Reviewer Emanuela Abbatecola - Università di Genova
CitationGià dalle prime pagine del saggio introduttivo di questo interessante testo di ricerca sulla storia della prima prostituzione globalizzata, vincitore del Premio Gisa Giani 2021, si entra in un mondo lontano, e al contempo vicino, nel quale l’intersezione tra le fragili opportunità lavorative per le donne, il loro status di subordinazione in quello che oggi chiameremmo «ordine di genere» e i processi migratori, dà vita a mercati globali del sesso sotto molti punti di vista simili a quelli che caratterizzano quelli del XXI secolo. Cambia la nazionalità delle donne, così come cambiano, almeno in parte, i linguaggi le rotte e i paesi destinazione, ma ieri come oggi, la necessità economica spingeva molte donne ad aderire a progetti migratori rischiosi che implicavano, più o meno esplicitamente, forme di sfruttamento nell’ambito di contesti dedicati alla compra-vendita di servizi sessuali.
Laura Schettini, grazie a un’accurata ricostruzione basata su ricche raccolte di fonti sulla cosiddetta «tratta delle bianche», ci conduce per mano nelle biografie non facili di donne le cui storie si intrecciano inevitabilmente con la storia dei paesi coinvolti – guerre, colonialismo, ecc. – nonché, come sottolineato dall’autrice in apertura, con le politiche o le misure di polizia.
Il libro si divide in due parti complementari. La prima documenta, ricorrendo a testimonianze e verbali dell’epoca, la cosiddetta «tratta delle bianche», analizzando le rotte – solitamente ignorate dalla letteratura nazionale e internazionale – delle molte italiane all’estero: Malta, Egitto, Stati Uniti, Argentina, Panama, Libano e Libia.
L’aspetto più intrigante di questa prima parte riguarda, a parere di chi scrive, il complesso intreccio tra nazione e onore misurato, nelle parole dell’autrice, «sul corpo delle donne». La preoccupazione che la reputazione della nazione Italia potesse essere messa in discussione da flussi migratori in uscita di donne, ritratte come ingenue e coinvolte, con l’inganno, in «turpi traffici», da un lato giustifica l’adozione di misure restrittive tese a disincentivare la mobilità femminile, dall’altro convive con la necessità di alimentare i mercati del sesso delle colonie con donne italiane per evitare che i coloni soli andassero in cerca di indigene compromettendo, così, la purezza della razza.
Doppia morale e razzismo si intersecano nelle colonie, al punto da prevedere criteri differenziali di accesso ai luoghi di meretricio: mentre le italiane, per poter lavorare nei mercati del sesso, dovevano mostrare di aver raggiunto la maggiore età, le indigene dovevano solo mostrare una non meglio specificata certificata di idoneità al meretricio. Peraltro, come ci ricorda l’autrice, neanche per le italiane vi era garanzia che fossero davvero maggiorenni in quanto le famiglie – come oggi spesso complici – procuravano documenti ad hoc, non di rado appartenenti alle sorelle maggiori, a conferma del carattere artigianale della prostituzione globale dell’epoca.
Se la prima parte del libro è dedicata all’analisi delle rotte e delle traiettorie biografiche delle donne italiane all’estero, la seconda si concentra sulla prostituzione globale in Italia, puntando l’attenzione sulle posizioni discusse, anche di concerto con la Società delle Nazioni, e adottate dal nostro paese sulla prostituzione straniera.
Sul piano internazionale si assiste nel 1921 a un cambiamento terminologico non irrilevante: il termine «tratta delle donne» si sostituisce a quello fino ad allora utilizzato «tratta delle bianche», come a indicare un venir meno – quanto meno sul piano delle retoriche pubbliche – delle distinzioni di razza.
In Italia il reato di tratta è introdotto nel 1923, ma tra le due guerre l’attenzione si sposta progressivamente dalle italiane all’estero alle straniere in Italia e nelle colonie, cambio di sguardo che ha come effetto un maggiore inasprimento delle politiche di ingresso e permanenza nel nostro paese e un progressivo abbandono dell’attenzione nei confronti del fenomeno della tratta. Nasce così la categoria, a noi oggi così familiare, della «prostituta straniera», funzionale alla «tutela dell’ordine familiare» purché sotto stretto controllo della polizia, la quale assume durante il fascismo il compito di combattere la prostituzione clandestina.
Al di là dell’interesse che le cronache e le biografie approfondite in questo testo possono suscitare in chi legge, grazie anche alla complicità di trascrizioni di testimonianze dell’epoca e a una scrittura scorrevole e piacevole, mi pare che l’aspetto più intrigante del saggio di Laura Schettini sia la scelta di inquadrare le vicende raccontate nell’ambito di un quadro di analisi di più ampio respiro. Come scrive, infatti, la studiosa nelle conclusioni, il fenomeno della prostituzione globale ci parla anche di altro. Ci parla di identità nazionale, costruita su una contrapposizione forzata tra la moralità delle donne autoctone e quella dubbia delle straniere; ci parla di rappresentazioni e di pratiche discorsive da cui discendono politiche di controllo e di chiusura delle frontiere; ci parla di lavoro, sessualità e migrazioni.
Ciò che più ha colpito il mio sguardo di sociologa delle migrazioni e esperta di tratta e sfruttamento delle donne migranti di oggi nei mercati del sesso è la persistenza di alcune criticità del sistema, per cui nulla sembra cambiare pur in un contesto profondamente mutato. Penso, ad esempio, alla persistenza di una ricostruzione dei fenomeni migratori che tende, ancora oggi, a oscurare l’autonomia delle donne nei processi migratori, così come degli uomini distanti dal dominante paradigma eteronormativo: non solo la storia, come sostiene l’autrice, ma anche la sociologia delle migrazioni, infatti, «pone al centro gli uomini eterosessuali» o le donne ricongiunte della «tradizione». E ancora: il lavoro delle donne, ancora precario e meno pagato rispetto a quello degli uomini, seppur ovviamente con profonde differenze rispetto al passato, fragilità strutturale che fa sì che la vendita di servizi sessuali possa apparire come un’alternativa risolutiva; le politiche moralizzanti e di chiusura delle frontiere, nel rispetto della doppia morale ciclicamente rispolverata nel corso dei secoli grazie alla retorica sempreverde del «male necessario», spesso mitigata dall’espressione naturalizzante «il mestiere più antico del mondo»; infine la sessualità, o meglio, le sessualità di genere, vale a dire il ruolo attribuito dalla società alle sessualità nelle definizione della cittadinanza maschile e femminile, da cui la persistenza della retorica dell’uomo «cacciatore», cui fa da contraltare la contrapposizione tra «donna per bene» e «donna per male», quest’ultima etichettata anche quando gravemente sfruttata nell’ambito di «turpi traffici».
Un libro prezioso, dunque, che fa luce su una storia trascurata offrendo, al contempo, chiavi di lettura stimolanti per la comprensione delle contraddizioni dei mercati del sesso anche contemporanei.