VI, 2023/3

Marco Bellabarba, Camilla Tenaglia (eds.)

Chiesa e nazione ai confini d’Italia

Review by: Paolo Antonio Valvo

Editors: Marco Bellabarba, Camilla Tenaglia
Title: Chiesa e nazione ai confini d’Italia
Place: Firenze
Publisher: Le Monnier
Year: 2021
ISBN: 9788800751599
URL: link to the title

Reviewer Paolo Antonio Valvo - Università Cattolica del Sacro Cuore

Citation
P.A. Valvo, review of Marco Bellabarba, Camilla Tenaglia (eds.), Chiesa e nazione ai confini d’Italia, Firenze, Le Monnier, 2021, in: ARO, VI, 2023, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/3/chiesa-e-nazione-ai-confini-ditalia-paolo-antonio-valvo/

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«La storia insegna che ogni qual volta la Chiesa per motivi che pur sembravano innocui e giusti, si pose in opposizione al sentimento nazionale (e così farebbe nel caso nostro) il risultato in fin dei conti fu sempre disastroso per essa».

Così il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri, nel novembre del 1921, spiega al nunzio a Parigi Bonaventura Cerretti il suo punto di vista in merito alla prospettiva – vagheggiata da ambienti politici francesi – di separare la Baviera dal resto della Germania per unirla all’Austria in un unico Stato a maggioranza cattolica. Le parole di Gasparri esprimono la consapevolezza maturata nel confronto pluridecennale con i nazionalismi europei (e con i loro riflessi sui cattolicesimi locali), confronto che ha raggiunto il suo apice con la Prima guerra mondiale. Alla luce dell’esperienza fatta dalla Santa Sede durante il conflitto, esse suonano d’altra parte anche come un’implicita confessione d’impotenza di fronte alla pervasività del richiamo nazionale, che nel dopoguerra emerge con tanta maggiore forza in quelle regioni di confine dove il senso di una comune appartenenza religiosa viene continuamente messo alla prova dalle fratture etniche e linguistiche. A questo riguardo, colpisce ritrovare in una lettera inviata nel 1931 dal vescovo di Trieste al vescovo di Gorizia – pubblicata da Ivan Portelli nel volume in oggetto – un’espressione che in fondo rappresenta “l’altra faccia della medaglia” di quella gasparriana: «La storia del passato ha dimostrato il danno enorme che produce alla Religione ed alla Patria il nazionalismo trapiantato in Chiesa».

La sostanziale incapacità della Chiesa di opporre un argine efficace al montare della marea nazionalista nell’Europa di inizio Novecento – frutto di ragioni tanto culturali quanto politico-diplomatiche – e al tempo stesso la consapevolezza delle lacerazioni che il nazionalismo provoca nel tessuto ecclesiale rappresentano il doppio registro all’interno del quale si muovono i saggi raccolti nel ricco volume curato da Marco Bellabarba e Camilla Tenaglia, che attraverso una pluralità di voci e di approcci storiografici ricostruisce i profili più rilevanti del rapporto tra cattolicesimo e nazionalismo nelle regioni annesse all’Italia in seguito al Primo conflitto mondiale (Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia), in un arco cronologico che va dalla fine del XIX secolo agli albori della Seconda guerra mondiale.

Le coordinate ecclesiali e ideologiche di riferimento nelle quali si dipana il rapporto tra la Chiesa cattolica e i concetti di “patria” e di “nazione” nel periodo considerato sono al centro degli interventi della prima sezione del libro (Sguardi d’insieme). Nel primo saggio Andreas Gottsmann offre uno spaccato delle dinamiche curiali che condizionano le decisioni prese dalla Santa Sede nelle varie vertenze locali sorte in seno alla monarchia danubiana, sottolineando come a fronte della sistematicità con cui le direttive vaticane vengono disattese dal clero locale, a Roma non resti che cercare «una ritirata onorevole dalla problematica nazionale, per non far crescere ancor più il problema gerarchico disciplinare». Facendo dialogare le istanze espresse dal magistero pontificio con il vissuto concreto di alcuni dei protagonisti del cattolicesimo italiano di inizio Novecento, Giorgio Vecchio approfondisce invece le radici della legittimazione cattolica dell’idea nazionale in Italia, evidenziando l’importanza dell’esperienza coloniale (dalla sconfitta di Adua alla conquista della Libia) nel cementare gli orientamenti nazionalistici di molti cattolici e sottolineando la peculiarità delle posizioni assunte da Benedetto XV durante la Prima guerra mondiale. A chiusura di questa sezione, la riflessione di Raffaella Perin verte sulle diverse declinazioni dell’idea nazionale nel magistero pontificio tra le due guerre mondiali, segnato a partire da Pio XI dalla distinzione tra un «nazionalismo immoderato» e un «sano nazionalismo». L’invito rivolto da Pio XII ai cattolici di compiere il proprio dovere per la patria, agli albori del Secondo conflitto mondiale, viene qui letto nel quadro di una «parziale e incompleta comprensione della natura e delle caratteristiche del nazismo» di cui ha scritto Giovanni Miccoli, seguendo una linea interpretativa che merita di essere ulteriormente vagliata anche alla luce della documentazione archivistica ora disponibile sul pontificato di Pio XII.

