Reviewer Giacomo Bonan - Historisches Seminar, Goethe-Universität Frankfurt-FBK-ISIG
CitationIl presente volume è la traduzione di uno studio originariamente pubblicato in lingua tedesca dallo storico Wolfang Behringer nel 2015 (Tambora und das Jahr ohne Sommer. Wie ein Vulkan die Welt in die Krise stürzte). In questo lavoro, l’autore ritorna sui temi della storia del clima, con cui si era già confrontato in Storia culturale del clima. Dall’Era glaciale al Riscaldamento globale.
Il volume comparso nel 2010 ha suscitato grande interesse (è attualmente alla sua quinta edizione ed è stato tradotto in diverse lingue), ma anche alcune controversie relative all’interpretazione del cambiamento climatico in prospettiva storica. Se l’arco cronologico preso in considerazione nella storia culturale del clima era di lungo – anzi, lunghissimo – periodo (dall’Olocene al presente), questo volume analizza un cambiamento climatico ben più circoscritto: l’eruzione del vulcano Tambora nella primavera del 1815 e le conseguenze che provocò negli anni successivi.
L’eruzione avvenne tra il 5 e il 15 aprile del 1815 nell’isola di Sumbawa (arcipelago indonesiano) e i boati furono uditi a oltre mille chilometri di distanza. Nel corso di quei dieci giorni furono eruttati approssimativamente 150 chilometri cubici di materiale vulcanico. L’altezza del monte decrebbe dai 4.200 metri precedenti all’eruzione (stimati in base alle fonti dell’epoca) agli attuali 2.850 metri. Nel campo della vulcanologia, è difficile sopravvalutare l’importanza dell’evento: quella del Tambora costituisce la più potente eruzione vulcanica mai registrata nella storia umana. Nella scala che analizza l’esplosività vulcanica (Volcanic Explosivity Index – VEI) è stata classificata a livello 7 su 8 (quella del Vesuvio del 79 a.C., che funge da parametro di riferimento, è a livello 5). Vi sono state eruzioni che hanno raggiunto il livello massimo, ma la più recente è avvenuta oltre 25.000 anni fa, molto prima della diffusione della scrittura.
L’impatto dell’evento fu devastante. Secondo alcune stime, nell’isola di Sumbawa furono uccise oltre 10.000 persone dall’eruzione e dallo tsunami che seguì. Altre 38.000 morirono nei mesi successivi per malattia o denutrizione, poiché l’intera produzione agricola andò distrutta e l’acqua fu inquinata. Un fenomeno simile si verificò anche nelle isole di Bali e Lombok, dove si depositò uno spesso strato di cenere che causò carestie e la diffusione di diverse malattie. Gli studi più recenti ipotizzano che l’eruzione abbia causato circa 117.000 morti nell’arcipelago indonesiano.
I danni diretti provocati dall’esplosione sono analizzati nel primo e più breve capitolo del libro, mentre i capitoli successivi sono organizzati in senso cronologico e allargano il focus spaziale dall’arcipelago indonesiano all’intero globo. Come l’autore chiarisce fin dall’introduzione, «il tema del volume non è l’eruzione in sé, ma le sue conseguenze culturali e le capacità delle società del tempo di rispondere a improvvisi cambiamenti climatici» (p. 2). Infatti, la gigantesca quantità di zolfo rilasciata nell’atmosfera durante l’eruzione causò sconvolgimenti climatici a livello globale che furono particolarmente intensi nel biennio successivo.
Queste alterazioni furono di diverso tipo e non implicarono necessariamente effetti negativi. Ad esempio, nell’Impero russo vi fu un aumento delle temperature medie e si verificarono delle condizioni particolarmente positive per le attività agricole. Assai meno favorevole fu l’impatto di queste variazioni nel resto d’Europa e nel Nord America, dove vi fu un forte calo delle temperature associato ad altri fenomeni climatici estremi, tra i quali una brusca variazione del livello medio di umidità. I contemporanei non conoscevano le cause di questi fenomeni, ma ne compresero subito l’eccezionalità, tanto che il 1816 è ricordato come «l’anno senza estate». Il perdurare del gelo sui terreni per tutta la primavera, le piogge troppo intense e le frequenti nevicate (che in alcune aree d’Europa e degli Stati Uniti si spinsero sino a giugno inoltrato) compromisero quasi completamente la produzione agricola. La situazione si aggravò progressivamente nel corso del 1816 e infine deflagrò con la carestia del 1817, l’ultima grande crisi di sussistenza verificatasi a livello continentale in Europa.
