Reviewer Enrico Valseriati - Istituto storico italo-germanico, FBK
CitationNel 1576, mentre si trovava in Egitto per scopi apparentemente militari, il nobile vicentino Filippo Pigafetta entrò nella piramide di Cheope, staccò da un sarcofago un piccolo frammento e lo spedì infine al patrizio veneziano Giacomo Foscarini, come «anticaglia quanto all’antichità rarissima» (p. 40). Basterebbe questo breve aneddoto per costruire, attorno alla figura di Pigafetta, una serie di approfondimenti prosopografici di grande interesse culturale. Pochissime e non così frequenti, infatti, sono le testimonianze dirette sulla conoscenza delle antichità egizie da parte dei viaggiatori europei del Cinquecento, già di per sé molto rari nell’Egitto della prima età moderna.
Filippo Pigafetta (1533-1604), tuttavia, fu molto più di un semplice viaggiatore, di un erudito, di un informatore. Imparentato con Antonio, uno dei pochi sopravvissuti alla prima circumnavigazione del globo, Filippo coltivò sin da giovane interessi geografici, storici, ingegneristici, militari e più in generale politici. Servì, da fervente cattolico, anzitutto la “sua” Repubblica, quella di Venezia, sebbene nell’arco della sua vita non lesinò consulenze culturali e diplomatiche a favore di Ferdinando I de’ Medici, di papa Sisto V e soprattutto di Filippo II. Nella sua veste di rappresentante politico e di tecnico, visitò gran parte d’Europa e – come si è già accennato – anche l’Egitto e il Vicino Oriente, lasciando abbondante traccia delle sue missioni e di ciò che vide, con un occhio antropologico ma spesso viziato da pregiudizi di varia natura, accompagnando le relazioni scritte a preziose rilevazioni cartografiche, non sempre conservatesi. Non meno importante fu la sua attività in campo culturale: fitti e densi furono gli scambi librari con personaggi di spicco come Gian Vincenzo Pinelli o l’ingegnere Giulio Savorgnan e notevole, al contempo, fu la mole di volumi che raccolse, acquistati pressoché in blocco da Federico Borromeo, dopo la morte di Pigafetta, per la sua celebre biblioteca milanese.
Molti di questi aspetti della complessa vita di Filippo Pigafetta sono trattati nel libro Tra spezie e spie, che non vuole essere una biografia complessiva sul nobile vicentino – già di per sé molto nota tra gli addetti ai lavori – quanto piuttosto un affondo storiografico sulla sua attività diplomatica e di spionaggio, con particolare riferimento agli anni 1576-1587. In questo lasso di tempo, come ci spiega l’autore, Pigafetta svolse alcune delle sue più importanti missioni militari e d’informazione politica, visitando le corti di Elisabetta I e di Filippo II, oltre a quelle italiane di Sisto V e Ferdinando I, da lui descritte con dovizia di particolari in relazioni sovente inedite. Il grande merito del libro è l’aver indirizzato le molte anime del viaggiatore vicentino verso questo particolare momento della sua biografia, spesso trascurato dalla storiografia precedente. In questo senso, il profondo scavo archivistico condotto dall’autore presso archivi privati e pubblici ha permesso di comprendere come i poliedrici interessi di Pigafetta siano stati spesso funzionali alla sua formazione e al suo ruolo di spia, rappresentante e mercante.
Strettamente connessi ai continui viaggi diplomatici di Filippo Pigafetta furono infatti i suoi interessi mercantili e commerciali, incentrati su un prodotto in particolare, il pepe. La presenza di Pigafetta in territorio egiziano, ad esempio, pur essendo connessa al timore di uno sfondamento ottomano in Europa, deve essere ricondotta soprattutto alla ricerca di nuove vie marittime da sfruttare per il commercio del pepe verso l’emporio di Rialto, rimasto un po’ ai margini del mercato delle spezie a seguito dell’apertura delle rotte navali globali. L’idea più notevole di Pigafetta, che anticipò di tre secoli l’iniziativa di Luigi Negrelli, fu quella di ipotizzare un collegamento tra il Mediterraneo e il Mar Rosso, tagliando l’istmo di Suez, un’opera «che avrebbe favorito e reso estremamente redditizio lo scambio di merci, in particolare del pepe, tra Indie ed Europa» (p. 70). Il progetto, che ovviamente non venne realizzato, costituisce un’ulteriore riprova delle diversificate competenze di Filippo Pigafetta, il quale cercò sempre di porre in dialogo le proprie conoscenze umanistiche con la loro applicabilità in campo ingegneristico, economico e politico.
