VII, 2024/1

Francesca Trivellato

Microstoria e storia globale

Review by: Teresa Bernardi

Authors: Francesca Trivellato
Title: Microstoria e storia globale
Place: Roma
Publisher: Officina Libraria
Year: 2023
ISBN: 9788833672182
URL: link to the title

Reviewer Teresa Bernardi - Università degli Studi di Padova

Citation
T. Bernardi, review of Francesca Trivellato, Microstoria e storia globale, Roma, Officina Libraria, 2023, in: ARO, VII, 2024, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/1/microstoria-e-storia-globale-teresa-bernardi/

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Per parlare di questo libro partirei dalla copertina con l’illustrazione di una mongolfiera in volo, non è chiaro se in procinto di avvicinarsi al suolo o di allontanarsi per viaggiare altrove. All’interno del cesto non si intravedono passeggeri ma alla base compare inconfondibile l’immagine di un occhio intento a scrutare la realtà sottostante. Il titolo, Microstoria e storia globale, arriva subito in soccorso, richiamando alla mente i giochi di scala e l’andirivieni tra micro e macrostoria, tra dimensione locale e globale. È perciò inevitabile pensare alle lenti degli storici, chiamate costantemente a graduare la messa a fuoco, accostare un dettaglio dietro l’altro «senza perdersi nelle piaghe del racconto, individuare quali particolari possano schiudere una lezione più generale, esaminare un soggetto secondo una pluralità di registri e in rapporto a una molteplicità di contesti» (p. 7).

Da un lato, una stagione storiografica italiana di altissimo profilo, la microstoria, che nel dare voce a protagonisti del passato fino a quel momento lasciati nell’ombra dalla storia con la S maiuscola – contadini, piccoli artigiani, streghe e indemoniati – ha rinnovato il modo di fare ricerca e di scrivere la storia, distinguendosi per «la spiccata propensione alla sperimentazione» (p. 8) e diventando un modello teorico e metodologico per numerose discipline nel campo delle scienze umanistiche e sociali. Dall’altro lato, «le proposte piuttosto fumose della storia globale» (p. 8), «una galassia di approcci mal definita» (p. 11) che, nonostante l’impossibilità di essere inquadrata all’interno di una letteratura specifica, è considerata un punto di riferimento storiografico: se ne discutono animatamente i pro e i contro; viene istituzionalizzata, con la creazione di centri di ricerca, corsi universitari e riviste ad hoc; e se ne fa un uso strumentale per ottenere attenzione e finanziamenti.

A quasi mezzo secolo dalla pubblicazione de Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg (1976), che è stato considerato, almeno retrospettivamente, uno dei lavori cardine della microstoria, e in un momento in cui i dibattiti storiografici non possono ignorare le esigenze e le aspettative di un mondo sempre più interconnesso, Francesca Trivellato indaga il rapporto tra microstoria e storia globale, facendo il punto su una serie di interrogativi che l’hanno accompagnata nelle varie fasi della sua formazione e della sua ammirevole carriera: perché non è corretto associare la microstoria alla celebrazione del micro (la dimensione del villaggio, del quartiere, della biografia) in quanto tale? Come si può risolvere la tensione tra indagine microanalitica e spinta alla generalizzazione, tra scala locale e vaste scale spaziali e temporali? Che cosa distingue la microstoria dalla global history, e quali possono essere i vantaggi di «integrare microanalisi e approcci globali in questo inizio di XXI secolo» (p. 166)?

A partire da un punto di vista singolare, in quanto allieva di uno dei fondatori della microstoria italiana, Giovanni Levi, ma trasferitasi negli Stati Uniti da molto tempo, Trivellato lavora per anni intorno a questi interrogativi, scrivendo per riviste internazionali di largo respiro e confrontandosi costantemente con studiosi e studiose di varie discipline. Questo volume, uscito da poco nella collana Storie di Officina Libraria (https://www.officinalibraria.net/catalogo/collana/30), raccoglie alcuni dei suoi saggi sull’argomento, tradotti per la prima volta in italiano da Filippo Benfante. Sono articoli d’occasione, pubblicati nel corso di oltre dieci anni (tra il 2010 e il 2023), che non sono stati pensati per far parte di uno stesso volume e quindi si rivolgono a tipologie di pubblico disparate. Nonostante ciò, e anche grazie a un accurato lavoro di curatela, finiscono in maniera del tutto originale per dialogare e per chiarirsi a vicenda, per restituire, come raramente accade, il costruirsi di una riflessione metodologica che non dà nulla per scontato, che si è sviluppata gradualmente e attraverso molte rielaborazioni, al passo con la storia professionale dell’autrice e con i dibattiti che di volta in volta sono stati generati dai suoi stessi lavori.

