Reviewer Filippo Triola - Università di Bologna
CitationLa storia delle due Germanie e dei loro rapporti con il resto dell’Europa può contare su una nutrita serie di ricerche. Il lavoro di Lorenzo Trapassi – diplomatico di professione – si inserisce dunque all’interno di un panorama ricco di studi, mirando a raggiungere un pubblico più largo attento alle questioni internazionali. Si tratta di un libro di sicuro interesse per il lettore non specialista poiché l’autore ha dimestichezza con il dibattito storiografico e dialoga con la letteratura esistente.
Come è noto, la guerra fredda condizionò tutta la politica estera europea e dunque anche i rapporti tra i paesi occidentali e la Repubblica Federale. Il confronto in atto su scala mondiale tra i due sistemi economici, politici e sociali assunse un carattere totalizzante. L’ipotesi di uno stato tedesco equidistante tra i due blocchi rappresentava per l’Occidente a guida americana una pericolosa incognita. Alla luce di ciò la Germania occidentale non doveva rimanere isolata dai piani di collaborazione politica ed economica. L’integrazione europea poteva rappresentare lo strumento maggiormente efficace, in primo luogo, per ottenere il contenimento e la difesa dall’Unione Sovietica e, in secondo luogo, per scongiurare eventuali rischi derivanti da una futura nuova Germania rafforzata, ma isolata e potenzialmente orientata verso Mosca.
Come rileva Trapassi già alla fine degli anni Quaranta, e grazie all’aiuto americano, in Italia e in Germania occidentale i partiti di matrice cristiana si trovarono in una posizione di vantaggio. Per la prima volta dalla loro fondazione come stati nazionali, Italia e Germania (Ovest) basavano la ripresa dei rapporti bilaterali all’interno di una prospettiva politica più ampia, europea, con il dichiarato obiettivo di realizzare un’inedita collaborazione tra le principali nazioni dell’Europa occidentale. Per i due paesi si trattò di un’intuizione politica vincente; grazie a essa furono ripristinate innanzitutto le relazioni economiche e furono gettate le basi di una comunicazione politica incentrata sui valori della democrazia e dell’antitotalitarismo. La cooperazione e la collaborazione italo-tedesca ed europea dovevano fondarsi sul rifiuto e sulla condanna dei totalitarismi. Si trattava di un particolare modello di legittimazione e delegittimazione politica che condannava a un tempo fascismo, nazismo e comunismo, legittimando implicitamente la politica centrista dei due paesi.
Come osserva l’autore nelle pagine conclusive (p. 137), De Gasperi e Adenauer furono accomunati dalla percezione che le loro politiche dipendessero in ultima istanza dalle decisioni di una grande potenza distante dall’Europa, gli Stati Uniti. Da questa consapevolezza derivavano dubbi e frustrazioni. È tuttavia importante osservare che le scelte europeiste dei due leader non erano soltanto il frutto della Realpolitik. Gli slanci ideali caratterizzarono in modo sincero la politica estera dei leader cattolici dell’epoca. L’unità europea non rappresentava solo uno strumento per contenere l’espansionismo sovietico. In una celebre lettera inviata a Schuman il 23 agosto 1951, Adenauer affrontava così la questione:
«Tutto il peso dei compiti è sulle spalle di uomini, che come Lei, il nostro comune amico De Gasperi e me sono pervasi dalla volontà di sviluppare e realizzare una nuova costruzione del mondo europeo su nuovi fondamenti cristiani. Penso che solo poche volte nella storia europea ci siano state occasioni in cui si sono viste condizioni altrettanto favorevoli per il successo di un lavoro come il momento presente[1]».
Lorenzo Trapassi sostiene la tesi di un’intesa fragile tra Bonn e Washington. Si trattava di un’alleanza di comodo, «inevitabile ma poco sentita». Secondo l’autore il problema per la nuova classe dirigente tedesco-occidentale fu il fatto di non potere contare sul sostegno degli alleati americani su un punto di cruciale importanza: la riunificazione. In realtà lo stesso Adenauer fu più volte criticato nel suo paese dalle opposizioni e in qualche caso anche da alcuni esponenti della Cdu. È noto che il cattolico renano Adenauer doveva convivere con il sospetto di molti ambienti, specialmente protestanti, che non gli stesse a cuore la riunificazione anche perché con essa sarebbe cambiata la bilancia confessionale a carico dei cattolici e sarebbero peggiorate le possibilità elettorali della Cdu. In tal senso la questione del riarmo rappresentò uno snodo fondamentale. Nella Repubblica Federale esisteva un ampio e trasversale fronte politico-sociale decisamente contrario alla rimilitarizzazione della Germania. Il movimento Ohne mich esprimeva la sensazione di rifiuto che probabilmente la maggioranza della popolazione tedesca-occidentale provava nei confronti della guerra e delle armi. Una parte della Chiesa protestante temeva che con il riarmo sarebbero definitivamente tramontate le possibilità di riunificazione e con essa la possibilità di riunire i fedeli protestanti che abitavano in stragrande maggioranza le regioni orientali della Germania: la Repubblica Democratica. Adenauer, invece, fu decisamente a favore del riarmo e già il 17 agosto 1950 propose all’Alta commissione alleata di formare un primo contingente di volontari. Le tensioni riguardavano lo stesso governo e portarono alle dimissioni del ministro degli Interni Gustav Heinemann, contrario al riarmo. Nonostante ciò, si impose la linea del Cancelliere. Nella prospettiva di Adenauer c’era la consapevolezza che nel contesto della guerra fredda il riarmo tedesco rappresentava una necessità strategica per gli Stati Uniti, ma al contempo, per il governo della Repubblica Federale, si trattava di un’opportunità politica per accelerare la riacquisizione della sovranità e della Gleichberechtigung. In quella fase storica, quindi, questi ultimi obiettivi furono considerati più importanti e soprattutto maggiormente realizzabili a differenza della riunificazione.
A parere di chi scrive uno dei maggiori pregi del libro è racchiuso nella capacità di porre il lettore di fronte al ruolo della diplomazia nell’età contemporanea. Il più delle volte – come si evince dal volume – si tratta di un’attività logorante, snervante, spossante i cui risultati non di rado appaiono difficili da comunicare all’opinione pubblica. Nel lungo periodo invece appare chiaro come la diplomazia si sia rivelata indispensabile in un’epoca in cui il mondo era costantemente sulla soglia di una rottura dell’equilibrio geopolitico che avrebbe avuto conseguenze devastanti e irreversibili.
[1]Si veda la lettera di Konrad Adenauer a Robert Schuman del 23 agosto 1951, in H.P. Mensing, Konrad Adenauer, Briefe, 1951-1953, Berlin, Siedler, 1987, p. 114.