VI, 2023/3

Tara Zahra

Against the World

Review by: Cristiano La Lumia

Authors: Tara Zahra
Title: Against the World. Anti-Globalism and Mass Politics Between the World Wars
Place: New York
Publisher: W. W. Norton & Company
Year: 2023
ISBN: 9780393651966
URL: link to the title

Reviewer Cristiano La Lumia - Scuola Superiore Meridionale, Napoli

Citation
C. La Lumia, review of Tara Zahra, Against the World. Anti-Globalism and Mass Politics Between the World Wars, New York, W. W. Norton & Company, 2023, in: ARO, VI, 2023, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/3/against-the-world-cristiano-la-lumia/

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Gli anni tra le due guerre non furono attraversati soltanto dallo scontro tra fascismo e comunismo o tra democrazia e totalitarismo, ma anche da quello tra fautori e avversari della globalizzazione. Dopo decenni di crescita quasi ininterrotta del volume degli scambi commerciali e della circolazione di persone attraverso i confini nazionali e imperiali, a partire dal 1914, in tutti i paesi crebbero movimenti, tanto a destra quanto a sinistra, che sostennero politiche di isolamento economico e di chiusura dei confini, con risultati a volte modesti sul piano politico-economico ma introducendo restrizioni destinate a durare per decenni.  Ricostruire come e perché una larga parte delle opinioni pubbliche, dei partiti politici, degli intellettuali e degli stati appoggiarono una svolta antiglobale – di segno nazionalista, socialista o anche liberal-progressista – in vari settori dell’economia, delle istituzioni e della vita pubblica e quali furono i suoi effetti nel breve e lungo periodo è l’obiettivo dell’ultimo saggio di Tara Zahra, docente di Storia dell’Europa orientale alla University of Chicago.

L’autrice predilige un approccio «dal basso» che dà spazio alle grassroots origins e a storie di persone diverse per provenienza sociale, genere e ruoli pubblici, a volte di personaggi ben noti della storia (come Henry Ford o Mahatma Gandhi), a volte di imprenditori (come il magnate cecoslovacco Tomáš Bat’a), attiviste femministe (come Rosa Schwimmer) oppure ancora di persone comuni, lavoratori, donne migranti, veterani di guerra, ecc. L’autrice individua nell’avvento della politica di massa e nelle profonde diseguaglianze prodotte dall’impetuosa accelerazione dei processi globali dalla fine dell’Ottocento le premesse per comprendere le ragioni dietro quella rivolta contro la globalizzazione. Non a caso, le emozioni, come la rabbia, giocarono un ruolo chiave per la popolarità di propositi anti-globalisti. All’interno della categoria di «anti-globalism» l’autrice considera tutti quei movimenti politici, sociali e culturali che cercarono di isolare le società dall’economia globale. Suscita, tuttavia, qualche perplessità l’accostamento di due posizioni non del tutto coincidenti all’interno della stessa categoria. Infatti, l’autrice considera tali tanto i fautori di una de-globalizzazione integrale, come i sostenitori delle forme più estreme di autarchia economica, quanto coloro che, sulla scorta della guerra mondiale, intendevano regolare i processi globali piuttosto che provocarne un collasso definitivo.

Suddiviso in tre parti in ordine cronologico, il lavoro si articola in capitoli che prendono solitamente le mosse da episodi o storie individuali in determinati luoghi, perlopiù in Europa e negli Stati Uniti ma anche altrove (come l’India britannica), per ricostruire l’evoluzione di alcuni dei processi di rivolta antiglobalista. Nella prima parte, l’autrice offre una panoramica delle caratteristiche del «mondo di ieri» prima del 1914, sottoponendo a dura critica l’immagine datane da Keynes e Zweig come di un’era dorata. Pur senza porre fine alla globalizzazione economica, la Prima guerra mondiale determinò il collasso di buona parte di quelle reti globali e soprattutto favorì la diffusione di un nazionalismo aggressivo, xenofobo e militarista.

Nella seconda parte, forse la meno originale del saggio, l’autrice prende in esame diversi esempi di come la svolta antiglobalista prese vita dopo la fine del conflitto mondiale, dalla punizione imposta agli stati sconfitti da parte dei vincitori alla scelta nazionalista compiuta dall’élite di Fiume, città fino ad allora integrata nell’economia mondiale per via dei suoi traffici marittimi, passando per le violenze antisemite nell’Europa centrale o le restrizioni all’immigrazione adottate dagli Stati Uniti.