Apre il volume il capitolo Dai margini, versione italiana dell’articolo introduttivo di un numero di «Capitalism: A Journal of History and Economics» (2, 2021, 2). I margini su cui riflette Trivellato sono quelli del mondo accademico, di cui esplora le potenzialità creative così come la condizione di precarietà e incertezza che possono generare. La scelta di posizionare questo saggio in apertura è congeniale a mettere in risalto una delle argomentazioni più rilevanti della raccolta: per testare l’efficacia di metodologie e pratiche storiografiche occorre affiancare a un’analisi rigorosa sul piano scientifico una disamina obiettiva delle specificità dei contesti politici, economici, accademici in cui questi approcci trovano applicazione, nonché uno sguardo consapevole delle diseguaglianze interne ai sistemi universitari a livello mondiale. Gli interessi di ricerca e le scelte di metodo degli storici e delle storiche a inizio carriera, ad esempio, sono inevitabilmente condizionati dalla precarietà del lavoro, dalle tempistiche dei bandi, dalle valutazioni accademiche e dai criteri di revisione di articoli e monografie, che tendenzialmente non facilitano né l’interdisciplinarità né la sperimentazione. Trivellato vede una risposta concreta ad alcune di queste problematiche nell’esperienza della rivista «Capitalism», ma sembra lasciarci anche con una domanda: quanto ancora saremo disposti a pagare l’alto prezzo intellettuale che tutto questo comporta?

Il secondo capitolo esplora le potenzialità e le tensioni irrisolte della microstoria alla luce del grande successo riscosso dalla storia globale. Esiste un futuro per la microstoria italiana nell’era della Global History? (2011) è un saggio densissimo e illuminante, che per prima cosa fa chiarezza sulle caratteristiche distintive della microstoria, come il ricorso a modelli antropologici, l’utilizzo di "casi anomali" per mettere in discussione la validità di generalizzazioni diffuse, e l’impiego di scale di analisi plurime. Ne delinea inoltre i bersagli principali – tra cui l’etnocentrismo, le teorie della modernizzazione e la storia universale – per poi proporre un’indagine raffinata dei diversi significati che la microstoria ha acquisito negli ultimi trent’anni, a distanza di tempo e in altri contesti geografici rispetto a quelli in cui era stata concepita. L’autrice si interroga infine sul valore aggiunto che le questioni sollevate per la prima volta da Carlo Ginzburg, Edoardo Grendi, Giovanni Levi e Carlo Poni offrono agli studi di chi oggi si occupa di storia globale e di processi di globalizzazione. La sua preziosa lezione di metodo consiste nel dimostrare in che modo la microstoria, se considerata uno strumento piuttosto che un paradigma, può ancora fare la differenza, e questo ben al di là del piano formale e stilistico o della preferenza per il micro e l’approccio biografico.

La mongolfiera a questo punto si allontana, allarga la visuale, spostando l’attenzione sul rapporto tra scrittura storica e spazio pubblico. Siamo nel 2015, il saggio Una nuova battaglia per la storia nel XXI secolo viene realizzato in risposta al The History Manifesto di David Armitage e Jo Guldi, in cui i due studiosi, come spiega Trivellato, rimproverano agli storici di non prendere posizione rispetto alle questioni globali contemporanee e di essere i primi responsabili della posizione marginale della loro disciplina nel dibattito pubblico. Per rilanciare il ruolo sociale e politico della storia ritengono necessario (e a quanto pare sufficiente) adottare analisi che prediligano la longue durée e la dimensione globale alla scala micro. Trivellato ribatte e alza la posta in gioco, avanzando una serie di interrogativi che, a quasi dieci anni da questa pubblicazione, risultano ancora stringenti: «a parte la perizia nell’analisi quantitativa», si chiede, «di quali altre competenze abbiamo bisogno per scrivere una nuova storia che copra diversi secoli, o addirittura millenni?», e «su quali basi gettiamo ponti verso altri campi e altre discipline e rispondiamo alle aspettative dei politici e dei lettori di fornire resoconti del passato funzionali al presente?».

