Reviewer Chiara Zampieri - FBK-ISIG | DHI
CitationL’analisi della risposta – legislativa, operativa e politica – a fenomeni criminali come la mafia e il terrorismo negli ultimi anni è stata oggetto di una nuova stagione di studi storiografici, che ha visto l’uscita di diverse pubblicazioni dedicate allo studio sia della reazione dello Stato italiano all’uno o all’altro fenomeno sia della reazione ai due fenomeni nel loro insieme. Queste ricerche hanno messo in luce analogie e differenze, continuità e discontinuità nelle pratiche, nella legislazione e, più complessivamente, nelle politiche che sono state adottate per affrontare le due manifestazioni criminali. A questo filone si può ascrivere anche la biografia che Vittorio Coco ha dedicato a Carlo Alberto dalla Chiesa, essendo stato il generale la figura che forse più in assoluto ha incarnato la sintesi della lotta sui due fronti, essendosi trovato in prima linea nel contrastare sia gli assassinii di matrice terroristica, sia le stragi di natura mafiosa. Finora disponevamo di alcuni ritratti soprattutto di taglio agiografico e di alcune meritorie raccolte di testimonianze degli uomini che hanno collaborato con lui nelle diverse fasi della sua esperienza nell’Arma; ma mancava una biografia di dalla Chiesa di carattere storiografico.
Carlo Alberto dalla Chiesa è stato in effetti uno dei protagonisti – se non “l’uomo-chiave” – della reazione delle istituzioni dell’Italia repubblicana all’offensiva del terrorismo e della mafia fra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta. E questo volume lo dimostra una volta di più. Per la verità, la ricostruzione di Coco comincia ben prima, ripercorrendo le origini e la formazione di dalla Chiesa e illuminando alcune fasi meno conosciute della sua esperienza nell’Arma, come quelle – che per lui avrebbero contato moltissimo negli anni a venire – che lo videro coinvolto nella Resistenza partigiana e, con l’avvento dell’età repubblicana, nel Corpo forze repressione banditismo in Sicilia. In Sicilia fra l’altro sarebbe tornato anche fra il 1966 e il 1973, a seguito della «prima guerra di mafia», nel quadro di un rinnovato impegno dei governi di centro-sinistra nel contrasto al fenomeno mafioso. Il primo incarico speciale nella lotta al terrorismo gli venne invece assegnato nel 1974, quando, con l’avallo del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, fu posto alla guida del Nucleo speciale di polizia giudiziaria cui vennero affidate le indagini sulle Brigate rosse all’indomani del sequestro del giudice Mario Sossi; seguì nel 1977 l’incarico relativo alla gestione delle carceri a fronte della vera e propria “emergenza evasioni” acuita dalla presenza sempre più folta nei penitenziari dei detenuti politici; giunse poi il nuovo incarico straordinario, assegnatogli dal ministro dell’Interno Virginio Rognoni, a capo di un Nucleo speciale antiterrorismo nell’estate del 1978, dopo il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. Nel 1982, infine, venne nominato prefetto di Palermo al chiaro scopo di dare una svolta alla lotta alla mafia, che a quel tempo stava insanguinando le strade della città nella sua «seconda guerra». Poco dopo aver assunto questo nuovo ruolo, però, il generale venne assassinato proprio per mano mafiosa.
Ripercorrere la vicenda biografica di una figura cruciale come dalla Chiesa consente di guardare alla storia d’Italia da un’angolatura particolare, quella dei suoi apparati di sicurezza, e di ricostruire così, anche da questa prospettiva, il passaggio dal fascismo alla Repubblica e le diverse fasi del primo quarantennio repubblicano, con tutte le trasformazioni che sono intervenute nel paese; trasformazioni che hanno investito anche gli stessi corpi di sicurezza dello Stato, anche se non sempre è stato facile coglierle a causa delle difficoltà che la ricerca storica incontra quando se ne vuole indagare la storia, a cominciare dall’inaccessibilità delle fonti che li riguardano. Il volume, quindi, ripercorrendo questi passaggi, consente di articolare meglio alcune questioni, come ad esempio il nodo della “continuità” degli apparati e delle pratiche di repressione nella transizione dal fascismo alla Repubblica. Il libro evidenzia come vi siano state certamente delle continuità, ma, soprattutto, degli adattamenti, come pure delle innovazioni negli apparati e nelle pratiche di investigazione e di repressione. Per quanto riguarda la vicenda di dalla Chiesa, oltre a dimostrare quanto il generale abbia grandemente influito sulla genesi e l’evoluzione della risposta dello Stato ai principali fenomeni criminali degli anni Sessanta e Settanta, la ricostruzione di Coco permette di superare alcune letture semplificate, ma