L’esponenziale aumento dei prezzi dei generi alimentari scatenò una reazione a catena che in breve tempo portò al crollo del settore manifatturiero (in particolare l’industria tessile) e infine a una crisi economica generalizzata. Le ripercussioni sul piano sociale, politico e sanitario furono molteplici: aumento della criminalità e saturazione delle prigioni; rivolte di piazza contro i governanti (in particolare in Francia, Inghilterra e Germania); diffusione di movimenti religiosi di tipo millenaristico; epidemie di colera e di febbre tifoide; avvio di nuovi flussi migratori sia intra-europei sia verso le Americhe; tensioni etniche e religiose, che in alcune città tedesche sfociarono in pogrom contro le comunità ebraiche accusate di speculare sui prezzi del grano.
A queste vicende, strettamente connesse con la grande carestia del 1816/1817, se ne aggiungono altre di tipo culturale, che possono essere considerate in relazione agli effetti climatici dell’eruzione. L’esempio più famoso riguarda la genesi del romanzo Frankenstein di Mary Shelley, considerato il capostipite di un nuovo genere letterario. Il libro fu scritto nella villa di Lord Byron nei pressi del lago di Ginevra nel 1816 e la sua stesura fu influenzata dal clima anomalo dell’anno senza estate, come l’autrice riconobbe nella prefazione della terza edizione dell’opera.
Il lavoro di Behringer rappresenta il primo tentativo sistematico di analisi degli effetti provocati dall’eruzione del Tambora. Si tratta di una fase storica che è già stata ampiamente studiata in ambito storiografico, ma le ricerche condotte in precedenza avevano approfondito la crisi degli anni 1816/1817 su scala locale o regionale. Secondo Behringer, il limite principale di questi lavori è che non evidenziano i caratteri strutturali della crisi, la sua dimensione globale e l’interconnessine tra le diverse dinamiche che caratterizzarono quel periodo. Soprattutto, la maggior parte di queste ricerche ignorava i fattori climatici alla base della crisi, dato che i primi studi scientifici sul legame tra l’eruzione del Tambora e i fenomeni atmosferici che caratterizzarono l’anno senza estate sono comparsi a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.
Per superare questa frammentazione, Behringer ha tentato una sintesi delle ricerche pubblicate in precedenza per mostrare il carattere globale della «crisi del Tambora», proponendo anche un racconto degli eventi vivace e ricco di aneddoti, che evidentemente mira a raggiungere un pubblico più vasto di quello degli storici di professione. Com’è inevitabile quando ci si confronta per la prima volta con un tema ancora inesplorato, il volume ha anche alcuni limiti. Il primo è un problema ricorrente nelle ricerche di storia globale oggi così popolari (pur con le dovute e meritorie eccezioni): la predilezione per la letteratura secondaria, integrata da alcune fonti a stampa. Si tratta di una scelta obbligatoria, posto l’intento di fornire una panoramica globale sugli eventi, ma in cui le opzioni analitiche sono predeterminate dalle caratteristiche della letteratura disponibile. Il libro contiene pagine dettagliatissime su specifiche vicende della crisi in Europa occidentale o negli Stati Uniti, ma solo pochi capoversi sul resto del mondo. Riguardo all’Africa vi sono minimi accenni alla costa mediterranea e ai territori dell’odierno Sud Africa. L’America latina è menzionata solo in riferimento all’emigrazione europea. L’Asia è ridotta a qualche pagina sulla Cina e sul subcontinente indiano.
Il secondo problema è che l’enorme mole di informazioni e aneddoti raccolti da Behringer – e vividamente restituitici dalla prosa dell’autore – ci racconta moltissimo su cosa avvenga negli anni successivi all’eruzione del Tambora, ma mancano completamente l’obiettivo che era esposto nell’Introduzione: valutare il nesso di causalità tra l’eruzione e gli eventi successivi. In alcuni casi, come a proposito della crisi alimentare, questa relazione può essere inferita dagli esempi stessi, anche se dovrebbe essere maggiormente articolata in rapporto ad altri fattori che contribuirono a renderla più o meno grave nei diversi territori coinvolti. Altri aspetti appaiono più problematici, come l’asserzione secondo cui l’eruzione contribuì alla diffusione delle tecnologie a vapore e quindi allo sviluppo di un’economia fondata sui combustibili fossili, che non mi sembra supportata da argomentazioni convincenti (pp. 233-236). Nonostante questi limiti, il volume ha il merito di proporre all’attenzione degli storici un nuovo tema di studio e di fornire una ricca bibliografia di riferimento e molte informazioni dettagliate, che possono rappresentare un prezioso punto di partenza per coloro che vorranno approfondire e problematizzare le questioni sollevate da Behringer.