Reviewer Maria Conforti - Università di Roma La Sapienza
CitationDa qualche anno, molti e diversi studi hanno riesaminato il ruolo della Roma di età moderna come luogo di pratiche e ricerche scientifiche. Questo approccio ha corretto l’antico pregiudizio, radicato nell’anticlericalismo risorgimentale ma in verità più antico, che vedeva la città – universale in quanto centro del cristianesimo e poi del cattolicesimo – piuttosto avversa che favorevole al variegato mondo di saperi che oggi chiamiamo, sbrigativamente, "scienza" o "scienze". Il peso della censura, delle attività inquisitoriali e in genere del freno posto a dottrine giudicate pericolosamente vicine all’eresia (dal copernicanesimo all’atomismo) non può essere dimenticato, ma va compreso e riarticolato sullo sfondo di nuove acquisizioni storiografiche. Studi dedicati all’età moderna, cui anche l’autrice del libro ha partecipato da protagonista, hanno così potuto mettere in luce l’intreccio fecondo tra attività di ordini religiosi, istituzioni ospedaliere, centri di potere politico, sociale e artistico, corti e rappresentanze nazionali, singoli protagonisti nel promuovere attività che vanno dalla produzione e raccolta libraria all’attività sperimentale, dalla pratica anatomica e medica all’insegnamento di discipline quali la geometria o l’astronomia, alla creazione di Wunderkammern e accademie, alla promozione delle pratiche scientifiche missionarie.
La sfida affrontata da Federica Favino in questo libro è però più complessa. Il periodo di cui si tratta qui, in genere abbastanza trascurato dalla storiografia, è quello della cultura scientifica italiana nei primi decenni dell’Ottocento e nell’età della Restaurazione. Si è ormai consapevoli del grande fermento dei decenni rivoluzionari e napoleonici; ma si è ancora restii a concedere la stessa attenzione agli anni immediatamente successivi. In particolare in una città come Roma, considerata inesistente sulle mappe della scienza europea prima della metà del secolo, e semmai definitivamente riacquisita al mondo del sapere solo dopo l’Unità. Uno dei grandi meriti del libro di Favino è appunto quello di mostrare come questo sia un pregiudizio storiografico: come, anche in questi anni, ricerche di non trascurabile quantità e qualità siano continuate e abbiano prodotto risultati. La seconda sfida affrontata da Favino è stata quella di focalizzare l’attenzione sulle figure di due donne, Elisabetta Fiorini Mazzanti (1799-1879), botanica, e Caterina Scarpellini (1808-1873), astronoma. Sembrerebbe una scelta irragionevole, che rischia di sottolineare ancor di più la presunta arretratezza scientifica di una città e di uno stato le cui caratteristiche intellettuali non avrebbero favorito la scienza in genere, figurarsi poi quella declinata al femminile. Si tratta invece, come il libro dimostra, di una scelta vincente: proprio illustrando le vite e le attività di due protagoniste, anche se di diverso carattere, status sociale e attività emergono la ricchezza e la complessità non solo della scena romana, ma anche le vie tortuose percorse dalle donne che a diverso titolo si sono occupate di scienza.
Nel libro emerge anche, e non avrebbe potuto essere altrimenti, il ruolo giocato dalle reti maschili nel permettere un percorso emancipatorio che altrimenti non sarebbe stato né immaginabile né possibile. Sia Elisabetta Fiorini Mazzanti che Caterina Scarpellini sono state educate, incoraggiate, protette – e inevitabilmente anche sfruttate – da mentori, maestri e collaboratori di diverso calibro e capacità. La prima, appartenente a una famiglia agiata e di buoni mezzi, fu allieva di un protagonista della scienza italiana dell’epoca, Giovanni Battista Brocchi, geologo e paleontologo; i due si incontrarono durante le permanenze romane dello scienziato e poi restarono in corrispondenza. Favino esamina con attenzione lo sfondo di sociabilità colta – incarnata, per non menzionare che un dettaglio, in numerose riviste – che animava la città e di cui maestro e allieva facevano parte. La seconda era invece di estrazione artigiana, cooptata come collaboratrice dallo zio Feliciano Scarpellini per le sue attività di astronomo della Sapienza, e presso il recentemente costruito Osservatorio. Favino descrive in dettaglio la carriera di Scarpellini e le vicende della "sua" specola, ricca di strumenti. Alla sua morte fu Caterina, che aveva sposato il suo assistente Erasmo Fabri, a ereditarne gli strumenti e a gestirne la difficile transizione nella nuova realtà dominata dalla figura di Ignazio Calandrelli, che aveva interesse a sminuire il suo ruolo in particolare e in generale quello di Scarpellini. La donna reagì con forza di carattere all’allontanamento dalle sedi classiche degli studi astronomici fondando nel 1856 in Campidoglio una stazione ozonometrica e meteorologica attraverso la quale rimase in contatto con la ricerca scientifica europea.
Nello stesso anno, con un’iniziativa che segnò un punto di svolta importante, Elisabetta Fiorini Mazzanti venne eletta all’Accademia dei Lincei. La sua carriera scientifica, che non conobbe le difficoltà di quella di Caterina Scarpellini, era stata lineare: le corrispondenze con colleghi ed esperti, l’interesse, innovativo, per le "piante imperfette" e per la micologia, l’abilità di disegnatrice e microscopista, il riserbo austero della sua vita ne facevano una candidata alla fama ben più attraente, per il suo ambiente, dell’irregolare Caterina. La botanica aveva un salotto, ma si trattava di una conversazione scientifica; si era interessata ad alcune vicende istituzionali, come la nomina alla direzione dell’Orto Botanico, ma restando nella posizione di distanza che si conveniva a una signora.
La parte finale del libro di Favino è dedicata alla memoria postuma delle due scienziate, e in particolare a quella di Scarpellini, cui fu progettato un monumento di cui si possono seguire le complicate vicende e i promotori, ricostruendo da questo punto di vista il carattere della "scienza positiva" a Roma negli anni ’70. Non solo: Favino insiste, nell’ultimo capitolo, sull’evolversi dell’educazione femminile, in particolare scientifica, in città – di cui furono protagoniste, tra le altre, Giannina Milli, Erminia Fuà Fusinato e Teresa Morando, riprendendo ciò che era stato detto dello stato dell’educazione scientifica nell’età della Restaurazione all’inizio del volume. La monumentalizzazione (materiale o testuale) delle figure femminili rappresentò un momento essenziale di formazione e di sprone per le nuove generazioni.
Un breve resoconto non rende giustizia alla ricchezza del volume di Favino, al suo tenere insieme fili diversi che compongono un tessuto brillante e multicolore. Lungi dal limitarsi a notazioni biografiche, questo volume apre quasi ad ogni pagina prospettive diverse e varie, di cui offrono testimonianza le molte note e le citazioni. Rivolto a un pubblico di specialisti, il libro può però essere letto con grande interesse da punti di vista diversi: quello della storia scientifica di una città unica in Italia, se non nel mondo; quello della storia dell’educazione in Italia; infine, ovviamente, quello della storia di genere, che questo libro contribuisce a collocare sul terreno saldo dei dati e delle ricerche d’archivio.