Reviewer Lorenzo Freschi - Università degli Studi di Firenze-École des hautes études en sciences sociales
CitationNella ricca messe di ricerche riguardanti lo studio dei rapporti tra potere politico e controriforma nelle aree di frontiera va certamente menzionata la recente raccolta di saggi a cura di Federico Zuliani: Una nuova frontiera al centro dell’Europa. Le Alpi e la dorsale cattolica (sec. XV-XVII), Milano, Franco Angeli, 2020. Muovendo dall’ipotesi storiografica di René Tavenaux sull’esistenza di una dorsale cattolica e complicandola alla luce del quadro alpino, il volume prova ad affrontare nello specifico alcune delle molteplici frontiere in costruzione tra Quattrocento e Seicento.
Ad aprire la raccolta sono i due puntuali interventi di Frédéric Meyer e di Claudia di Filippo Bareggi. Ad accomunarli è l’attenzione nei confronti dei vescovi definibili come riformatori. Meyer concentra la propria analisi sui presuli lemanici che, in seguito all’introduzione della Riforma a Ginevra, andarono insediandosi ad Annecy. Il tema è particolarmente rilevante poiché mette in relazione gli obblighi del Concilio di Trento – in particolare quello della residenza, sovente non rispettato – con la situazione di tanti vescovi, costretti dalle circostanze all’esilio. Ricostruendo la condizione, le azioni e i problemi dei presuli ginevrini tra Cinquecento e inizio Seicento, Meyer fa emergere le difficoltà, ma anche la cura dei vescovi nei confronti dell’azione evangelica e di quelle aree della diocesi fino ad allora trascurate. Al contempo, dalla prospettiva dei presuli non spariscono mai, almeno idealmente, le sedi titolari e l’attenzione nei confronti dei pochi cattolici che ancora vi permangono. L’intervento di Bareggi si concentra invece sull’azione della Milano borromaica al di là dei confini dello stato. L’analisi, condotta su tre nuclei differenti – le Tre Valli ambrosiane, i baliaggi ticinesi e le valli soggette alle Tre Leghe Grigie – mostra la considerevole complessità delle iniziative promosse da Carlo Borromeo, tese prima a favorire e poi a consolidare la presenza cattolica nei territori posti oltre il confine. Ciò avviene soprattutto nelle terre ticinesi e delle Tre Leghe, dove la presenza di funzionari protestanti e la debolezza della diocesi di Como è cosa evidente.
Particolarmente interessanti appaiono anche i tre saggi della seconda sezione. I contributi di Federico Del Tredici, Massimo Della Misericordia ed Elisabetta Canobbio sono elaborati sulla base della ricca e abbondante documentazione notarile e prediligono il tardo medioevo quattrocentesco e l’area alpina e prealpina lombarda. Partendo dagli stessi patti stipulati tra preti e comunità nella parte alpina della diocesi di Como, tra XIV e XVI secolo, i saggi concentrano l’attenzione, attraverso una casistica tanto varia quanto esemplare, sulle condizioni dell’ingaggio, sulle richieste da parte dei fedeli in merito all’attività cerimoniale e sui rapporti tra gli attori locali e le autorità diocesane. Della Misericordia evidenzia come alcune specifiche istanze liturgiche e pastorali, a volte ricondotte ai movimenti di riforma e controriforma, si siano invece attivate all’interno di un contesto diverso, segnato dal profondo e complesso rapporto e interazione tra istituzioni locali e autorità diocesana. Simile appare l’oggetto dello studio di Federico Del Tredici: le elezioni viciniali dei parroci a Milano e nel suo contado tra Trecento e Quattrocento. Considerando le pratiche elettorali nell’area prealpina a nord di Milano, Del Tredici rimarca una volta di più come nell’Italia medievale il giuspatronato comunitario non sia necessariamente limitato a territori periferici. E tuttavia, a tale pratica non corrisponde una maggiore forza della comunità; al contrario, è l’assenza di concorrenza (signorile, ducale, papale ecc.) a determinarne l’affermazione. Ciò consente di spiegare perché l’azione avviata nel corso del Cinquecento da Carlo Borromeo contro la Chiesa dal «basso», fatta da parrocchiani e sacerdoti, non abbia incontrato particolari resistenze e abbia condotto al tramonto di tali diritti nel Settecento. Mutando l’angolo prospettico adottato dai contributi precedenti, Elisabetta Canobbio si concentra sulle collegiate comasche e sul loro clero, tra XV e XVI secolo. L’analisi di ordinationes e statuti superstiti mostra, per esempio, la complessità delle influenze del capitolo cattedrale sulla normativa dei collegi canonicali diocesani, delle riforme capitolari e del nesso visita e riforme statutarie. L’attenzione ai canonici nel coro, fuori dal coro e al rapporto tra norma e prassi consente di illuminare, rispettivamente, il nesso tra identità dei capitoli canonicali e incombenze liturgiche, le funzioni delle collegiate nell’organizzazione del culto e dei servizi religiosi sul territorio.
