Reviewer Chiara Zampieri - ISIG-DHI
CitationLaura Ciglioni ricostruisce in modo analitico e convincente l’impatto della guerra del Golfo in Italia fra il 1990 e il 1991, tenendo insieme politica internazionale, politica interna, istituzioni e reazioni sociali. Il volume colma così una lacuna importante nel dibattito storiografico nazionale occupandosi di un tema e di un arco cronologico che, per quanto circoscritti, risultano di cruciale rilevanza tanto per il quadro italiano quanto per quello internazionale. La guerra del Golfo, in realtà, è stata oggetto di una vastissima produzione di studi storici internazionali che si sono moltiplicati fin dagli anni Novanta e che hanno affrontato l’argomento da diversi punti di vista: dalla storia militare alla storia del Medio Oriente, dalla storia americana fino a studi dedicati al ruolo dei singoli paesi. Sull’Italia, però, a eccezione di alcuni contributi circoscritti usciti poco dopo il conflitto, di due fondamentali studi di storia della politica estera italiana in quella fase storica (quello di Antonio Varsori sull’Italia e la fine della guerra fredda[1] e quello di Luca Riccardi sulla politica italiana in Medioriente nello stesso periodo[2]) e alcuni saggi degli scienziati sociali dedicati soprattutto all’analisi dell’opinione pubblica, del ruolo delle forze armate e dei mass media, mancava, fino ad ora, una visione d’insieme; ossia una visione che tenesse insieme le reazioni di governo, partiti, opinione pubblica, mezzi di comunicazione, movimenti sociali e intellettuali di fronte alla guerra e a quel particolare contesto delle relazioni internazionali (nella transizione da un mondo rigidamente diviso in blocchi a un nuovo ordine mondiale) e delle dinamiche nazionali (anch’esse interessate, nonostante l’apparente continuità, da profondi sommovimenti che di lì a poco avrebbero portato al crollo della cosiddetta “prima Repubblica”).
Il volume mostra in effetti come la guerra del Golfo rappresenta un vero e proprio momento di passaggio fra il vecchio ordine della guerra fredda e un nuovo ordine unipolare dominato dalla supremazia degli Stati Uniti che apre scenari inediti ma che si rivela anche denso di tensioni e nuove sfide. Analogamente, per il contesto italiano questo conflitto (il primo a cui l’Italia partecipa direttamente in operazioni di combattimento dalla fine della Seconda guerra mondiale) appare un momento-cerniera, e non solo perché si colloca in un quadro politico già da diverso tempo “in fibrillazione”. Le reazioni del mondo politico, istituzionale, sociale e intellettuale, infatti, sono contrassegnate – come sottolinea più volte Ciglioni – da profonde continuità e discontinuità rispetto al passato che accentuano il carattere “liminale” di questa guerra. Per quanto riguarda la politica estera, ad esempio, appare evidente la continuità con le linee d’azione seguite nei decenni addietro, caratterizzate tanto dal multilateralismo e dal costante riferimento alla cornice europea, all’alleanza con gli Stati Uniti e al ruolo dell’Onu, quanto dalla ricerca di un margine di manovra e di uno spazio di azione “italiani” nello scenario internazionale. D’altro canto, le discontinuità appaiono evidenti soprattutto nel dibattito pubblico, nel dibattito intellettuale, nelle modalità di azione e nelle rivendicazioni della galassia composita del movimento per la pace. Lo dimostra, ad esempio, la capacità di alcuni settori di opinione pubblica – ma anche di alcuni politici – di cogliere importanti novità e problemi più o meno direttamente connessi al conflitto, come il tema dello scontro fra Nord e Sud del mondo, la necessità di articolare una concezione nuova e più ampia della pace, la percezione dei rischi legati alla possibile radicalizzazione dell’Islam e ai processi migratori verso il continente europeo. È per questa ragione che il dibattito pubblico innescato dalla crisi appare lo specchio di una società ormai profondamente mutata rispetto ai quadri mentali della guerra fredda, anche se al tempo stesso condizionata da mentalità radicate nel lungo periodo.
Molteplici sono i nodi sollevati dal libro. Oltre all’effetto rivitalizzante della guerra su un fronte della pace che, dopo la crisi degli euromissili, appariva in stato di demobilitazione, viene analizzato il dibattito innescato dalla guerra in un mondo intellettuale che, inizialmente, è assente e che, solo dopo diverso tempo, si interroga sui molteplici significati della “guerra giusta”. Di grande interesse sono le pagine dedicate alla «guerra in diretta», ossia all’analisi di come la guerra venne trasmessa dalla televisione e di come questo mezzo influenzò i termini del dibattito politico e pubblico. Di cruciale importanza appare inoltre l’impatto della crisi del Golfo sul mondo politico italiano. Se la guerra nell’immediato ebbe l’effetto di rinviare la crisi di governo latente (poi scoppiata non a caso alla fine del conflitto), congelando gli assetti del pentapartito, molto percepibili furono invece le sue conseguenze sulle dinamiche dei singoli partiti italiani, che mostrano una volta di più come l’intreccio fra dimensione internazionale e nazionale sia una lente di analisi imprescindibile. Si pensi, ad esempio, a quanto la guerra impattò sugli equilibri interni del Pci e sulla transizione dal Pci al Pds, tanto da far titolare «Stampa sera» che il nuovo partito nasceva «in mezzo al Golfo» (p. 269); si pensi al ruolo che il conflitto ebbe nel “duello a sinistra” fra Pci e Psi o agli interrogativi che pose nel dibattito interno alla Dc, specialmente per ciò che riguarda temi e difficoltà ormai non più rinviabili, come la sua unità come partito dei cattolici, la questione dell’identità e il suo legame con il mondo cattolico e la Chiesa stessa.
La lettura del volume infine non solo contribuisce a far luce sugli intrecci che la crisi del Golfo ebbe con l’evoluzione del quadro sociale e politico italiano e la dinamica internazionale in quel biennio cruciale, ma sollecita a riflettere anche sulle continuità e discontinuità con alcuni nodi-chiave e sfide che segnano il dibattito odierno sulla crisi in Ucraina e, più in generale, su questo momento storico: dal ruolo dell’Onu a quello dell’Unione europea (e dell’Italia in essa) nelle crisi internazionali; dalla questione della “guerra giusta” al ruolo che la Chiesa riveste nel dibattito pubblico, nazionale e mondiale; dal nodo degli approvvigionamenti energetici alle preoccupazioni causate dall’aumento dei prezzi delle materie prime, oltre che dalle fibrillazioni sui mercati innescate dal conflitto; non ultimo, l’intrecciarsi di questa crisi internazionale con un quadro interno carico di tensioni e incertezze.
[1]A. Varsori, L’Italia e la fine della guerra fredda. La politica estera dei governi Andreotti (1989-1992), Bologna, Il Mulino, 2013.
[2]L. Riccardi, L’ultima politica estera. L’Italia e il Medio Oriente alla fine della Prima Repubblica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2014.