Reviewer Damiano Acciarino - Università Ca' Foscari
CitationDa più di un secolo il panorama degli studi antiquari del Rinascimento e di storia della Controriforma era privo di una monografia su Onofrio Panvinio, se si pensa che l’ultimo contributo di questo genere sul grande erudito veronese del sedicesimo secolo è quello (peraltro non esaustivo) a opera di Aurelio Perini datato addirittura 1900. A tale mancanza, solo in parte colmata dagli studi di Karl Gersbach e Jean-Louis Ferrary, ha mirabilmente posto rimedio Stefan Bauer con The Invention of Papal History. Onofrio Panvinio between Renaissance and Catholic Reformation uscito nel 2020 per i tipi di Oxford University Press, non a caso nella collana dei Warburg Studies, che in passato ospitò, tra gli altri, i due volumi di Tony Grafton su Joseph Scaliger. Nel solco di questo filone di ricerca, infatti, l’opera di Bauer va a consolidare la bibliografia di un campo di studi, quello della tradizione antiquaria tra Quattrocento e Seicento, i cui recessi rimangono ancora in buona parte inesplorati, nonostante una tradizione di lungo corso che, da Pierre de Nolhac a William McCuaig, da Federica Missere Fontana a Ginette Vagenheim, ha finito per offrire quadri più che esaurienti della vita, delle opere e del dipanarsi dei rapporti di figure centrali della cultura antiquaria del secondo Cinquecento come Fulvio Orsini, Carlo Sigonio, Antonio Agustín e Pirro Ligorio.
Esito di ricognizioni cominciate ufficialmente nel 2013, con affondi mirati sul metodo storiografico del Panvinio, sviluppatesi poi in più complesse indagini biografiche (confluite per esempio nel DBI nel 2015) e in altri studi rivolti tanto alla storia romana quanto alla storia della Chiesa nei decenni posteriori allo scoppio della Riforma Protestante, The Invention of Papal History rappresenta una vera e propria biografia intellettuale di Onofrio Panvinio, con un’ampia sezione dedicata alla genesi e all’allestimento di alcuni dei suoi scritti più rappresentativi.
Il volume, diviso in quattro sezioni, è raggruppabile a sua volta in due macroaree. La prima (costituita dalle due sezioni iniziali 1. The Clouds Roar: Panvino’s Early Career e 2. Between Church and Empire: Panvinio’s Final Decade) riscrive la vita del Panvinio, dall’infanzia e prima formazione veronese, passando per il precocissimo apprendistato agostiniano e per gli altrettanto precoci (e prestigiosi) servizi, prima presso il generale dell’ordine Girolamo Seripando, che lo portò a viaggiare per la Penisola, con tappe tra le altre anche a Roma e Napoli, poi presso Marcello Cervini (per breve tempo papa Marcello II), e infine presso il cardinale Alessandro Farnese, nel cui cenacolo produsse le opere antiquarie che lo consegnarono alla posterità.
Tramite un’attenta lettura incrociata della vita di Onofrio Panvinio, composta da suo fratello Paolo, e dell’epistolario esteso e accessibile in buona parte a stampa tra edizioni moderne e premoderne (almeno per quanto riguarda il fondamentale manoscritto ambrosiano D. 501 inf.), Bauer riesce a mettere ordine in alcuni snodi finora oscuri della biografia dell’erudito veronese, come per esempio le fasi concitate riguardanti le pubblicazioni usualmente ritenute pirata di Jacopo Strada, le edizioni 1557 dei Fasti Consolari e della cronotassi pontificia – entrambe riviste e ristampate l’anno successivo con sostanziali emendamenti. La storia editoriale di queste opere, infatti, sembrerebbe rispecchiare i molteplici cambi d’umore che accompagnarono il Panvinio nelle varie fasi redazionali, non di rado guidate dalla fretta di licenziare i propri lavori – fretta da cui spesso lo metteva in guardia l’amico e mentore Ottavio Pantagato.
Dalla fine degli anni Cinquanta del Cinquecento in avanti (ma con prodromi retrodatabili almeno al 1553), Panvinio ebbe modo di dedicarsi anima e corpo alla sua opera di storiografia antiquaria ecclesiastica, nata in seno alle esigenze di riscrittura alimentate dai venti conciliari e rese ancora più urgenti dall’uscita dei primi volumi delle mastodontiche (e proprio per questo abortite) Centurie di Magdeburgo. Bauer mostra molto bene le varie fasi di avvicinamento ai lavori di matrice ecclesiastica del Panvinio, che non videro mai la luce, ma dalle cui membra scaturirono altre opere originalissime nella forma e nel contenuto. Allo sviluppo di ogni opera, sono associate le varie vicende biografiche, che negli anni Sessanta vedevano il Panvinio in esilio con il Farnese a Parma, in viaggio in Germania alla ricerca di nuovi manoscritti (e patroni), fino in Sicilia, sempre al seguito del Farnese, dove a trentanove anni, per un malore improvviso, nel 1568 si spense.
Nella seconda macroarea del volume, che comprende le ultime due sezioni, Bauer approfondisce con taglio monografico l’apporto del Panvinio alla storiografia ecclesiastica del tempo. Nella prima sezione (3. Panvinio’s History of Papal Elections) illustra genesi compositiva, contenuti e storia redazionale del De varia creatione pontificum romanorum, la più consistente e articolata disamina sulle forme di elezione dei Pontefici susseguitesi nel corso della storia. Già dal titolo, l’opera indica il punto cruciale del problema: la varietà. Infatti, in tempi in cui la Chiesa cattolica tentava di dimostrare con fonti storiografiche e antiquarie come la Chiesa del presente altro non fosse che la proiezione di quella della origini, un’opera come il De varia creatione del Panvinio, che metteva in luce la discontinuità della tradizione (a fronte della e nonostante la permanenza della carica stessa) potesse sicuramente creare problemi di ricezione negli ambienti ecclesiastici e altrove, cosa che spinse Panvinio medesimo a modificarne le redazioni in base ai dedicatari (l’unica copia integrale, diremmo incensurata, è quella monacense indirizzata ad Hans Fugger), sintomo che le sue pagine fossero destinate a rimanere (come sono a tutt’oggi) inedite. Per mostrare l’approccio non allineato all’ideologia controriformistica di quest’opera, Bauer istruisce un paragone con le vite dei pontefici di Alfonso Chacón, dove invece il meccanismo elettivo dei papi veniva descritto come molto più stabile, e quando instabile comunque guidato dallo Spirito Santo.
Nella quarta e ultima sezione (4. Church History, Censorship, and Confessionalization) Bauer parla ancora della censura del De varia creatione e di altre opere di antiquaria ecclesiastica, come il De primatu Petri, e del progetto di stesura di una storia ecclesiastica poi tramontato e passato di mano al Sigonio. Tuttavia, come noto, anche questo scritto non raggiunse i torchi per ragioni di convenienza prima di diventare inoffensivo, cioè nel XVIII secolo. Solo un erudito con la cultura e la visione politica di Cesare Baronio avrebbe potuto farsi carico e portare a termine in maniera non controversa (almeno sul fronte cattolico) un'impresa tanto ardua.
Il pregio maggiore di questo volume, che come dicevo colma una lacuna nel panorama degli studi antiquari del Rinascimento, e di cui spero di essere riuscito a far emergere le virtù, è tuttavia un altro, ossia la capacità di porre nuovi quesiti alla comunità scientifica che si occupa di questo ambito e in particolare di alcuni aspetti delle relazioni intellettuali intrattenute dal Panvinio.