VI, 2023/1

Francesca Trivellato

Ebrei e capitalismo

Review by: Andrea Caracausi

Authors: Francesca Trivellato
Title: Ebrei e capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata
Place: Roma - Bari
Publisher: Laterza
Year: 2021
ISBN: 9788858140734
URL: link to the title

Reviewer Andrea Caracausi - Università di Padova

Citation
A. Caracausi, review of Francesca Trivellato, Ebrei e capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata, Roma - Bari, Laterza, 2021, in: ARO, VI, 2023, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/1/ebrei-e-capitalismo-andrea-caracausi/

PDF

Cosa può dirci, oggi, una leggenda che attraversò l’Europa per più di duecento anni, ma che è ormai dimenticata e a cui nessuno, almeno nell’ambito accademico, dà più credito? Quali possono essere le ragioni che muovono una ricerca sul funzionamento del mercato che si ritrova a un tratto a indagare le origini, le traversie e gli insuccessi di una leggenda? Spinta da «curiosità e testardaggine», come affermato nell’Epilogo, Francesca Trivellato, storica di formazione italiana ma ormai da vent’anni attiva nelle più prestigiose università statunitensi, ci conduce all’interno delle pieghe dei molti testi che hanno contribuito alle più importanti discussioni sulla nascita della società commerciale, prima, e del capitalismo europeo, poi. La leggenda in questione è quella che, a partire dall’opera Us et coustumes de la mer (1647), compilata dall’avvocato di Bordeaux Étienne Cleirac, «imputava» agli ebrei la paternità delle due più importanti invenzioni della rivoluzione commerciale medievale: l’assicurazione marittima e – soprattutto – la lettera di cambio. Questa leggenda – definita così per la costruzione in forma di racconto storico e per la straordinaria risonanza che ebbe nei secoli successivi – apre la strada a un’indagine che, attraverso testi e contesti, ci svela aspirazioni e timori collettivi altrimenti difficili da cogliere circa il funzionamento e il ruolo del mercato all’origine del capitalismo.

Quella che andremo a recensire è l’edizione italiana del volume pubblicato per la prima volta nel 2019 per Princeton University Press con un titolo (The Promise and Peril of Credit. What a Forgotten Legend about Jews and Finance Tells Us about the Making of European Commercial Society) che già illustrava i punti cardine del libro: il doppio volto del credito, il nesso ebrei-finanza, la società commerciale europea. Nella traduzione, uscita per Laterza due anni dopo, a opera di Filippo Benfante e della stessa Trivellato, il titolo è più secco, il focus è spostato più sulla leggenda e sul tema del capitalismo, quest’ultimo prima assente. La scelta è felice, anche perché, se giustamente l’autrice è mossa dallo spirito di mostrare i nessi a nostro avviso imprescindibili fra storia sociale e storia culturale, fra pratiche e rappresentazioni, è soprattutto con quest’ultimo filone, legato alla storia del pensiero economico in particolare, con cui nel corso dell’opera il dialogo è più intenso. Nella Premessa all’edizione italiana, inoltre, l’autrice ricorda un episodio «marginale» e apparentemente banale, ovvero un’intervista rilasciata da Davide Casaleggio il 2 aprile 2020 quando, nel pieno divampare della pandemia di Coronavirus, il fondatore dell’Associazione Rousseau istituiva un parallelo fra le politiche dell’Unione europea e la figura di Shylock, il mercante ebreo de Il mercante di Venezia, noto per la sua dannosa e deleteria avarizia. Questo episodio ci ricorda così che certi stereotipi sono lunghi a morire e, anzi, mostrano l’attualità di tensioni mai sopite all’interno del pensiero politico ed economico. La longevità della leggenda ci invita così a indagare più a fondo la sua genesi e la sua fortuna.