Nella terza sezione della raccolta fanno la loro comparsa i territori sabaudi tra XV e XVII con i ricchi casi di studio di Chiara Povero, Paolo Cozzo e Catherine Martin. Povero sofferma la propria attenzione sul profilo degli abati e sulle vicende dell’abazia benedettina di Santa Maria di Pinerolo (1433-1590). La prospettiva adottata consente di rimarcare la complessità di un’area di frontiera e di inquadrare la riforma e la sostituzione dei monaci benedettini con i monaci fogliensi all’interno di un disegno più ampio: quello della riforma cattolica. Cozzo presenta invece il caso di Paolo Brizio, vescovo di Alba, storiografo e confessore alla corte sabauda; figura rappresentativa dell'episcopato attivo nell’ambito geo-politico meridionale della dorsale cattolica corrispondente agli stati sabaudi. Il focus è qui concentrato sulle frontiere interne e sulla peculiare posizione assunta dai Savoia nei processi di centralizzazione del composito stato seicentesco. In effetti, centrale nel Brizio è la formazione ecclesiastica di matrice baroniana, che consente ai duchi di rafforzare e legittimare le loro mire locali. In questo senso, l’intervento si inserisce in un ricco filone di ricerca sul ruolo giocato dai vescovi attivi nel ducato di Savoia, sul loro profilo intellettuale, sulla loro azione pastorale e sui loro rapporti con la corte. Infine, oggetto del contributo di Catherine Martin è la Compagnie du Saint-Sacrement a Grenoble, a metà del Seicento. Dopo essersi soffermata sulle specificità di un’area di confine oggetto di contatti religiosi e intellettuali incessanti, tanto con il mondo italiano quanto con quello d’Oltralpe, Martin focalizza la propria attenzione sulla composizione e sul ruolo giocato dalla Compagnie nell’assistenza ai poveri prima della revoca dell’Editto di Nantes. Attraverso una puntuale indagine prosopografica emerge un quadro nitido in cui la Compagnie appare composta da personalità influenti, tanto nel mondo della nobiltà quanto in quello del clero, le quali si ispirano a modelli tridentini, sovente di elaborazione italiana.
A concludere il volume è la quarta sezione con gli stimolanti saggi di Simona Negruzzo, Cristina Giulia Codega e Federico Zuliani, dedicati ai territori grigioni della prima età moderna. L’attenzione riservata da Negruzzo ai collegi gesuitici valtellinesi di Ponte e Bormio consente di sottolineare la funzione determinante giocata dalle istituzioni educative nella formazione di quei gesuiti che operano per il rinnovamento spirituale e missionario della Chiesa cattolica nel secondo Cinquecento. In questo senso, la riuscita dell’operazione nella Valtellina sottomessa ai Grigioni – una zona di frontiera politica, distante da Como e popolata in prevalenza da protestanti – coincide con il mantenimento di un alto livello culturale dei sacerdoti locali e con lo sviluppo di pratiche di peregrinatio. Diversamente, il saggio di Codega si concentra sui numerosi processi per stregoneria nella valle alpina di Poschiavo e sull’esaurirsi del fenomeno tra Seicento e Settecento. A emergere sono alcune evidenti peculiarità di un territorio bi-confessionale. Da un lato affiorano le particolarità dei processi e della stregoneria in valle, spesso associata ad atti concreti (le procedure ibride di inquisizione, l’elevato numero di uomini processati, il coinvolgimento anche di giovani e giovanissimi, la provenienza degli imputati da specifiche famiglie non necessariamente ai margini). Dall’altro, Codega rileva tanto la specularità nei comportamenti e nelle credenze da parte di cattolici e di riformati nei confronti della stregoneria, quanto la sostanziale equivalenza della percentuale di processati nelle due comunità di fedeli. Conclude la rassegna il contributo del curatore del volume, Federico Zuliani, il quale si sofferma su di un tema interessante, in particolare per i possibili sviluppi futuri: quello di alcune opere in retoromancio pubblicate a Milano per la conversione dei Grigioni, agli inizi del Seicento. Attraverso la ricostruzione della genesi dei testi e degli autori, a farsi strada è l’importanza della dimensione ambrosiana e del vescovado di Federico Borromeo che, in continuità con Carlo Borromeo, mirava al consolidamento del cattolicesimo grigione nelle aree romanciofone.