Reviewer Giovanni Bernardini - Università di Verona e FBK-ISIG
CitationDi questi tempi, scrivere di populismo può rivelarsi un lavoro frustrante per almeno due ordini di ragioni. Il primo è che il campo, un tempo appannaggio di specialisti della scienza politica, è stato invaso negli ultimi anni da una messe di studi di qualità forzatamente variabile, promossi dall’urgenza di comprendere il mutamento delle forme, dei linguaggi e delle modalità della politica che sembra travalicare i confini nazionali per assumere dimensioni globali. L’altro è che la contemporaneità e l’imprevedibilità di tali fenomeni rende rischioso se non inutile il tentativo di trarne analisi e indicazioni che vadano oltre il mero elenco dei nomi e dei fatti per proiettarsi almeno nel medio periodo. Per quanto riguarda il primo aspetto, il volume offre garanzie 'a scatola chiusa', dato il profilo dei due coautori: Ilvo Diamanti, politologo che negli anni si è guadagnato una notevole visibilità pubblica, soprattutto per la puntualità e la lungimiranza delle sue analisi sui mutamenti occorsi all’Italia a partire dalla nascita della cosiddetta «Seconda Repubblica»; e Marc Lazar, storico e politologo francese esperto dell’evoluzione delle sinistre europee, con una comprovata conoscenza anche del contesto politico italiano. Quanto al secondo aspetto, è impressionante la distanza che due soli anni trascorsi dalla pubblicazione hanno messo tra gli ultimi sviluppi presi in considerazione nel volume e l’attualità: soltanto per citare le due assenze più evidenti, sul versante francese manca qualunque riferimento al movimento dei Gilet Jaunes, che fece la comparsa alla fine dell’anno; mentre nelle parti dedicate all’Italia non c’è traccia dell’evoluzione che ha portato il Movimento Cinque Stelle alla coalizione con il Partito Democratico e al secondo Governo Conte. È proprio su questo terreno che il volume mostra la sua valenza, dato che, una volta terminata la lettura, non sarà difficile concludere come molti sviluppi successivi o almeno la loro valenza storica fossero già preannunciati in nuce nel volume. Esso, a suo maggior pregio, costituisce a prescindere un salutare sforzo di analisi e periodizzazione che sfugge agli asfissianti schemi degli «eccezionalismi nazionali» attraverso il tentativo, largamente riuscito, della comparazione tra i due paesi.
Il provocatorio titolo del volume rappresenta anche il suo punto d’arrivo e il suo contributo più stimolante. In breve: la recente ventata populista ha cessato da tempo di rappresentare un fenomeno minoritario e circoscritto, e ha ormai intaccato il funzionamento delle democrazie liberali, spingendole verso una mutazione in «popolocrazie». La comparazione tra i due casi è utilizzata dagli autori per definire alcune caratteristiche generali di questo nuovo modello ancora in fieri. La principale è senza dubbio l’immediatezza, in primo luogo nel senso del forte indebolimento dei canali di mediazione della democrazia rappresentativa; un aspetto idealizzato da alcuni movimenti attraverso l’uso dei nuovi media, sulla cui reale neutralità e accessibilità i due autori mettono in guardia. Immediato (senza mediazioni) è tuttavia anche il rapporto tra un leader e il suo popolo, fino a rendere i partiti meri strumenti di mobilitazione occasionale del secondo sulla scorta dei desideri del primo. Se tali mutazioni sono state promosse coscientemente dai principali movimenti populisti, Lazar e Diamanti avvisano che è ormai sempre più frequente e diffuso «l’adattamento di tutti gli attori politici al linguaggio e alle rivendicazioni dei populisti»: il contrasto della loro sfida cede sempre più il passo alla loro imitazione.
Tuttavia, gli autori rifuggono da spiegazioni dei nuovi fenomeni esclusivamente interne alla sfera della politica, per indagare le ragioni di malessere che hanno preceduto l’ascesa dei nuovi populismi, abili a loro volta nel farne la propria bandiera. Non c’è dubbio che gli ultimi decenni, segnati dalla cosiddetta «globalizzazione», abbiano prodotto una generalizzata crisi d’identità e una sensazione diffusa di incertezza sul futuro alle quali le forze politiche tradizionali non hanno saputo dare risposte adeguate. L’usura dei meccanismi tradizionali della rappresentanza politica e la critica a un potere lontano, «freddo» e tecnocratico (spesso identificato nei decisori di Bruxelles) è andata di pari passo con la diffusa percezione di una crescita delle diseguaglianze economiche e della distanza tra centro e periferia, di un forte ridimensionamento di quello Stato sociale che ha costituito a lungo un marchio del modello europeo occidentale, di un aumento della precarietà. Da qui la legittima aspirazione a un rinnovamento della democrazia, che i movimenti populisti sarebbero stati abili a cogliere e tradurre in termini illiberali, sia delegittimando tutte le forze che rappresentano non «il popolo» ma «l’élite», sia incanalando il risentimento diffuso contro l’«altro», scelto arbitrariamente tra le categorie più deboli (come gli immigrati). Presa coscienza che il mutamento in atto è irreversibile, gli autori invitano i «soggetti all’altezza di queste sfide» a partecipare ai cantieri aperti della riforma delle democrazie, per riempirli di contenuti liberali e per dare risposte concrete alle ragioni di inquietudine della cittadinanza, evitando così che la «popolocrazia» diventi l’unico approdo possibile.
Se il volume esprime tutto il suo valore sul piano dell’attualità, occorre rilevare con altrettanta franchezza che meno convincenti risultano i capitoli centrali, dedicati a tracciare una sorta di genealogia dei populismi attuali nella storia dei due paesi in esame. La continuità con alcune esperienze storiche (come il poujadismo in Francia e il «qualunquismo» in Italia) è evidente e gli autori hanno buon gioco nel rimarcare somiglianze e differenze con l’oggi; discorso ben diverso riguarda l’attribuzione di «tentazioni populiste» ai Partiti Comunisti di entrambi i paesi soltanto per episodici appelli «all’unione generale delle classi popolari» (salvo dover ribadire che l’anima marxista costituivaun chiaro antidoto al populismo), o al Partito Socialista Italiano, i cui richiami al «popolo» riguardano indubbiamente più spesso la classe operaia che le masse indistinte. Parimenti, il continuo tentativo di individuare simmetrie sull’asse destra-sinistra spinge più volte gli autori a ricondurre nell’alveo populista esperienze di entrambi i paesi che sarebbe più proficuo definire semplicemente (neo)fasciste. Probabilmente, un approccio meno nominalistico e più 'ideazionale' (come quello promosso da Cas Mudde, autore pure spesso citato nel libro) al fenomeno populista avrebbe prodotto una ricostruzione più credibile e soprattutto utile a individuare con chiarezza le radici storiche dei problemi attuali.