Reviewer Umberto Tulli - Università degli Studi di Trento
CitationGiochi Diplomatici di Nicola Sbetti è un contributo importante e originale alla vasta letteratura (per lo più in lingua inglese) relativa al rapporto tra sport e politica internazionale che, da un lato, affronta il difficile e per nulla scontato reinserimento dell’Italia nel sistema sportivo internazionale alla fine della Seconda guerra mondiale e, dall’altro, analizza il rapporto tra diplomazia sportiva del CONI e diplomazia ufficiale del governo italiano. Il tema è di particolare interesse perché, chiarisce l’autore, l’Italia fu l’unico paese vinto a godere di un veloce reinserimento nella comunità sportiva internazionale, nonostante l’evidente politicizzazione e «statalizzazione» delle istituzioni sportive italiane durante il regime fascista; le gravi difficoltà economiche che precludevano la possibilità di organizzare o partecipare a grandi eventi sportivi internazionali; lo scoppio della Guerra fredda; le difficoltà nella firma del Trattato di pace o nella definizione dei confini con l’Austria e, ancor di più, con la Jugoslavia.
Su questo sfondo si inseriscono dinamiche politiche, attori istituzionali e questioni ideologiche che favorirono il pieno reinserimento dell’Italia nel sistema sportivo internazionale, sancito poi dall’attribuzione della sessione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) del 1949 a Roma, e successivamente dei Giochi invernali del 1956 a Cortina e di quelli estivi del 1960 a Roma. Per chiarire come ciò sia stato possibile, Sbetti spiega sin dall’introduzione che il suo volume intende rispondere ad alcuni specifici interrogativi di ricerca: quali sono state le ragioni e le modalità del reinserimento dello sport italiano nella comunità sportiva internazionale? Quale è stato il rapporto tra istituzioni sportive e istituzioni politiche italiane? Quali sono state le coordinate e gli attori fondamentali della diplomazia sportiva italiana?
Le risposte a tali quesiti necessitano di un'analisi che, proprio come quella di Sbetti, prenda le mosse dal rapporto tra sport e politica.
Dopo un primo lungo, ma necessario, capitolo introduttivo che affronta le istituzioni sportive internazionali, la loro ideologia universalista, la loro rivendicazione di una presunta «apoliticità» e il loro rapporto con le istituzioni sportive e politiche nazionali, il volume segue il cammino dello sport italiano, dalla sua rinascita durante l’occupazione alleata, sino alla decisione del Comitato Olimpico Internazionale di assegnare le Olimpiadi invernali del 1956 a Cortina e quelle del 1960 a Roma. In poco più di quattrocento pagine, Sbetti sottolinea come la diplomazia sportiva italiana sia stata in grado di superare un breve e parziale periodo di quarantena internazionale per arrivare a una piena rilegittimazione nel consesso internazionale. Lo fece coscientemente, seguendo una strategia articolata, che passava tanto attraverso il dialogo con il CIO, e quello talvolta più difficile con le federazioni internazionali, quanto attraverso relazioni bilaterali con i paesi limitrofi (Svizzera, Francia, Austria), con gli Stati Uniti e con l’Europa centro-orientale. Il quadro che ne emerge è quello di una diplomazia sportiva parallela e autonoma rispetto alle iniziative del governo, di cui condivideva l’obiettivo generale (quello di un pieno reinserimento dell’Italia nella Comunità internazionale) e che, proprio per questo, non entrò mai in conflitto con le linee politiche del paese. Ovviamente, però, la diplomazia sportiva risentì molto dello stato delle relazioni diplomatiche del governo italiano: la firma del trattato di pace, lo stato delle relazioni con l’Austria prima e dopo la firma dell’accordo De Gasperi-Gruber, le tensioni con la Jugoslavia per il confine comune e il Territorio Libero di Trieste, nonché la divisione dell’Europa ebbero i propri riflessi anche per la diplomazia sportiva italiana. Così come le tensioni sportive – ad esempio quelle legate al Tour de France del 1950 – ebbero un loro riflesso politico.
Tre idee appaiono particolarmente importanti.
La prima è il rapporto di continuità e discontinuità tra il sistema sportivo italiano di epoca fascista e quello repubblicano. Evitando toni apologetici o censori, Sbetti ripercorre le vicende del CONI a cavallo tra anni Quaranta e Cinquanta quando, sotto l’abile regia del socialista Giulio Onesti e con l’importante sponda politica di Giulio Andreotti, esso seppe reinventarsi e rilegittimarsi. L'autore affronta il problema spinoso dei membri italiani nel CIO, personalità legate al precedente regime fascista ma che trovarono collocazione e legittimazione anche a guerra finita; e quello, ancor più complesso, dei membri italiani negli organi direttivi delle Federazioni sportive internazionali. In buona sostanza, ciò che Sbetti afferma è che, depoliticizzando il CONI e affidandolo agli sportivi, Onesti riuscì non solo a salvare il CONI, ma anche a dare al Comitato italiano una nuova legittimazione politica tanto in Italia quanto all’estero.
Da qui muove la seconda idea centrale del volume: il rapporto tra politica e sport in Italia. Sbetti sottolinea più volte come il CONI sia stato un geloso custode della propria autonomia dalla politica italiana (grazie anche all’introduzione del Totocalcio che garantì introiti costanti e indipendenti da finanziamenti del governo), salvo poi cercare costantemente l’appoggio e il sostegno del governo per le sue principali iniziative.
La terza riguarda, invece, l’ideologia dello sport internazionale; una ideologia che si vuole universalista e apolitica. L’universalismo venne effettivamente valorizzato e sfruttato dallo sport italiano per favorire il proprio reinserimento anche se – come sottolinea l’autore – ciò risultò più facile per il reinserimento nel CIO che per la piena rilegittimazione degli italiani in alcune federazioni sportive internazionali. La presunta apoliticità dello sport, invece, fu a tutti gli effetti una ideologia politica utilizzata tanto dal CIO quanto dal CONI per legittimare in misura ancora maggiore il proprio ruolo e le proprie ambizioni.
A concludere i punti di forza del volume vi sono l’imponente e ricco scavo archivistico (per quanto possibile, perché – ricorda l’autore – la pessima condizione degli archivi italiani, e di quelli sportivi in particolare, preclude la possibilità di ricerche più approfondite), il puntuale spoglio della stampa dell’epoca e, soprattutto, una vasta conoscenza della letteratura e dei principali nodi interpretativi relativi al rapporto tra sport e politica), tutti elementi che conferiscono al libro solidità metodologica e coerenza interpretativa.