Reviewer Fernando D'Aniello
CitationChi scrive non può dirsi certo entusiasta dell’utilizzo dell’analogia nell’analisi storica o politologica. Si tratta di uno strumento da impiegare con estrema parsimonia perché dotato di un indiscutibile fascino – l’idea che nella storia alcuni processi siano destinati a ripetersi e allo storico spetterebbe proprio individuare questi ‘ritorni’ – ma di dubbio effetto sotto il profilo dell’efficacia, vale a dire per quanto alla capacità di chiarire uno dei due termini (spesso persino entrambi) del confronto.
Questa premessa è indispensabile nell’analizzare un testo, in realtà una sintesi di una serie di incontri, che, sin dal titolo, si presenta come l’applicazione a un caso concretissimo di questo procedimento analogico: Towards a Westphalia for the Middle East. L’analogia sarebbe qui realizzata nell’accostare il processo di pace che chiuse la guerra dei Trent’anni (1618-1648) con una proposta per superare i conflitti in Medio Oriente, in particolare quello siriano, e contribuire, se non alla pacificazione, quantomeno alla stabilizzazione dell’area, esattamente come avvenne per l’Europa dopo il 1648. Va da sé che da questa tesi discendono anche analogie strumentali minori, come l’equiparazione tra gli effetti della rivolta boema (con l’evento divenuto oggi simbolico, che inaugura il conflitto, la defenestrazione di Praga dei funzionari imperiali nel 1618) e le cosiddette «primavere arabe», tra l’evoluzione di una guerra interna (all’Impero) e religiosa in una guerra sistemica e costituente un nuovo ordine o tra la conflittualità tra Francia e Asburgo e quella irano-saudita.
Sia il testo sia gli incontri che lo hanno preceduto (ai quali hanno preso parte politici e analisti invitati proprio a esprimersi sull’uso dei trattati di pace di Westfalia come schema per il Medio Oriente e, quindi, già indirizzati verso una valutazione dell’analogia proposta) sono stati a lungo (e criticamente) discussi: indubbiamente ha pesato il recente anniversario dell’inizio della guerra dei Trent’anni, che ha riaperto il dibattitto sulla natura del conflitto.
Che non sia stata ‘solo’ di una guerra di religione è una valutazione ormai generalmente accolta, ma allora di cosa si è trattato? Questa è una domanda di fondamentale importanza per chi voglia servirsi di Westfalia come schema interpretativo per il futuro, ne sono consapevoli gli autori stessi, che infatti preliminarmente scrivono: «La pace di Vestfalia è, allo stesso tempo, uno degli accordi di pace più accuratamente studiati e anche quello più frainteso» (p. 12). Il libro offre sicuramente una panoramica avanzata, potendo disporre sia dell’esperienza di Brendan Simms, che ha curato il volume insieme a Patrick Milton e Michael Axworthy ed è autore, fra l’altro, di Europe: The Struggle for Supremacy, sia di nuove e penetranti analisi della guerra dei Trent’anni, ad esempio quella di Herfried Münkler (Der Dreißigjährige Krieg. Europäische Katastrophe, deutsches Trauma 1618–1648).
È, dunque, sicuramente apprezzabile e condivisibile l’impianto dedicato alla valutazione della guerra dei Trent’anni come fenomeno locale, regionale (ad esempio la necessità, per la corte di Madrid, di tenere aperta la cosiddetta «via spagnola») e internazionale (vale a dire europeo, p. 40), incentrato nel «cuore geopolitico dell’Europa, nel quale la Germania era il pivot del sistema inter-statuale europeo, oggetto delle dell’interesse di tutte le maggiori potenze europee» (p. 41), una valutazione che i lettori di Simms conoscono bene. Per queste ragioni, il conflitto puntava a ridefinire «i contesti costituzionali e di politica di potenza dell’egemonia regionale e le divergenti concezioni dell’ordine costituzionale» tra l’Impero e gli Stati tedeschi e all’interno di quest’ultimi (p. 49).
Il volume, però, si occupa della guerra dei Trent’anni solo per fondare al meglio la proposta di una sua rilettura per agire politicamente oggi in Medio Oriente, ed è dunque sotto questo aspetto che deve essere valutato: Westfalia può essere d’esempio ancora oggi? La sintesi che viene offerta può essere condivisibile: «Una Vestfalia per il Medio Oriente è, in sintesi, la proposta di un nuovo ordine regionale olistico di pacifica legalità, oltre a costituire un insieme di suggerimenti per buone pratiche diplomatiche e la definizione di un ordinamento pacifico» (p. 108).
Probabilmente nell’intervento di Frank-Walter Steinmeier, oggi Bundespräsident, allora ministro degli Esteri della Repubblica federale tedesca, si coglie insieme l’utilità di questa impostazione ma anche un certo scetticismo nella sua concreta applicazione: «La pace di Westfalia non è un modello per la pace in Medio Oriente. Ma se la osserviamo da vicino vedremo che ci offre un certo numero di strumenti, metodi e idee. Tocca a noi identificarli, estrarli raffinarli e utilizzarli nella nostra diplomazia di oggi» (p. 107). Insomma, non è una stroncatura come quella di Suzanne Maloney che ha recensito il libro su «Foreign Affairs», 1/2020 (Dreams of Westphalia), ma credo che Steinmeier si sia approcciato al tema in modo corretto.
Indubbiamente alcuni suggerimenti si rivelano importanti: la necessità di un congresso di pace ‘ampio’, aperto cioè a tutte le parti in causa, senza attendere necessariamente un cessate il fuoco generalizzato oppure la proposta di una amnistia.
Tuttavia, la sensazione è che il paragone e i suggerimenti finiscano qui. Gli autori sembrano non considerare come la maggior parte delle grandi potenze in campo abbia già raggiunto alcuni dei suoi obiettivi (ad esempio la Russia nell’evitare la caduta del regime di Assad) e non sono interessati a una stabilizzazione ulteriore dell’area, sebbene dovrà riuscire a far convivere le richieste del regime di Damasco di riottenere tutto il territorio siriano, ovvero la città di Idlib, e il governo di Ankara che ha visto, a partire dallo scoppio del conflitto in Siria, la possibilità di aumentare le proprie ambizioni egemoniche nell’area.
Chi potrebbe giocare un ruolo, l’Europa, semplicemente non esiste: il Vecchio continente non riesce a dar seguito alla proposta tedesca di una forza di pace tra Siria e Turchia, non è presente alle trattative del gruppo di Astana (le uniche che potrebbero suggerire una scelta federale per la futura costituzione siriana) e spesso dimostra ancora un atteggiamento neo-coloniale difficilmente compatibile con i presupposti per un accordo generale sull’area (come dimostra la recente visita a Beirut di Macron, dopo l’incidente dell’agosto 2020). Ancora, la dimensione religiosa del conflitto può difficilmente essere relativizzata senza una soluzione della questione palestinese, che è certamente svanita dall’agenda dei governi regionali e internazionali, ma che continua a essere elemento centrale per il mantenimento del conflitto a livello globale e estremamente radicale. Solo per citare alcune questioni.
Più che costituire un'analogia, sembra che Westfalia possa stimolare una ricerca di strade nuove, oltre la contingenza, ma che richieda innanzitutto attori disposti a questo sforzo di ‘fantasia’, che inventi una propria strada verso la pace.