Il volume è organizzato in 8 capitoli (più introduzione e conclusione) che seguono grossomodo le vicende dal punto di vista cronologico (fra la metà del Seicento e il secondo dopoguerra) e ruotano attorno al problema chiave dell’invisibilità (degli ebrei e del mercato) e di tre temi cari alla storiografia: i canoni e i testi con i quali si studia la cultura mercantile, il rapporto tra pratiche e rappresentazioni (o, meglio, fra storia sociale e storia culturale) e, infine, i confini delle periodizzazione (in particolare le fratture tra età medievale ed età moderna e poi contemporanea). Trivellato propone dunque una storia del mercato vista alla luce delle aspettative e dei timori delle società occidentali; temi già in parte toccati nel suo precedente volume Il commercio interculturale: la diaspora sefardita, Livorno e i traffici globali in età moderna (Roma, Viella, 2016, edizione originale Yale University Press, 2009), ma qui spinti dalla volontà di mostrare l’importanza del dialogo fra discipline (storia del pensiero economico, storia culturale, storia degli ebrei) il cui mancato scambio, come il libro dimostra, non è solo dettato da fattori congiunturali (le trasformazioni nell’ambito accademico e storiografico), ma anche da cesure intellettuali più profonde e di lungo periodo.

Il primo capitolo riepiloga così alcuni meccanismi chiave dell’assicurazione marittima e della lettera di cambio. Stiamo parlando di due tra i più importanti strumenti inventati durante la rivoluzione commerciale del medioevo, simboli di quei cambiamenti istituzionali che segnarono la storia dell’Europa. Quelle pagine, però, non servono ad aggiungere tasselli tecnici ormai noti agli specialisti della storia economica e finanziaria del periodo preindustriale, quanto invece a mostrare i meccanismi esemplificativi di quelle scritture «criptiche» che già anticipano al lettore l’assonanza con il «cripto-giudaismo» di cui si discorrerà poco dopo. Invisibilità, intangibilità e immaterialità erano le caratteristiche principali della lettera di cambio, grazie alla capacità di far sparire e riapparire il denaro da un luogo all’altro, senza garanzie materiali ma solo con la solvibilità garantita dai nomi dei firmatari. È questo un tratto centrale dell’economia preindustriale: il credito, come ricordava A. Furetière nel suo Dictionnaire universel, si basava sulla reputazione della «probità» e della «solvibilità» di un mercante e quindi sull’unione dei tratti morali (religiosi) con quelli finanziari (economici). Non è un caso che le lettere di cambio acquistarono maggior fortuna nel momento della grande «finanziarizzazione» dell’economia nel secondo Cinquecento, grazie alle fiere di Bisenzone, al patto di ricorsa e al cambio secco. La lettera di cambio aveva del resto una certa ambiguità: un funzionamento non chiaro e contiguo alle pratiche dell’usura, con il ruolo della corrispondenza privata che, prima dell’invenzione del telegrafo, era ancora centrale nell’assicurazione contro la frode. La leggenda dell’invenzione ebraica della lettera di cambio colse così nel segno, andando a incidere sulle preoccupazioni riguardanti la moralità del credito in un’economia in forte espansione.

I capitoli seguenti (secondo e terzo) indagano invece la nascita della leggenda e i presupposti per la sua circolazione. Cleirac, a metà Seicento, sosteneva che gli ebrei avessero inventato la lettera di cambio per spostare i propri beni a seguito dei bandi emessi dai vari re di Francia nel corso del basso medioevo e indicò Giovanni Villani, l’autore delle cronache fiorentine nel Trecento, come fonte accreditata di quella falsa notizia che poi divenne leggenda. Qui l’autrice cerca di ricostruire le ragioni alla base di quella scelta: gli ebrei erano legati all’immaginario di fedeltà e appartenenza grazie alle loro qualità nel commercio; Villani, invece, era associato non solo a un episodio particolare dell'antigiudaismo medievale, ma anche alle lotte fra guelfi e ghibellini e alle attività bancarie fiorentine. Questi due elementi contribuirono a formare attorno a quella notizia un’allegoria coerente del credito «cattivo» come credito «ebraico». Vi erano, insomma, tutti i presupposti perché la leggenda circolasse, grazie ai legami fra teologia e diritto marittimo ancora presenti in pieno Seicento e alle difficoltà di una società in trasformazione nel definire cosa fosse un «buon» negozio. Il mercato non era connotato negativamente, ma era permeato da persone e gruppi all’interno dei quali si annidano competizioni di ogni tipo. Qui, insomma, si collocavano tutte le preoccupazioni di una società corporativa e gerarchica che si avviava al riconoscimento della piena libertà di alcuni individui a entrare nei giochi dello scambio. L’ampliamento socio-geografico del commercio portava con sé nuovi vantaggi e nuovi pericoli.

