Reviewer Elisa Frei
CitationIn dieci capitoli che spaziano dai viaggi di Marco Polo (1254-1324) alla poesia “cinese” di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) l’autore, professore di German Studies presso la Pennsylvania State University, studia come gli europei (in particolare di lingua tedesca) simpatizzassero e si identificassero con la tradizione letteraria e culturale cinese. Nella premessa, Sympathy and Orientalism, Purdy si interroga su come civiltà lontane nel tempo e nello spazio giungessero a sentire un legame di “simpatia” tra di loro. Questo senza dubbio accadde all’Europa con la Cina, la quale seppe attrarre non solo una superficiale curiosità ma una vera e propria affinità. Ciò fece sì che furono molti gli europei (poeti, scrittori, traduttori, filosofi, ma anche persone comuni) che, da Marco Polo in poi ma soprattutto a partire dal Seicento, si immedesimassero con i loro corrispettivi in Cina.
Purdy adotta approcci tipici della storia delle emozioni e si interroga criticamente sul concetto di simpatia, che descrive sia come una risposta emotiva alla condizione (reale o immaginata) di un’altra persona, sia come l’influenza invisibile che si esercita tra due corpi a grande distanza. Tale simpatia si nutre grazie alla mediazione di diversi agenti, e Chinese Sympaties si concentra proprio sul ruolo di tale mediazione, fondamentale nel condurre a una certa sinofilia – o, al contrario, sinofobia. Grazie a come le informazioni venivano filtrate e viaggiavano su diversi canali, gli europei finivano per interessarsi, soffrire e gioire di eventi a loro del tutto remoti soltanto perché ne leggevano – tale era il potere e l’efficacia di queste comunicazioni.
Nei rapporti tra Cina ed Europa un ruolo fondamentale fu svolto per due secoli dai gesuiti, che ebbero il primato di interpreti della cultura cinese, per via di un ruolo ricoperto accanto alla élite dominante che non ebbe pari con gli altri europei che vissero nell’impero per qualche tempo. Anche traduttori e interpreti della cultura cinese provenienti da ambienti “rivali” ai gesuiti (come l’Inghilterra e per certi versi anche la Francia) dovettero sempre basarsi su testi – e quindi interpretazioni – gesuiti della società cinese.
Al di là di coloro che studiarono la lingua o quantomeno la civiltà cinese basandosi su dati di fatto, vi furono peraltro coloro che se ne interessarono soltanto come idea, e crearono testi di vera e propria fiction “cinese”, senza alcuna aderenza alla realtà. Essi erano agevolati in ciò anche dal fatto che, anche in mezzo alle pubblicazioni di viaggiatori, missionari e umanisti vari era comunque difficile distinguere informazioni vere da altre completamente inventate o quantomeno molto abbellite. Inoltre il pubblico di lettori e in generale gli appassionati di Cina (anche solo del suo stile pittorico o delle sue porcellane) erano molti in Europa, e costantemente in cerca di nuovi prodotti che la riguardassero. La simpatia, insomma, poteva anche condurre a una vera e propria manipolazione della realtà, e per i più diversi scopi (anche solo quelli di intrattenimento).
Il primo capitolo (Marco Polo´s Fabulous Imperial Connections) verte attorno ai viaggi di Marco Polo e al suo ruolo di pioniere nello stabilire un rapporto con la corte di Kublai Khan. Le sue memorie di viaggio rappresentarono per molti secoli a venire un modello di rapporti ideali fra civiltà considerate alla pari, e fu proprio questo canale di informazioni debitamente diretto a stabilire quell’andamento “simpatico” verso la Cina che portò ad esempio autori quali Franz Kafka a vedere un’analogia fra impero asburgico e cinese.
Nel secondo capitolo (Jesuit Channels between Europe and Asia) si giunge al cuore della documentazione meglio studiata da Purdy, ossia quella gesuita. Anche nell’impero tedesco, che non aveva sbocchi oltreoceano come quelli portoghese e spagnolo, centinaia di persone pregavano per e sentivano con “i cinesi” – o quantomeno l’idea che di essi si erano fatta proprio grazie ai missionari della Compagnia di Gesù. Al di là del loro intento evidentemente e precipuamente religioso, peraltro, i gesuiti furono senza dubbio, per almeno due secoli, i migliori informatori e conoscitori della civiltà cinese.
