Reviewer Eleonora Belloni - Università degli Studi di Siena
CitationIl tema del gap di genere nella rappresentanza politica continua – viene da dire purtroppo – a essere di grande attualità. Il sottotitolo del volume curato da Patrizia Gabrielli, Rappresentanza e rappresentazioni di genere, fa riferimento alle due dimensioni di cui si compone l’esperienza femminile in Parlamento, assai più di quella maschile. Perché l’accesso delle donne alla rappresentanza politica ha dovuto fare i conti, ieri come oggi, non solo con il problema dell’accesso al Parlamento, e della possibilità che esso avvenisse in condizioni di parità con gli uomini, ma anche con quello, assai più subdolo, dell’immaginario costruito attorno alle donne elette.
Il volume, parte di un più ampio progetto realizzato dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, raccoglie dodici saggi, risultati di ricerche su archivi, materiali a stampa e fonti visive.
I contributi rappresentano un viaggio attraverso le tante sfaccettature del percorso accidentato che ha contribuito, nel secondo dopoguerra, a colmare almeno in parte il gap di genere nella rappresentanza politica. Un percorso dove il decreto Bonomi del febbraio 1945 sull’estensione del diritto di voto alle donne e l’effettivo esercizio di quel diritto nel 1946 non hanno rappresentato il punto di arrivo ma semmai il punto di partenza di una sfida giocata su diversi livelli, a fronteggiare attacchi e preoccupazioni provenienti da svariate direzioni. Tra queste preoccupazioni – come sottolinea Patrizia Gabrielli nel saggio introduttivo Corpi nella politica. L’Italia repubblicana e le rappresentazioni di genere – «si affacciano la mascolinizzazione del genere femminile, alla quale è sottesa la concezione di un’identità sessuale incerta, degenerata e sfrenata, e per converso la femminilizzazione del genere maschile» (p. 6).
Il superamento del modello maschilista fascista e il definitivo adeguamento del sistema politico italiano a un nuovo modello in grado di contemplare il pieno diritto di partecipazione attiva e passiva delle donne alla politica non bastarono insomma a chiudere la partita, come dimostra l’analisi di lungo periodo condotta da Barbara Poggio sugli squilibri di rappresentanza (Squilibri di rappresentanza. Asimmetrie di genere nei luoghi della politica), perpetrati anche e soprattutto attraverso il gap nell’accesso alla «parola conquistata» e poi alla «parola usata», come ci ricorda Maria Emanuela Piemontese (Le donne nella storia linguistica dell’Italia Repubblicana: aspetti linguistici e sociolinguistici).
Del resto, il tema della «rappresentazione della rappresentanza» non ha interessato solamente la presenza femminile nelle istituzioni, come emerge dall’analisi di Stephen Gundle nel saggio La mascolinità del leader politico nell’Italia del dopoguerra. È indubbio, tuttavia, che sia soprattutto la «donna politica» ad essere al centro di questa operazione di rappresentazione. Ciò risulta ben evidente dal saggio di Giulia Cioci, Il guardaroba parlamentare: la rappresentazione del «corpo politico» attraverso l’abito, nel quale emerge la misura in cui l’operato delle elette è stato spesso giudicato attraverso lo strumento del canone estetico e visivo, al fine di mettere in atto operazioni delegittimanti e discriminanti. Può allora accadere che un cappello (o la sua assenza) diventi quasi elemento dirimente di un’intera e tormentata carriera politica, come nel caso della monarchica Maria Rygier (Barbara Montesi, Una questione di cappello. La monarchica Maria Rygier nell’Italia Repubblicana); o che un paltò divenga simbolicamente il lasciapassare per Montecitorio, come nel caso dell’onorevole Gina Borellini (Caterina Liotti, Un paltò per l’onorevole. La rappresentazione di Gina Borellini tra ricerca storica e public history).
Queste dinamiche di rappresentazione di genere non sfuggono alla satira dell’epoca. Maria Antonietta Serci, nel suo saggio sulle coppie in Parlamento (In coppia in Parlamento), sottolinea che nel 1946 la satira e i rotocalchi colsero la straordinaria novità della presenza femminile nei palazzi della politica ma anche l’esistenza di donne e uomini che rivestivano la stessa carica pubblica ed erano nel contempo compagni di vita.
Oltre all’Italia, la raccolta presenta focus su Spagna, Repubblica Democratica Tedesca e Stati Uniti.
Raffaella Baritono (Un paese latecomer? Donne e rappresentanza politica negli Stati Uniti contemporanei) rileva come le elezioni di mid-term del 2018 possano essere considerate un punto di svolta, perché hanno determinato l’ingresso in Parlamento del maggior numero di donne dal 1920, molte delle quali rappresentanti le minoranze. Il dato fornisce all’autrice l’occasione per un percorso a ritroso che indaga le tappe principali della storia della rappresentanza femminile negli Usa. A cavallo tra Italia e Stati Uniti si colloca anche l’indagine di Elvira Valleri. Nel saggio Un’associazione per le elettrici tra New York e Roma, l’autrice. si concentra sull’Associazione nazionale donne elettrici (Ande), fondata da Carlotta Orlando dopo un ventennio trascorso a New York, che raccoglieva donne delle élites borghesi e dell’aristocrazia con una forte vocazione transnazionale.
Laura Branciforte (Rappresentazioni e immagini dal passato: le pioniere della Transizione: las constituyentes) focalizza invece l’attenzione sul ruolo giocato dalle ventisette all’Assemblea Costituente spagnola del 1977, nominata con le prime elezioni libere dopo la fine della dittatura franchista. Delle donne della Transizione l’autrice traccia un profilo, ma soprattutto ne sottolinea il ruolo svolto, pur nella loro diversità, nella democratizzazione di «spazi» per antonomasia maschili.
Infine, Monica Fioravanzo, nel suo saggio sulla DDR (Rara avis? La «donna politica» nella stampa femminile della Repubblica Democratica Tedesca), analizza il ruolo della «donna politica» nella Repubblica Democratica Tedesca, indagando quale fosse «il modello di donna delineato e proposto dai media e … la recezione di questo modello da parte del pubblico» (p. 107).
Quello che emerge con forza da tutti i saggi è il filo che lega il passato al presente. Ancora oggi – come sottolinea Patrizia Gabrielli – l’ingresso delle donne nelle istituzioni rappresentative produce ansia, i loro corpi sono percepiti come una sorta di «invasori dello spazio» che rendono evidente lo scarto rispetto alle norme e ai valori stabiliti, incarnati dal soggetto maschile; si continua a discutere dell’abbigliamento delle elette e delle loro virtù fisiche, e di virtù estetiche se ne sottolinea soprattutto l’assenza. Per questo – continua – il volume intende porsi soprattutto come strumento utile «alla comprensione del presente attraverso la valorizzazione e la divulgazione della storia anche al fine di favorire il superamento delle discriminazioni di genere» (p. 19).