Reviewer Umberto Cecchinato - Istituto Storico Italo Germanico | Fondazione Bruno Kessler
CitationUn rapporto di fine Seicento informò i capi del Consiglio dei Dieci di Venezia sul numero di omicidi avvenuti tra il 1674 e il 1689 a Vicenza e nel suo territorio: in totale 1.333 tra uomini e donne[1]. Tradotto in parametri attuali, per quel periodo si registra in media un tasso di 50 omicidi all'anno. Un valore altissimo rispetto a quello odierno: l’ultima stima rileva per l’Italia intera un tasso di 0,58[2]. Parte della storiografia spiega questo declino con la teoria del processo di civilizzazione di Norbert Elias: nel Cinquecento, la progressiva interiorizzazione delle buone maniere e centralizzazione del potere statale diedero avvio alla lenta decrescita della violenza interpersonale in Europa. Per i sostenitori di questa interpretazione – che continua a stimolare un vivace dibattito – la penisola italiana è un grattacapo: un territorio con elevati livelli di civilizzazione registra tassi di violenza impressionanti. A Renaissance of Violence affronta il problema studiando 700 fascicoli processuali istituiti dal tribunale bolognese del Torrone in undici anni, tra il 1600 e il 1700. La magistratura, attiva dal 1536 e nota per la ricchezza del suo fondo archivistico, era strumento della centralizzazione del potere papale: all’inizio del Seicento, proponendosi come efficace risolutrice nella negoziazione delle dispute, era riuscita a pacificare le fazioni nobiliari che avevano insanguinato Bologna nei secoli precedenti.
Il libro è organizzato in sei capitoli. Nel capitolo centrale, attraverso un’analisi statistica dei casi raccolti, Rose ricostruisce la curva degli omicidi commessi nel territorio cittadino e in quello rurale durante il XVII secolo. Un moto ondulare, con un picco tra 1632 e 1660 che testimonia la ‘rinascita’ della violenza in un periodo in cui essa dovrebbe diminuire in virtù del processo di civilizzazione. I dati presentati, lungi dal presentare una “mera storia quantitativa della criminalità”, aprono interessanti scorci sulla natura degli omicidi[3]: i tempi in cui avvenivano, la condizione, l’età e il genere di aggressori e vittime, il tipo di armi usate, le relazioni esistenti tra gli attori coinvolti. L’autore sfata il mito del carnevale come periodo più cruento dell’anno, dimostrando che i mesi in cui si verificavano più omicidi erano quelli estivi: i dati riecheggiano le parole del predicatore medievale Domenico Cavalca, per il quale i delitti si concentravano dal «tempo da Pasqua di Resurrezione insino all’autunno»[4]. Altri importanti riflessioni riguardano la violenza subita e inferta dalle donne: nel quarto capitolo Rose ne studia le cause sociali e culturali, mettendo a nudo i pregiudizi sulla figura femminile – alcuni purtroppo attualissimi – che caratterizzavano la retorica giudiziaria.
Le cause della rinascita della violenza di metà secolo sono approfondite negli ultimi due capitoli. Nel 1632, la peste lacera il tessuto sociale bolognese, riducendo la popolazione rurale del 20%, quella cittadina del 25%. La fiducia nelle istituzioni diminuisce a causa delle restrizioni ai movimenti e al blocco del commercio, che riducono in povertà molte famiglie: allora come oggi, molti preferivano rischiare il contagio piuttosto che finire sul lastrico. La realtà economica cambia drasticamente: in ambito rurale, campi arabili prima occupati tornano disponibili e la morte dei patriarchi manda in miseria le famiglie di mezzadri; in città, le gerarchie che regolavano i rapporti sociali sono sovvertite e la morte di molti anziani lascia giovani rampolli alla guida delle famiglie nobili. La violenza torna a essere la strategia più diffusa per realizzare ogni tipo di obiettivo: si uccide per il possesso di un cappello con cui ripararsi dal sole durante il lavoro, per punire un rivale in affari, per decidere sull’uso di un’eredità a scapito dei fratelli. Antichi odi rinascono e le lotte tra fazioni, cui il Torrone sembrava aver messo fine, riprendono. Nel 1660, la violenza registra il suo picco nell’area urbana: i nobili, bravi al seguito, ingaggiano battaglia ogniqualvolta sentano la propria posizione minacciata.
Rose dimostra una profonda conoscenza della genesi dei fondi archivistici del Torrone e della prassi giudiziaria bolognese. Il libro è scritto in modo chiaro e scorrevole, adatto a diversi tipi di pubblico. I primi due capitoli forniscono un ottimo orientamento a chi volesse iniziare lo studio della violenza interpersonale. L’introduzione riorganizza efficacemente le diverse correnti interpretative adottate dalla storiografia; il secondo capitolo descrive, con sguardo antropologico, la genesi e il funzionamento di un tribunale di antico regime in un importante periodo di sviluppo istituzionale, mettendo a nudo il suo ruolo nella pacificazione dei conflitti.
Gli specialisti del settore apprezzeranno il contributo decisivo al dibattito sulla decrescita della violenza. Rose dimostra che civilizzazione e ricorso alla violenza, lungi dall’escludersi a vicenda, convivevano; descrive una società in cui la violenza era presente nei rapporti di tutti i giorni. Lo studio invita ad adottare nuove prospettive storiografiche e a guardare ai cosiddetti «petty crimes»[5]: il passato avrebbe molto da dire sulle dinamiche della violenza interpersonale che caratterizza tuttora i rapporti sociali in alcuni parti del mondo.
[1] S. Carroll, Revenge and Reconciliation in Early Modern Italy, in «Past & Present», 233, 2016, 1, pp. 101-142, qui p. 108.
[2] Tra 1663 e 1727 la popolazione della città di Vicenza è costantemente attorno ai 25.000 abitanti, quella del contado intorno ai 150.000. Si veda G. Mometto, Per una storia della popolazione in età moderna, in E. Barbieri - P. Preto (edd), Storia di Vicenza, III/1, Vicenza, Neri Pozza Editore, 1989, pp. 1-27, qui p. 15-16. Il dato odierno, pubblicato dall’Istituto Nazionale di Statistica il 05.03.2020, si riferisce al 2018. https://www.istat.it/it/archivio/239321.
[3] Sull’uso statistico delle fonti giudiziarie si veda O. Niccoli, Perdonare. Idee, pratiche, rituali in Italia tra Cinque e Seicento, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 27-29.
[4] D. Cavalca, Il pungilingua di fra Domenico Cavalca ridotto alla sua vera lezione da Monsignor Giovanni Bottari, Milano, Giovanni Silvestri, 1837, p. 247.
[5] R, Gould, Collisions of Wills. How Ambiguity about Social Rank Breeds Conflict, Chicago IL, University of Chicago Press, 2003.