E tuttavia, perché Bordeaux fu il luogo ideale per la nascita di quella leggenda? Il Capitolo quarto indaga questo aspetto. La risposta non è semplice, né mono-casuale. Bordeaux era un porto in piena espansione verso i commerci atlantici, anche in risposta alle sollecitazioni della Corona. Qui gli ebrei erano indistinguibili dai mercanti cristiani, locali e stranieri, coinvolti nei traffici a lunga distanza e nessuno di loro era costretto a iscriversi a una corporazione. Vi erano dunque strette connessioni e scambi mercantili frequenti: la semi-istituzionalizzazione del giudaismo portò a una evidente difficoltà di individuare le frontiere fra ebrei e cristiani. Bordeaux insomma era il luogo dove le differenze e la segregazione presente in età tardo-medievale erano meno evidenti, dove la Corona francese fornì incentivi alla nobiltà titolata per investire nel commercio, dilatando così il concetto circa chi fosse un mercante. A Bordeaux era possibile vedere le diffidenze che emergevano di fronte alla naturalizzazione e al radicamento dei «nuovi cristiani», guardati non solo con un sentimento di tolleranza ma anche con il timore per il dissolversi del sistema rappresentato dalla società di corpi. Ecco che qui la leggenda prende corpo, grazie anche a un’analogia molto forte tra ebrei e lettere di cambio, esemplificate dalla capacità di attraversare le frontiere, dall’utilizzo di linguaggi segreti e dalla difficoltà di punire gli atteggiamenti fraudolenti. Associazioni di idee oggi che ci appaiono fuori luogo, ma che allora ponevano Cleirac e i suoi lettori di fronte al problema dell’eguaglianza contrattuale e dell’autoregolamentazione della società mercantile, ovvero dell’individuazione di un mercante disonesto al di fuori di un sistema corporativo che – almeno in teoria – aveva precedentemente svolto il ruolo di guida e di elaborazione dei canoni. Il nostro disorientamento di fronte a questa assonanza, avverte l’autrice, è dovuto al fatto che la storiografia più recente ha espunto le metafore ebraiche dalla storia del pensiero economico del Seicento e del Settecento, andando invece a guardare allo Stato, al libero commercio e alle aspettative di futuri guadagni quale motore della crescita economica. Tuttavia, questi paradigmi sono da rivedere e solo un’analisi che unisca storia economica a storia del pensiero può aiutare in un processo non facile di contestualizzazione delle pratiche e delle rappresentazioni dell’epoca.

I successivi tre capitoli (5-7) sono dedicati alla consacrazione e alla diffusione della leggenda in Europa, grazie alle figure di Jacques Savary (e del suo Dictionnaire universel de commerce) e di Charles-Louis Montesquieu (e del suo De l'esprit des lois). Al primo la leggenda deve la sua fortuna e longevità, grazie anche al ricorrere degli stereotipi che legano l’affidabilità religiosa a quella economica; al secondo si deve invece l’introduzione di una visione benevola della leggenda, che servirà da apripista per i dibattiti sull’uguaglianza all’interno di una società mercantile dove gli (uomini) ebrei diverranno, almeno giuridicamente, indistinguibili da tutti gli altri mercanti. Ecco che l’invisibilità continua a servire da potente metafora dei pericoli in agguato dietro a mercati finanziari complessi e all’apparenza indifferenziati. Il Capitolo 7, dedicato ai paesaggi carsici, mostra invece «le intricate e imprevedibili reti di significato che connettono l’ampia gamma di associazioni tra ebrei e credito» lasciando così il passo al primo Ottocento, quando le grandi narrazioni sulla nascita del capitalismo e l’ascesa dell’Occidente non fecero uscire di scena la leggenda ma, anzi, le fecero acquistare nuovi spazi.

