V, 2022/1

Nadia Thérèse van Pelt

Drama in Medieval and Early Modern Europe

Review by: Umberto Cecchinato

Authors: Nadia Thérèse van Pelt
Title: Drama in Medieval and Early Modern Europe. Playmakers and their Strategies
Place: London - New York
Publisher: Taylor & Francis (Routledge)
Year: 2019
ISBN: 9781138189379
URL: link to the title

Reviewer Umberto Cecchinato - Istituto Storico Italo Germanico | Fondazione Bruno Kessler

Citation
U. Cecchinato, review of Nadia Thérèse van Pelt, Drama in Medieval and Early Modern Europe. Playmakers and their Strategies, London - New York, Taylor & Francis (Routledge), 2019, in: ARO, V, 2022, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/1/drama-in-medieval-and-early-modern-europe-umberto-cecchinato/

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Drama in Medieval and Early Modern Europe analizza le strategie e le tecniche performative che i drammaturghi usavano per adattare i testi teatrali al pubblico e renderli efficaci nei diversi contesti sociali e culturali. È un libro concettuale e interdisciplinare: in un centinaio di pagine, l’autrice condensa spunti tratti da scienze cognitive, antropologia, performance studies e analisi letteraria. La trattazione mette a confronto testi di varie regioni d’Europa nell’ambito una cronologia molto ampia (1200-1700). Questa impostazione è adottata esplicitamente per mettere in discussione divisioni temporali e geografiche artificiose e inclini a una lettura ‘evolutiva’ della tradizione teatrale. Van Pelt propone un approccio tematico, valorizzando la continuità di alcuni topoi e, al contempo, presentando i cambiamenti che questi subirono nel tempo (pp. 4-5). L’analisi dei testi è condotta con continui riferimenti alla loro ricezione da parte del pubblico.

Il libro è strutturato in quattro capitoli, ognuno dedicato a un tema specifico. Il primo analizza le sacre rappresentazioni della transustanziazione e della passione di Cristo messe in scena nei Paesi Bassi, in Francia, in Italia e in Inghilterra. Sebbene la stessa tradizione drammatica esistesse in contesti molto differenti, il modo in cui era messa in scena si adattava alla situazione socio-politica locale. In certe aree europee, per esempio, lo stereotipo dell’ebreo deicida era enfatizzato. In altre, dove le comunità ebraiche erano meno presenti, come in Inghilterra, il significato antisemita delle due scene sfumava. Il secondo capitolo compara testi di area boema, tedesca, greca e spagnola, soffermandosi sul modo di rappresentare Maria Maddalena, figura controversa che veicolava immagini di peccato e al contempo di redenzione. Riflettendo sui modi di mettere in scena il personaggio – a seconda dei contesti impersonato da uomini travestiti o da donne pentite – van Pelt dimostra la flessibilità dell’opera teatrale e la sua capacità di adattarsi ai diversi contesti e pubblici preservando gli elementi più importanti. Il terzo capitolo investiga il modo in cui cambiano i topoi teatrali attraverso lo studio delle figure di Robin Hood e Guglielmo Tell, due personaggi adatti tanto alle politiche conservatrici quanto a quelle sovversive. Le corti Angevin, Tudor e Stuart sfruttarono la popolarità di cui Robin Hood godeva nelle zone rurali per promuovere le politiche della corona. In origine violento e rozzo, l’arciere fu in seguito ingentilito per adattarlo al contesto commerciale dei teatri londinesi. La vicenda di Guglielmo Tell – originariamente simbolo di rivolta contro il governo degli Asburgo – fu usata come strumento politico per promuovere l’importanza della Confederazione svizzera nel cantone Uri. Dopo la Riforma, nel 1545, la storia fu riscritta in una veste letteraria per inculcare i valori comuni ai cantoni dopo un periodo di divisioni religiose. Il capitolo finale ha un taglio più antropologico e si sofferma su alcune performance messe in scena a Wells, nel Somerset, nel primo Seicento, in diverse occasioni di celebrazione civica. Van Pelt dimostra che i membri di una comunità potevano sfruttare le performance teatrali in modo divisivo, per esprimere le proprie critiche. Se però non calibravano le loro azioni per renderle adatte al contesto culturale, attori e drammaturghi potevano ottenere esiti controproducenti. Le rappresentazioni di Wells dividevano la comunità: i Riformisti volevano abolirle, ma alcune autorità cittadine le appoggiavano. Facendosi alfieri di quest’ultima parte, gli attori sfruttarono le rappresentazioni per insultare, schernire e aggredire fisicamente i detrattori, talvolta anche con l’aiuto del pubblico. Questa decisione costò loro caro. Il giudice locale, uno dei riformisti oggetto di derisione, si vendicò facendo ricorso alle autorità centrali, e i performers furono condannati a pagare una multa pesante e a subire una pena diffamatoria a Londra.

Van Pelt mira esplicitamente a consolidare il dramma come un importante strumento di misurazione dei cambiamenti sociali, politici, religiosi ed economici avvenuti in Europa tra Medioevo ed Età moderna (p. 126). I testi teatrali restituiscono senza dubbio molte informazioni utili per lo studio di tali aspetti. Il libro è originale e innovativo; ha il merito di approcciare alla performance teatrale come a un’opera aperta all’interazione del pubblico e in continuo adattamento. La trattazione è però molto concettuale e talvolta difficile da seguire: per poterla apprezzare è necessaria una profonda conoscenza dei testi presi in analisi. Alcuni punti sono poco convincenti. Superare le vecchie cesure temporali è giusto e lodevole, ma non può portare a un appiattimento cronologico. In un passaggio alcune commedie di inizio Seicento sono citate come modelli di teatro «late-medieval» (p. 46). Come dimostra l’autrice, la tradizione teatrale è un flusso ininterrotto in continuo mutamento: allora forse, per evitare un ‘cortocircuito’ terminologico, sarebbe stato più efficace usare le date piuttosto che snaturare le etichette temporali. L’intento di indagare le reazioni del pubblico in quanto parte attiva nella performance è lodevole. Tuttavia, l’analisi è basata essenzialmente su testi teatrali e il pubblico emerge quasi sempre solo di riflesso, principalmente attraverso la formulazione di ipotesi. Forse un confronto più serrato con fonti che offrono altre rappresentazioni dei fatti reali – come le fonti processuali usate nel quarto capitolo – avrebbe offerto appoggi più solidi. Alcuni termini usati da van Pelt suonano troppo generici per poter definire esperienze del passato. È possibile, per esempio, che un drammaturgo considerasse «undesiderable» le scene di violenza contro Cristo (p. 124) per l’effetto «potentially shocking» sul pubblico olandese. Ma fino a che punto possiamo definire in tal modo l’esperienza di uno spettatore dell’epoca? Quanto, nello stabilire la misura di questo «shock», deve essere tenuto presente il fatto che le scene di violenza erano molto diffuse nella vita quotidiana e che lo sfregio delle immagini sacre era pratica comune per chiunque assistesse o partecipasse ai giochi d’azzardo?

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