È però la terza parte a essere sicuramente quella più interessante per gli scopi del saggio. L’autrice, infatti, sceglie alcuni casi illustrativi della svolta antiglobalista, come quello delle incarnazioni del «movimento per il ritorno alla terra» negli anni tra le due guerre. Nel caso austriaco, la questione della colonizzazione interna trovò consensi trasversali tanto nella socialdemocrazia quanto nei movimenti nazionalisti e attirò l’attenzione di noti architetti (come Adolf Loos) per il nesso con il modello di edilizia per la nuova repubblica austriaca. L’autrice ricostruisce come, dalla fine degli anni Venti, la destra fascista si appropriò del tema del «ritorno alla terra» per portare avanti propositi autarchici e ruralisti con chiaro intento antisocialista e antiglobalista, finendo poi per confluire nei progetti nazisti dopo il 1938. Nel caso americano, invece, a farsi promotore di un ritorno alla terra fu proprio Henry Ford, che favorì la creazione di villaggi industriali interamente controllati dalla sua azienda in cui, oltre al lavoro in fabbrica, le famiglie operaie (specie le donne) coltivassero prodotti agricoli per uso privato al fine di ottenere l’indipendenza economica e agricola della società americana e al contempo combattere gli effetti nefasti della degenerazione "morale" provocata dalle città. Che proprio un industriale come Ford, il cui successo dipendeva in larga parte dal commercio internazionale e dallo sfruttamento di manodopera immigrata, sposasse idee tanto antiglobaliste (compreso un virulento antisemitismo che addossava ai banchieri e finanzieri ebrei la colpa della guerra mondiale e poi della crisi del 1929), è una delle contraddizioni più affascinanti prese in esame nel saggio.

Altrettanto interessante è il caso del movimento indipendentista indiano guidato da Gandhi. Il boicottaggio dei prodotti tessili inglesi al fine di raggiungere l’autonomia economica dell’India costituisce uno dei casi più importanti per misurare come la deglobalizzazione economica potesse assumere un forte connotato politico legato alla ridefinizione dei rapporti di potere all’interno tra colonizzati e colonizzatori. Leader indiani come Jawaharlal Nehru erano consapevoli che, piuttosto che tradursi nell’isolamento autarchico, il programma economico antibritannico doveva essere uno strumento per rinegoziare le condizioni della partecipazione dell’India all’economia globale, senza escludere il paese da quest’ultima ma, al contrario, favorendone lo sviluppo industriale.

Infine, l’autrice ricostruisce anche come il campo liberale, favorevole alla protezione delle reti globali, reagì alle sfide poste dalla rivolta antiglobalista, specie negli anni Trenta. Se, da un lato, il versante più conservatore si affidò ai teorici neoliberali come Ludwig von Mises, immaginando un modo per difendere il mercato globale dalla ingerenza degli stati (e, specialmente, delle democrazie), l’ala progressista ispirata dalle teorie keynesiane reagì alla crisi del 1929 affrontando il nodo della diseguaglianza prodotta dalla globalizzazione. Attraverso la rielaborazione del concetto di sicurezza collettiva in senso sociale, figure come quella di Frank McDougall concepirono i programmi di intervento statale per migliorare lo standard of living delle masse operaie e contadine come un volano per rilanciare l’economia internazionale e uscire dalle secche della Grande Depressione senza rinunciare alle reti economiche globali. Si trattava di un modello keynesiano di rilancio dell’economia mondiale che avrebbe dovuto porre rimedio alle storture e ai rischi della globalizzazione pre-1914, secondo l’analisi dello storico ed economista Karl Polanyi, e che poi fu ripreso in parte dal sistema di Bretton Woods.

Il saggio, come l’autrice stessa ammette, nasce dalle preoccupazioni del nostro presente dell’ultimo decennio, in particolare dall’avvento di Donald Trump alla presidenza americana e poi dalla pandemia da covid-19. Non a caso, il libro è stato molto apprezzato dalla stampa americana che ne ha sottolineato la sua attualità (ne sono prova le recensioni entusiastiche sul «New York Times», «Financial Times» e «Washington Post»). Pur non risparmiando critiche, alcune delle quali appaiono alquanto ingenerose, anche Mark Mazower su «Foreign Affairs» ha riconosciuto il richiamo che il saggio ha per i problemi del nostro presente, specie per il rapporto tra democrazia, equità sociale e globalizzazione[1].

Ponendosi in continuità con altri studiosi come Sebastian Conrad, che hanno riletto l’età contemporanea, specie il diciannovesimo secolo, alla luce delle trasformazioni provocate dalla globalizzazione,[2] l’autrice intende fare qualcosa di simile anche per il periodo tra il 1914 e la Seconda guerra mondiale. Il lavoro è senz’altro degno di interesse per la capacità di tenere insieme molteplici contesti locali e nazionali, fornendo così una storia globale della reazione antiglobalista nel periodo interbellico. La presenza di documenti provenienti da sette paesi in almeno cinque lingue diverse è degna di nota in tal senso, così come lo è la vasta bibliografia secondaria di cui l’autrice si avvale per ricostruire storie tanto diverse. La scelta di seguire vicende individuali rende non solo la lettura più godibile, ma riesce efficacemente a dar conto degli effetti concreti sulle vite di milioni di persone di processi storici oggetto del volume. Riecheggiando le tesi di Polanyi, in definitiva, l’autrice ritiene che proprio il disinteresse per le disuguaglianze sociali provocate dalla globalizzazione sia stata la ragione principale, benché non l’unica, a provocare quella reazione antiglobalista tanto rabbiosa nella prima metà del Novecento.

 

[1] Mark Mazower, Keeping the World at Bay Does Globalism Subvert Democracy — or Strengthen It?, «Foreign Affairs», 2023.

[2] Sebastian Conrad, Globalisation and the Nation in Imperial Germany, Cambridge, Cambridge University Press, 2010.

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