Il Capitolo 8, Un’eredità sotterranea, è dedicato alla parabola che la leggenda ebbe fino a metà Novecento, attraverso l’esperienza dei tre grandi pilastri del pensiero sociale e politico contemporaneo (Karl Marx, Max Weber e Werner Sombart) e la successiva «rivolta» degli studiosi di storia commerciale del medioevo. Il capitolo illustra non solo il ruolo che l’ebraicità manteneva nelle interpretazioni sul primo capitalismo (nonostante la rottura di Max Weber), ma anche le conseguenze che ciò ebbe sulle periodizzazioni circa la transizione fra medioevo ed età moderna e contemporanea. Mentre, infatti, per Cleirac vi era un filo rosso che legava l’esperienza degli ebrei francesi del medioevo e il primato seicentesco di Amsterdam, con la finanza cristiana contaminata dalle sue origini ebraiche, la revisione di Montesquieu aveva posto una rottura tra un periodo medievale con al centro le deprecabili attività del commercio e del prestito, prerogative degli ebrei, e una nuova fase della «modernità», collocata alla fine del Quattrocento, quando la Chiesa si trovò a fare un passo indietro e il commercio guadagnò rispettabilità e autonomia. Pur non menzionando direttamente il filosofo francese dell’età dei lumi, e nonostante le differenze fra loro, Marx, Weber e Sombart si muovevano nel solco tracciato da questa tendenza, indicavano il medioevo come pre-capitalista e puntavano sulle rotture anziché sulle continuità. La «rivolta dei medievisti» avvenuta nel periodo fra le due guerre contribuì non soltanto a retrodatare la periodizzazione riguardante gli albori del capitalismo, ma ebbe numerose implicazioni sui dibattiti scientifici in merito alla cosiddetta «ascesa dell’Occidente». Il ruolo degli ebrei, incluso quello tramandato dalla nostra leggenda, divenne sempre più marginale, in particolare l’associazione fra capitalismo ed ebrei. Questo inoltre portò a separare sempre più la storia degli ebrei dalla storiografia e delle scienze sociali e umane in generale.

Tale vicenda è ancor più chiara nell’Epilogo che propone alcuni motivi che hanno portato a dimenticare la leggenda, legati alle dinamiche che hanno modellato la ricerca accademica negli ultimi cinquant'anni: dal disinteresse verso il periodo preindustriale al passaggio dal focus sull’Italia rinascimentale alle economie nord-occidentali; dalla perdita d’importanza del quadro giuridico nello studio dell’organizzazione economica allo spostamento dello studio della storia economica dai corsi di storia a quelli di economia, con un chiaro focus sull’età contemporanea. I temi di ricerca, del resto, si spostano verso argomenti dove il reperimento di dati è maggiore (e più veloce), come la finanza; la balcanizzazione degli studi e delle aree culturali si è unita alla marginalizzazione e all’isolamento di discipline quali la storia del pensiero economico e la storia degli ebrei. Sono fenomeni di lungo periodo che, a parere di chi recensisce, hanno conseguenze nefaste e possono dare vita ad altre leggende che, auspichiamo, in un futuro verranno ricostruite e riportate alla luce come tali.

Il libro propone dunque diversi fecondi percorsi per la ricerca storica. Dalla prospettiva della storia economica e sociale è evidente la necessità di analizzare insieme pratiche e rappresentazioni dei periodi sotto esame, calandole all’interno dei contesti e della loro singolarità, indagando i confini tra gruppi, corpi e ceti. Dal lato della storia culturale e di quella religiosa (inclusa la storia degli ebrei) risulta chiaro come non si possano eludere i temi dell’economia in un qualsiasi lavoro sull’età medievale e moderna dal momento che questa sfera non era per nulla disgiunta da elementi teologici o religiosi, ma anzi ne era totalmente contaminata. Dal punto di vista metodologico, il libro mostra ancora una volta come un incontro fortuito (altre volte si sarebbe detto «eccezionale») nella storia dei testi conservati nelle biblioteche (reali o virtuali) possa rivelare problemi e tendenze più ampie, da ricostruire, al pari delle tracce degli attori lasciate negli archivi. Nel caso della leggenda, poi, è evidente la persistenza della fantasia che identificava il mercato come una zona neutra di scambio, laddove gli ebrei erano tra gli attori che più agivano in esso con qualità che venivano loro attribuite dal di fuori mostrandone così i limiti nel poter essere un motore di tolleranza e uguaglianza.

Nel suo insistere sull’invisibilità, degli ebrei e della lettera di cambio, all’interno della storia del mercato e della società commerciale, Ebrei e capitalismo non può non rimandare il nostro pensiero a un altro attore che – guarda caso – è diventato sempre più presente nella storia economica e del pensiero economico dal secondo dopoguerra, ovvero da quando la leggenda degli ebrei è sparita: la «mano invisibile». In futuro altre studiose e studiosi coglieranno probabilmente l’invito a legare storia e storiografia, pratiche e rappresentazioni, per riportare sulla scena altri elementi che, come gli ebrei, devono avere un posto nella storia del capitalismo occidentale.

Subscribe to our newsletter

Partners