Una dimensione del libro di Savio apparentemente meno accattivante, eppure altrettanto importante, riguarda la politica interna di Vicenza, città d’origine di Pigafetta. Già nel primo Cinquecento, il capoluogo veneto aveva ospitato vari rappresentanti della monarchia spagnola, di passaggio o residenti entro i confini della Repubblica di Venezia. Grazie anche ai legami economici e politici tra i legati iberici e le famiglie vicentine, tra 1576 e 1577 la legazione spagnola, solitamente stanziata in laguna, si trasferì in blocco a Vicenza, in ragione dell’epidemia di peste in atto a Venezia, che toccò il territorio vicentino marginalmente. Gli archivi consultati dall’autore restituiscono un’immagine tutt’altro che statica della comunità spagnola all’interno della società vicentina: dalle indagini di Savio emerge una fitta rete di relazioni tra l’aristocrazia locale e i rappresentanti della monarchia in Italia, che trascorsero un anno intero a Vicenza, allietati da feste, veglie e banchetti, nonostante nel resto della Terraferma veneta la peste stesse mietendo un numero considerevole di vittime. Su questo sfondo, da un lato si consolidò la vicinanza di parte del patriziato vicentino agli Asburgo di Spagna, dall’altro si crearono le condizioni per un rafforzamento della rete informativa di cui giovò, tra gli altri, anche lo stesso Pigafetta. La sua attività diplomatica e di spionaggio non si spiega, quindi, esclusivamente con personali interessi culturali o commerciali, ma anche con un milieu sociale e politico che affondava le sue radici nella terra d’origine di Filippo Pigafetta, cioè Vicenza.
Tra spezie e spie, sin dal titolo, colloca la figura del suo protagonista entro uno spazio soprattutto mediterraneo. Gran parte dell’azione militare, diplomatica e commerciale di Pigafetta, d’altro canto, si giocò a tutti gli effetti entro i confini del Mediterraneo, specie tra Italia, Spagna e Africa settentrionale. Analizzando il contenuto del libro, questa lettura può apparire in un certo senso forzata: Filippo Pigafetta, in realtà, valicò spesso e volentieri i limites del Mediterraneo e un’importante conferma di ciò è costituita dalla sua legazione in Inghilterra, dove con un altro viaggiatore vicentino, Antonio Maria Ragona, visitò e descrisse varie realtà urbane britanniche, tra cui Southampton, Portsmouth, Exeter e Bristol (forse servendosi di informazioni di seconda mano). Allo stesso tempo, l’impegno diplomatico del nobile vicentino andò forse oltre la mera attività di spionaggio e pare che il suo ruolo sia stato soprattutto di rappresentanza o d’informazione politica. Ciò non toglie che in più di un’occasione Pigafetta sia stato inquisito, interrogato e perquisito con il sospetto di essere una spia al servizio ora della Repubblica di Venezia, ora di altri stati europei, in primo luogo la Spagna.
Le piste di ricerca tracciate in questo volume meriteranno, in futuro, ulteriori indagini e approfondimenti, che saranno certamente favoriti dalle indicazioni archivistiche fornite dall’autore nelle ricche note a piè di pagina. Un filone, in particolare, sembra essere promettente, ovvero l’analisi della dimensione personale ed emotiva di Pigafetta. Dalle sue stesse relazioni di viaggio o dalla testimonianza dei suoi contemporanei, emergono una personalità e una psicologia complesse, combattute tra il desiderio di conoscenza e scoperta (un tratto tipico dell’uomo cinquecentesco) e l’ansia per uno stile di vita irto di insidie, quale fu quello dei viaggiatori durante la prima età moderna. Molto, poi, ci sarà da dire sui consumi e sul regime alimentare di quest’uomo che – senza curarsi troppo dei rischi – si abbeverò in più occasioni con l’acqua del Nilo rimanendo in vita e continuando a viaggiare.