Anche il terzo (A Genealogy of Cosmopolitan Reading) e quarto (News of the Ming Dynasty´s Collapse) capitolo mostrano l’importanza delle missioni gesuite in Cina. Vengono analizzate lettere dirette dai religiosi che operavano dall’altra parte del mondo ai loro confratelli ma anche a un pubblico di lettori incuriositi e affascinati, soffermandosi in particolare sul trattato di Martino Martini (1614-1661) e sulla sconfitta della dinastia Ming, in seguito all’invasione Manchu del 1644 (De Bello Tartarico Historias).
Su un testo laico si concentra invece il capitolo quinto (Vondel´s Tragic Chinese Emperor), dedicato al dramma Zungchin scritto dal poeta olandese Joost van den Vondel (1587-1679), ma ancora una volta basato su informazioni diffuse dai gesuiti. Anche coloro che con questi ultimi non sembravano avere molto in comune, ossia gli illuministi, dovettero comunque affidarsi alla loro intermediazione; interpretavano però ciò che leggevano in chiave opposta. L’imperatore cinese non veniva più visto come un magnanimo monarca di buone intenzioni ma incapace di convertire la sua popolazione, bensì come un saggio regnante, virtuoso ed etico proprio in virtù dell’ateismo pacificamente dominante nel suo impero.
Nel sesto capitolo (Wieland´s Secret History of Cosmopolitanism) si mostra come il moralista illuminista Christoph Martin Wieland (1733-1813) segni una svolta nella relazione di simpatia coi cinesi, visti come potenziali amici e alleati. Del filosofo Adam Smith (1723-1790) viene analizzata nel settimo capitolo (Adam Smith and the Chinese Earthquake) la domanda retorica su come avrebbe reagito in Europa una persona venuta a sapere di un terremoto in Cina. Poteva la compassione estendersi a tale distanza, senza una personale e diretta conoscenza dell’altro, con una simpatia sincera e sentita?
Proprio questo rapporto empatico al di là della religione e dei fini di conversione si sviluppò a partire soprattutto dal Settecento, come rivelano gli ultimi tre capitoli del libro (Goethe Reads the Jesuits; Chinese-German Pairings; World Literature and Goethe´s Chinese Poetry), che si focalizzano precipuamente sulla figura di Goethe. Questi vedeva le dispute fra gesuiti e monaci buddhisti in Cina nel Seicento assimilabili ai dibattiti epistemologici che Kant (1724-1804) e gli idealisti avrebbero fatto a Weimar un secolo dopo. La tesi principale del volume viene discussa proprio negli ultimi capitoli, atti a dimostrare che, fra gli europei, furono soprattutto i tedeschi a sostenere, scoprire e nutrire un’affinità con i cinesi, talmente profonda che spesso si identificarono con essi e con ciò che là avveniva a livello letterario e filosofico. Questa radicata e intima simpatia, però, come Purdy mostra, era basata precipuamente su fonti create e diffuse (su scala globale, e anche oltre il mondo cattolico) proprio dai gesuiti, intermediari insuperabili e imprescindibili.
Chinese Sympathies adotta un approccio originale e diverso rispetto alla maggior parte dei libri che trattano delle relazioni fra Oriente e Occidente. Anzitutto impiega molte fonti letterarie: al di là di quelle più comuni e strettamente storiche (come le lettere dei gesuiti, i pezzi teatrali, i libri di viaggio etc.), Purdy fa un ampio e apprezzabile uso della letteratura tedesca, di trattati teologici e filosofici, storie imperiali, drammi, traduzioni letterarie e cicli poetici. Si tratta di documenti che spesso gli storici ignorano o non tengono in opportuna considerazione. A corollario di ciò, molte delle opere analizzate da Purdy sono germanofone: ciò rende il suo contributo ancora più prezioso, perché i molti studiosi che non sono in grado di accedere a materiale tedesco saranno grazie a questo libro introdotti a un mondo ricco e stimolante, con una selezione accurata dei materiali più affascinanti sui rapporti fra Cina ed Europa dall’età medievale a quella contemporanea.
Un altro aspetto positivo del libro risiede in effetti proprio nel suo approccio di longue durée, che inizia dai viaggi di Marco Polo e arriva fino a Goethe. Infine, Purdy subisce la fascinazione dei gesuiti – che per tutti gli studiosi di Cina è inevitabile – ma non si ferma solo a loro, e costruisce un resoconto completo e stimolante ma scritto in modo comprensibile anche a un pubblico non accademico.