I capitoli centrali della raccolta necessitano di un ulteriore paio di lenti, poiché l’autrice entra nel merito di una serie di studi che hanno posto le basi per costruire un dialogo tra Rinascimento italiano e Mediterraneo musulmano (capitolo 4) e più in generale tra storia dell’Europa moderna e storia globale. D’altronde, sarà lei stessa a far luce sugli aspetti pratici del commercio interculturale in antico regime, attestando la coesistenza di forme di inclusione ed esclusione nei rapporti tra gruppi religiosi. Il capitolo Matrimonio, capitale e azienda. Famiglie sefardite (e armene) nel Mediterraneo, secoli XVII e XVIII (2011), ad esempio, esamina gli specifici meccanismi sociali ed economici (le strutture di parentela, le pratiche ereditarie e i sistemi dotali) che hanno permesso alle aziende familiari sefardite e armene di operare in maniera differente nel campo del commercio a lunga distanza. In questo studio, che riprende alcune delle argomentazioni del suo libro The Familiarity of Strangers, la microanalisi ha creato le premesse per una comparazione accurata tra diverse aziende familiari e tra diversi contesti diasporici, contribuendo, sul piano macro e transregionale, a ripensare il concetto stesso di diaspora e di capitalismo mercantile.

Intersecando simultaneamente più scale di analisi, l’autrice contribuisce in maniera significativa anche ai dibattiti politici contemporanei. Il sesto capitolo, Le economie morali nell’Europa dell’età moderna (2020), riprende uno dei temi più originali del primo libro di Trivellato, Fondamenta dei vetrai: le forme di compensazione salariale di maestri e garzoni delle vetrerie veneziane e i processi di adattamento messi in atto dai produttori di fronte a una crescente concorrenza internazionale. Alla luce dei dibattiti attuali sul liberalismo e sulle diseguaglianze economiche, dimostra come uno dei problemi più spinosi delle democrazie contemporanee – trovare un modo per bilanciare meritocrazia e giustizia sociale – esisteva già nel periodo preindustriale. Nell’analizzare il fragile equilibrio tra gerarchie sociali e libertà contrattuale, mette in discussione la costruzione binaria di Edward Palmer Thompson (di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita) che contrappone il «paternalismo» dell’età moderna al libero mercato del XIX secolo, rendendo più comprensibili sia le «economie morali» del passato, volutamente al plurale, sia le ingiustizie del presente.

L’ultimo capitolo, Quali differenze fanno la differenza? Ancora su storia globale e microanalisi è stato pubblicato per la prima volta in inglese nel «Journal of Early Modern History» (2023), ma sembra scritto appositamente per tirare le somme di questa raccolta. Entra infatti nel merito di due questioni fondamentali: la difficoltà di definire chiaramente che cosa si intenda per global history, e la necessità di riconoscere che «la più grande sfida che ci pone la storia globale consiste non solo nell’ampliare le regioni, i popoli, le idee e i manufatti di cui ci occupiamo, ma nell’interrogare i modi in cui procediamo a questo allargamento di prospettive» (p. 166). Nonostante il proliferare delle etichette “globale” e “globalizzazione” nel lessico accademico e storiografico, occorre ancora chiarire “come” possiamo formulare delle risposte che siano convincenti anche sul piano metodologico e soprattutto “come” fornire alle nuove generazioni di storici e storiche gli strumenti (intellettuali, linguistici, tecnologici ed economici) per confrontare e armonizzare fonti prodotte in località diverse, per scopi diversi e in epoche diverse, creando dunque le condizioni per proporre soluzioni innovative.

Francesca Trivellato non si pone l’obiettivo di arrivare a una definizione precisa di storia globale, ma si sofferma proprio sulla sua «natura disordinata e talvolta contraddittoria» (p. 146), mettendo in evidenza la pluralità dei modi in cui è possibile concepire il globale, integrare micro e macro analisi e praticare la comparazione. Anche grazie all’originalità di tale prospettiva, questo libro è una miniera di insegnamenti, indipendentemente dal fatto che i lettori e le lettrici che lo avranno tra le mani si trovino all’inizio o alla fine della propria carriera universitaria, al centro o ai margini del dibattito storiografico, all’interno o all’esterno dell’accademia. È un libro che insegna a far ordine scombinando le carte, a mostrare delle strade da percorrere solo dopo aver moltiplicato le domande, a non posizionarsi a favore o contro un fenomeno storiografico senza aver prima scavato a fondo, identificandone le origini e gli antagonisti, esplorandone le trasformazioni e i possibili sviluppi.

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