VII, 2024/1

Stefano Villani

Making Italy Anglican

Review by: Filomena Viviana Tagliaferri

Authors: Stefano Villani
Title: Making Italy Anglican. Why the Book of Common Prayer Was Translated into Italian
Place: Oxford
Publisher: Oxford University Press
Year: 2022
ISBN: 9780197587737
URL: link to the title

Reviewer Filomena Viviana Tagliaferri - Università di Modena e Reggio Emilia

Citation
F.V. Tagliaferri, review of Stefano Villani, Making Italy Anglican. Why the Book of Common Prayer Was Translated into Italian, Oxford, Oxford University Press, 2022, in: ARO, VII, 2024, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/1/making-italy-anglican-filomena-viviana-tagliaferri/

PDF

La storia di un fallimento. È questo ciò che viene documentato nel libro di Stefano Villani Making Italy Anglican: Why the Book of Common Prayer Was Translated into Italian nelle parole dello stesso autore. Il fallimento in questione è stato il tentativo di presentare la Chiesa d’Inghilterra agli italiani come possibile modello per intraprendere una riforma religiosa che partisse dal rifiuto del primato papale (p. 8). Ed infatti il nocciolo della questione – e della stessa vicenda storica analizzata con competenza e vividezza da Villani – non era tanto quello di convertire all’anglicanesimo gli italiani – laddove lo stesso autore evidenzia la problematicità sia del termine "Anglican" che quello di "Italy" per il periodo preso in esame – ma di trasformare la Chiesa cattolica romana in una chiesa "nazionale", partendo proprio dalla riforma linguistica della liturgia. La traduzione in italiano del Book of Common Prayer si inserisce in un progetto missionario più ampio e il binomio lingua-riforma è l’asse portante del libro stesso, laddove la necessità delle traduzioni è sinonimo di diffusione di un modello di religiosità nuova. Villani illustra la portata delle ambizioni di proselitismo che stanno proprio dietro alle operazioni di traduzione del Book of Common Prayer in latino, francese, gallese, greco antico, gaelico, ebraico e arabo – quest’ultima lingua legata alla vicenda storica dell’operato dei cappellani della British factory di Aleppo, magistralmente indagata da Simon Mills nel suo A Commerce of Knowledge (Oxford, Oxford University Press, 2020). A sua volta, Villani ben evidenzia come la traduzione in italiano sia essenzialmente una "British story" in cui si trovano riflesse «the British self- image and its role in Anglo- Italian relations» (p. 10). In questa prospettiva, l’Italia viene vista come una sorta di «inner- European Orient», un processo di orientalizzazione dal quale la penisola esce rappresentata esotica e seducente, ma anche corrotta e decaduta. Italia terra di missione, quindi, da sottrarre a Roma attraverso la proposta di un modello di fede e di una pratica religiosa alternative che trovano nella pietas anglicana un modello virtuoso in grado di soppiantare il papismo. La Chiesa d’Inghilterra è una sorta di terza via tra cattolicesimo e il protestantesimo europeo, un approccio religioso di natura "nazionale" dove la lingua simboleggia la riduzione stessa delle pretese universalistiche di Roma. Partendo dalle prime traduzione seicentesche, la vicenda narrata da Villani arriva fino al progetto di riforma del cattolicesimo proprio delle società missionarie inglesi ottocentesche attraverso la formazione di Chiese nazionali in ogni stato europeo in forte continuità apostolica tra di loro e che utilizzano a tal fine proprio la diffusione delle traduzioni della Bibbia e del Book of Common Prayer. E per questo, nota Villani, la traduzione non è solo l’atto di trasporre da una lingua all’altra pratiche liturgiche che devono divenire un modello paradigmatico. La traduzione è per prima cosa uno strumento di polemica anticattolica che riveste al tempo stesso una funzione apologetica volta ad evidenziare la superiorità della Chiesa d’Inghilterra. Un progetto che travalica la questione religiosa divenendo "civilizzatore" e che si trova all’origine di una storia durata ben tre secoli – dall’inizio del XVII secolo alla fine del XIX secolo – che l’autore svolge sotto gli occhi del lettore nelle tre parti del libro e che include anche una sezione finale in cui vengono presentati stralci delle traduzioni italiane trattate.