Nella seconda sezione, a carattere monografico (Il caso del Trentino), emerge la figura del vescovo di Trento Celestino Endrici, il cui lungo episcopato (1904-1940) è attraversato dal rapporto sempre complesso con le autorità civili e dai divergenti orientamenti delle componenti italofone e germanofone della diocesi, prima nel quadro dell’impero asburgico e successivamente nell’Italia postbellica. I limiti di una storiografia che ha spesso e volentieri enfatizzato il carattere “italianizzante” dell’azione pastorale di Endrici sono al centro dell’analisi di Armando Vadagnini, che ricostruisce le linee generali dell’attività di Endrici tracciandone il profilo di un “intransigente” profondamente impegnato con le sfide sociali del suo tempo e preoccupato soprattutto di tutelare la libertas Ecclesiae, anche nei confronti del regime fascista, mentre Paolo Pombeni individua nella formazione intellettuale del giovane Alcide De Gasperi – profondamente legato al vescovo di Trento – lo specchio di un orientamento più generale della popolazione italofona del Tirolo che, senza mettere in discussione i confini nazionali (e quindi marcando una distanza netta dall’irredentismo liberale), concepisce la comunanza linguistica legata a un orizzonte collettivo di natura anche politica. Nel terzo saggio della sezione Severino Vareschi prende in esame gli atteggiamenti culturali dominanti nel quadro dell’episcopato endriciano, dall’anteguerra (caratterizzato da una diffusa idea di patria legata a una forte dimensione di azione economico-sociale) al dopoguerra, segnato dalla complessa integrazione della Chiesa trentina nelle strutture della Chiesa italiana e dalla sempre più difficile convivenza con gli atteggiamenti assimilazionisti del regime fascista. A chiusura di questa sezione, il saggio di Camilla Tenaglia conferma alcuni tratti peculiari del nazionalismo endriciano, che non si confonde né con l’irridentismo né con il patriottismo fascista, ma rimane sempre subordinato agli interessi superiori della Chiesa, come si evince dalla sua difesa dell’insegnamento religioso in lingua materna e dalle preoccupazioni in lui destate alla fine degli anni Trenta dal regime delle Opzioni.

L’ultima sezione (Casi di studio) passa in rassegna quattro altri scenari di notevole rilevanza, a cominciare dalla querelle politico-diplomatica-ecclesiale suscitata dal cambio del nome dell’antico Collegio romano di San Girolamo degli Illirici (divenuto nel 1900 Collegio croato per iniziativa del nuovo rettore, con l’assenso della Santa Sede). Come evidenzia il saggio di Oliver Panichi, le reazioni veementi degli irredentisti dalmati e dei cattolici montenegrini, unitamente alle preoccupazioni della monarchia asburgica, imporranno alla Santa Sede nel 1902 di ritornare pro bono pacis alla vecchia denominazione. Un’ampia e articolata analisi della relazione tra Chiesa e nazionalità sul confine orientale italiano è successivamente offerta da Ivan Portelli, che esamina l’evoluzione del magistero episcopale sul tema nella diocesi di Gorizia, prendendo in esame un arco cronologico significativo e mettendo efficacemente in dialogo l’esperienza goriziana con quella dei vescovi di Trieste e di Pola. In un’analoga prospettiva tematica si inserisce il saggio di Andrea Sarri, che prende in esame la diocesi di Bressanone dall’inizio del secolo al 1940, evidenziando in particolare la sensibilità nazionale dei vescovi Johannes Raffl (1921-1927) e Johannes Geisler (1930-1952) e il suo legame con i differenti orientamenti assunti dai due presuli rispetto al fascismo. Chiude la sezione il saggio di Daiana Menti, che ricostruisce il ruolo informale svolto dal gesuita Pietro Tacchi Venturi nel favorire il dialogo tra la Santa Sede e il governo italiano sui diritti delle minoranze di confine – oggetto di frequenti interventi in Vaticano di ordinari diocesani quali i già citati Endrici e Raffl –, in un periodo di tempo che va dalla Riforma Gentile (1923) alla stipula dei Patti Lateranensi; dall’analisi, che si concentra su dinamiche di vertice non sempre considerate dalla storiografia, emerge la libertà di azione di cui spesso godono i vescovi, in assenza di direttive esplicite da parte del Vaticano, interessato a non ostacolare il corso delle trattative concordatarie. Esempio anche questo, secondo i curatori del volume, di una «Realpolitik precaria, fatta di pochi risultati e continue negoziazioni al ribasso».

 

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