelle varie discipline. Se è vero che fino ad oggi a questo dibattito hanno preso parte soprattutto le filosofe e i filosofi della scienza, è vero anche che – a detta dell’autore – la storia può parteciparvi apportando un grande contributo. Capire il modo in cui le persone hanno percepito i modelli della storia nel corso del tempo, quali generalizzazioni hanno fatto su questi modelli e se lo hanno mai fatto in modo da colmare le differenze tra culture, periodi e discipline è utile per tentare di creare un campo generale di storia e filosofia della conoscenza. Una proposta che oltre ad aprire nuove possibilità di ricerca, sottolinea come una storia così delineata non sia utile solo per comprendere il passato, ma possa essere stimolante anche per il presente.
[1] Rens Bod, A New History of the Humanities: The Search for Principles and Patterns from Antiquity to the Present, Oxford, Oxford University Press, 2013.
[2] L’espressione «Great Divergence» , in realtà, è stata coniata dal politologo statunitense Samuel P. Huntington nel 1996 e si riferisce al cambiamento socioeconomico in cui l’Europa occidentale e le parti del Nuovo Mondo in cui i suoi abitanti divennero le popolazioni dominanti superò i vincoli di crescita premoderni ed emerse nel corso del XIX secolo come il paese più potente eclissando civiltà precedentemente dominanti o comparabili del Medio Oriente e dell'Asia.