anche quelle di carattere cospirazionista, che hanno spesso contrassegnato l’analisi di quegli anni. Emerge, ad esempio, come i primi vent’anni di esperienza nell’Arma, che pure sono i meno noti, siano stati di cruciale rilevanza nel determinare le modalità di contrasto alla criminalità organizzata che il generale avrebbe impiegato negli anni a venire, quando divenne un simbolo della lotta alla mafia e al terrorismo. In particolare, la convinzione – maturata, appunto, nei primi anni della sua carriera – che fosse necessario analizzare i fenomeni criminali e studiarne le peculiarità, l’articolazione, il modus operandi, il consenso che li attorniava e di trattare i reati considerandoli nel loro insieme e non come casi isolati, ha avuto un impatto molto significativo nell’aumentare l’efficacia dell’attività preventiva e repressiva degli apparati statali nel loro complesso. Un altro aspetto che viene evidenziato nella ricostruzione di Coco è che dalla Chiesa non fu – come invece talvolta viene dipinto – un “uomo solo”, sia dal punto di vista dei suoi rapporti con gli altri apparati di sicurezza, sia nel suo rapporto con la politica. Emerge infatti come il generale, pur avendo avuto spesso incarichi di carattere speciale che ne aumentavano certamente il potere personale, comunque puntò in modo costante sul coordinamento con gli altri corpi di polizia, con l’intelligence e, forse soprattutto, con la magistratura – con la quale riuscì a instaurare spesso un proficuo rapporto di scambio e fiducia. Dalla Chiesa ebbe anche relazioni strette con il mondo politico. Anzi, egli appare molto più in sintonia con quest’ultimo – a cominciare dai titolari del dicastero degli Interni –, che insisteva nell’affidargli incarichi di grande delicatezza difendendone poi l’operato, piuttosto che con i vertici dell’Arma e degli altri apparati, che per gelosie, ritrosia, diffidenza verso gli incarichi speciali, talvolta non collaboravano come avrebbero dovuto – o per lo meno come avrebbe voluto il generale.
Tra i tanti aspetti meritori di questo libro vi è poi il fatto che esso sfata molte letture dietrologiche che sono state articolate nel corso degli anni sulla figura del generale e alcuni episodi che l’hanno riguardato. Tra i tanti esempi che si potrebbero fare, oltre alla ben nota vicenda che lo vide implicato nel ritrovamento del cosiddetto “memoriale” di Aldo Moro che, secondo letture che non appaiono sufficientemente suffragate dalle fonti, vedrebbe dalla Chiesa implicato in una sorta di ricatto nei confronti di Giulio Andreotti e che Coco, sulla base delle informazioni che riesce a mettere insieme, pare smontare, emerge una ricostruzione convincente del momento in cui fu sciolto il primo Nucleo Antiterrorismo nel 1975. A dispetto delle interpretazioni dietrologiche che hanno visto in quella decisione la volontà esplicita di non condurre fino in fondo la lotta al terrorismo per convenienza, emerge come questa decisione sia derivata invece da un clima di ottimismo determinato dalla convinzione autentica che la minaccia brigatista stesse ormai declinando e dalle ostilità nei confronti del ricorso ad una strumentazione di contrasto che esulava dall’ordinario per farla rientrare – in modo assolutamente affrettato e intempestivo, come i fatti avrebbero dimostrato – nell’ordinario quanto prima. Anche sulla valutazione complessiva del ruolo di dalla Chiesa nell’azione antiterrorismo e di come questa abbia inciso nella risposta data dallo Stato al fenomeno eversivo, la ricostruzione del libro appare convincente nel momento in cui mette in evidenza che, pur con l’impiego di modalità operative talvolta anche discutibili, di fatto le strutture guidate dal generale si trovarono a operare in un contesto pienamente democratico, riuscendo ad affrontare con efficacia la violenza che aveva attaccato il «cuore dello Stato» senza venir meno ai principi di uno Stato di diritto. D’altro canto, sul piano della lotta alla mafia, la ricostruzione di Coco mette in luce come l’azione del generale abbia lasciato un’eredità importante, in modo diretto e indiretto: nel primo caso, perché la sua lunga esperienza ha rappresentato certamente un riferimento – per le metodologie di indagine, le modalità di affrontare il fenomeno, l’insistenza sulla specializzazione e il coordinamento dei corpi e le innovazioni di carattere legislativo imperniate sull’uso dei «pentiti» già sperimentate nella lotta al terrorismo –, che si è rivelato fondamentale per l’azione di contrasto a Cosa nostra nel corso degli anni Ottanta; nel secondo caso perché il suo assassinio ha avuto l’effetto di una scossa che contribuì a ingrossare le fila di quello che sarebbe diventato il movimento antimafia.