Reviewer Luigi Piccioni - Università della Calabria
CitationCon A Monastery for the Ibex. Conservation, State, and Conflict on the Gran Paradiso 1919-1949 Wilko Graf von Hardenberg corona almeno tre lustri di ricerche e di riflessioni sulle aree naturali protette dell’arco alpino, sul rapporto tra fascismo e ambiente e sul concetto di «nature state». Questa ricostruzione della storia dei primi trent’anni di vita del Parco nazionale del Gran Paradiso costituisce un evento di rilievo per diversi motivi.
Essa apre innanzitutto la stagione – che dobbiamo augurarci scientificamente fertile – delle celebrazioni per il centenario della riserva naturale alpina, istituita nel dicembre 1922 come prima area protetta italiana e una delle prime d’Europa. In secondo luogo si colloca all’interno di una recente fioritura di importanti opere sulla storia dei parchi naturali europei, il cui esempio più significativo è senz’altro Creating Wilderness di Patrik Kupper, la storia del Parco nazionale svizzero dell’Engadina uscita nel 2014 dopo la prima edizione in lingua tedesca del 2011.
A Monastery for the Ibex presenta tuttavia altre due caratteristiche non trascurabili. La prima è che compare direttamente in lingua inglese, segnalando così l’ulteriore consolidamento di una tendenza in atto ormai da un decennio grazie alla quale le storiche e gli storici dell’ambiente italiani stanno conquistando un’attenzione sempre maggiore sul mercato editoriale globale. A partire infatti da Enclosing Waters di Stefania Barca, uscito nel 2010, si è progressivamente ampliato il numero di buone monografie di autori e autrici italiane su soggetti italiani pubblicate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti (Marco Armiero, Giacomo Parrinello, Gabriella Corona, Giacomo Bonan, Federico Paolini, lo stesso scrivente). La seconda caratteristica è che l’opera costituisce di fatto la prima ricostruzione generale della storia di un’area protetta italiana proveniente da uno storico 'di mestiere'. Chi scrive ha affrontato in più occasioni l’argomento ma mai in modo del tutto organico, mentre le formidabili ricostruzioni delle vicende delle riserve naturali dello Stelvio e dell’Adamello da parte di Franco Pedrotti discendono dagli sforzi di ricerca e di elaborazione di un grande studioso prestato alla storia dall’esterno, cioè dalla botanica. Anche questo può essere quindi considerato un significativo passo in avanti per la storiografia ambientale italiana.
A giudizio di chi scrive, A Monastery for the Ibex si giova e al tempo stesso soffre un poco del suo derivare da più filoni di ricerca. La grande competenza maturata da Hardenberg nel campo del rapporto tra fascismo e ambiente, nonché la sua attiva partecipazione al recente dibattito sul concetto di «nature state» gli hanno sicuramente consentito, infatti, di elaborare una visione più ricca e meno banale di una vicenda apparentemente marginale come quella del Parco nazionale delle Alpi occidentali. Al tempo stesso, tuttavia, il riferimento frequente a griglie teoriche ampie e ambiziose per interpretare le vicende descritte porta talvolta con sé il rischio di sovraleggere eventi e processi, di interpretarne il senso alla luce di contesti e di categorie metodologiche che non sono sempre pertinenti. Questo mi pare particolarmente vero in due ambiti, anche se si potrebbero addurre esempi relativi anche a qualche altro aspetto di minore importanza.
L’autore interpreta anzitutto molte delle vicende del Parco nazionale del Gran Paradiso alla luce di una volontà precisa e di specifiche politiche del regime fascista nel campo della tutela della natura e delle aree protette. La mia esperienza di ricerca al riguardo tende a farmi considerare molto debole questa prospettiva, suggerendomi al contrario che il fascismo mancò di una visione complessiva della tutela ambientale e che, ad eccezione dell’esperienza di Giuseppe Bottai, non attuò politiche organiche di conservazione della natura, tantomeno nel campo delle aree protette. Altro è probabilmente il discorso su politiche di gestione delle risorse naturali riguardanti le foreste, le acque o le bonifiche, ma qui siamo in campi distanti – teoricamente e praticamente – dalla tutela della natura e del paesaggio vera e propria.
Analoghi e almeno in parte sovrapponibili a quelli precedenti sono i problemi derivanti dall’ampio utilizzo della categoria di «nature state». Si tratta di un approccio teorico relativamente giovane, di cui l’autore si è fatto alfiere di recente insieme a Matthew Kelly, Claudia Leal ed Emily Wakild, curando il volume The Nature State. Rethinking the History of Conservation (New York, Routledge, 2017). La proposta è quella di rileggere le politiche di conservazione della natura come «modi in cui il governo e le sue agenzie hanno cercato di controllare, gestire o produrre la natura per ragioni diverse dal puro sfruttamento». Un approccio sicuramente interessante e fertile ma che ritengo debba essere adattato con cautela ed elasticità alle situazioni locali prese in esame al fine di evitare generalizzazioni improprie. Nel caso dei parchi nazionali italiani – e dunque non solo di quello del Gran Paradiso – una storia ormai secolare sembra far emergere via via una miriade di attori diversi in uno scenario in cui, perlopiù, il grande assente è propriamente lo Stato, cioè le istituzioni pubbliche, soprattutto nazionali. È questo un discorso lungo e del tutto aperto, sicuramente da riprendere nel contesto del centenario, ma mi sembrava onesto rilevare la difficoltà di applicare una categoria forte come quella di «nature state» in un ambito in cui le grandi istituzioni pubbliche sono state sistematicamente poco presenti, o presenti in modo effimero, oppure presenti in forme parziali e quasi private, come nel caso del prolungato tentativo dei forestali di conquistare e mantenere il controllo dei parchi nazionali essenzialmente per un interesse corporativo.
Formulate queste a mio avviso doverose avvertenze, con la piena consapevolezza della loro parzialità e discutibilità, va detto che A Monastery for the Ibex è un testo di grande solidità, ben documentato e sapientemente articolato. L’iniziativa per la costituzione del Parco nazionale del Gran Paradiso, negli anni tra il 1919 e il 1922, è illustrata in modo completo e approfondito, così come l’operato della Commissione amministratrice fino al suo scioglimento ad opera del fascismo nel 1933. Lo stesso vale per la successiva gestione da parte della Milizia Nazionale Forestale fino ai disastri della Seconda guerra mondiale e all’opera di salvataggio e di rilancio condotta da Renzo Videsott tra il 1944 e il 1949, anno della riconquistata autonomia amministrativa, con la quale la narrazione si chiude. Al di là di questo pur necessario svolgimento cronologico, Hardenberg ha cura di individuare e di isolare alcuni macro-temi strategici che sono in effetti quelli che maggiormente caratterizzano l’esistenza della riserva nel trentennio in esame: le forze in campo e le circostanze che conducono all’istituzione del Parco (The Devil's Paradise. The Battle to Save the Ibex), le modalità di gestione, i conflitti che ne derivano e la loro mediazione (Managing Paradise. Structures of Conservation and Contexts of Conflict e Trouble in Paradise. Protests, Appeasement, and Hunting), il ruolo riservato alla ricerca scientifica e il suo significato (Knowing Paradise. The Role of Science in Preservation) e infine l’influenza del fattore turistico (Strangers in Paradise. Tourism and the Perception of Conservation).
In conclusione credo si possa affermare che A Monastery for the Ibex proietti degnamente la storiografia sulle aree protette italiane in un contesto globale e che contribuisca positivamente a inaugurare la stagione delle celebrazioni del centenario delle aree protette italiane.