Nella prima parte del libro viene ripercorsa la vicenda seicentesca della prima traduzione italiana, realizzata nel 1608 da William Bedell, cappellano dell’ambasciatore di Giacomo I a Venezia, con l'aiuto di Fulgenzio Micanzio e Paolo Sarpi. La traduzione – di cui non sono pervenute copie e che rimase probabilmente manoscritta – si inserisce nel drammatico momento di crisi dell’Interdetto, in cui da parte inglese si auspica lo scisma tra Roma e Venezia (che non si realizzerà). Questa versione pare essere stata utilizzata da Alessandro Amidei, italiano dalla ambigua identità religiosa che si trasferì in Inghilterra nel 1656, per attribuirsi la paternità di una traduzione italiana del Book of Common Prayer. La sezione si conclude con la poco conosciuta storia della piccola comunità calvinista italiana di Londra, fondata alla fine del Cinquecento ed attiva fino al 1663 e dei suoi rapporti con la Chiesa d’Inghilterra.

La seconda parte è dedicata alla prima edizione a stampa a cura di Edward Brown de Il Libro delle Preghiere Pubbliche secondo l'uso della Chiesa Anglicana (1685), il cui traduttore fu Giovan Battista Cappello. Questa versione non era destinata all’uso liturgico ma valeva come testo polemico in un momento particolarmente delicato, quando al trono inglese era salito un re cattolico, Giacomo II, con moglie italiana, Maria di Modena. Questa versione fu rieditata nel 1733 e nel 1796 ed utilizzata come testo di lettura nell’apprendimento della lingua italiana, allo stesso modo delle versioni poliglotte degli anni Venti dell’800 che avevano come target il vasto pubblico di inglesi diretti in Italia per il Grand Tour.

La terza parte si concentra sulle vicende delle varie traduzioni italiane ottocentesche, non più intese come risorsa linguistica, ma poste al centro di un progetto di proselitismo che, a partire dall’italiano lingua franca del Mediterraneo, potesse stimolare una riforma religiosa di vasta portata nel sud Europa che aveva le sue basi sia nella britannica Malta, sia nelle varie British factories mediterranee. Curatore della versione del 1831 – pubblicata a Livorno per conto della Society for Promoting Christian Knowledge (SPCK) – fu George Frederick Nott. La SPCK fu molto attiva nel promuoverne successive edizioni a seguito degli eventi politici in Italia, per cui sia l’élite politica e religiosa, sia l’opinione pubblica inglese si convinsero che il Risorgimento avrebbe portato inevitabilmente anche a una riforma religiosa. La sezione si conclude con l’analisi dell’uso fatto della versione italiana della liturgia anglicana nelle congregazioni italiane del XIX secolo fondate in Inghilterra per i numerosi immigrati italiani e con la storia delle traduzioni italiane del Book of Common Prayer della Chiesa episcopale degli Stati Uniti.

Con una prosa elegante e snella, grazie anche all’ottimo lavoro di traduzione di Frank Gordon, Villani percorre tre secoli di storia di trasposizione linguistica utilizzando le varie edizioni come pietre miliari e cartine di tornasole dei rapporti tra Inghilterra e penisola italiana. Un volume importante per la storiografia che mette insieme i frutti raccolti durante un lavoro di ricerca decennale di cui rappresenta indubbiamente un fine accomplishment. Unica pecca (minore) del lavoro sono le note, estese quasi quanto il testo principale. Se da un lato il concentrare delle referenze nelle note permette al testo stesso un'agilità di lettura notevole, dall’altro alcune informazioni presenti in nota sarebbero state benvenute nel corpo del testo, evitando al lettore passaggi continui tra le due sezioni.

Subscribe to our newsletter

Partners