IV, 2021/1

Mimmo Franzinelli, Alessandro Giacone

1960

Review by: Luigi Giorgi

Authors: Mimmo Franzinelli, Alessandro Giacone
Title: 1960. L'Italia sull'orlo della guerra civile
Place: Milano
Publisher: Mondadori - Le Monnier
Year: 2020
ISBN: 9788804722458
URL: link to the title

Reviewer Luigi Giorgi - Istituto Luigi Sturzo

Citation
L. Giorgi, review of Mimmo Franzinelli, Alessandro Giacone, 1960. L'Italia sull'orlo della guerra civile, Milano, Mondadori - Le Monnier, 2020, in: ARO, IV, 2021, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/1/1960-litalia-sullorlo-della-guerra-civile-luigi-giorgi/

PDF

Poche volte, come nel luglio del 1960, l’Italia ha avuto timore di trovarsi di fronte non solo a una crisi politica ma a un probabile sovvertimento autoritario dell’ordine democratico. La formazione del governo Tambroni (che rimase in carica dal 25 marzo al 26 luglio del 1960), con l’appoggio del Movimento sociale italiano determinò infatti una serie di proteste di piazza da parte dei partiti di sinistra che causò, in conseguenza del deciso intervento della polizia, alcuni morti fra i manifestanti. Emblematica la vicenda di Reggio Emilia, che viene accuratamente descritta nel volume.

Questa dura repressione fece pensare, in alcuni settori, che si fosse di fronte a un fenomeno più generale della semplice opposizione e protesta nei confronti di un esecutivo che si era giovato dei voti del partito neofascista.

Il libro di Mimmo Franzinelli e Alessandro Giacone si pone su questa linea, come indicato dal titolo, che richiama oltre all’anno, un’Italia sull’orlo della guerra civile. Si ricorre dunque a una categoria introdotta da Pavone in relazione alla Resistenza e ripresa da Fabio Fabbri nel suo lavoro sulle tensioni sugli anni Venti del primo dopoguerra.

Il volume ricostruisce con interesse l’esperienza del governo presieduto da Tambroni e la stessa figura, complessa e sui generis, dell’esponente democristiano. Si tratta di uno studio che si avvale di documentazione già nota e di altra inedita e che anche in quella nota riesce con uso adeguato e diacronico a dare alla vicenda una diversa risonanza.

Il lavoro propone un punto di vista molto focalizzato sulla cronaca politica di quella fase, una visione che si potrebbe definire di politique politicienne, concentrata, cioè, su tattiche e strategia di partiti e uomini politici, colti nella loro contingenza. In questo modo si rende un servizio utile e indubbio alla ricostruzione storica di quella fase, ma si trascura, forse, un po’ il quadro complessivo nel quale si cala la vicenda. Ha scritto sull’argomento Paolo Pombeni, nell’inserto culturale de «Il Sole 24 ore», affermando che: «il vero cuore del contendere era l’accettazione o meno del tramonto di una certa società tradizionale che non reggeva più l’urto con il prevalere dell’urbanesimo, le grandi migrazioni interne a seguito dell’industrializzazione, gli inizi di una società dei consumi (la Tv, il frigorifero, la Vespa, ecc.)» (19 luglio 2020).

Ed è in tale contesto che si mosse la figura di Tambroni, che si consumò sempre sul limite delle tensioni fra correnti democristiane, nell’illusione di potersi fare uomo di collegamento fra una parte del conservatorismo politico nazionale ed ecclesiale, e il partito di governo (che aveva attraversato da posizioni fanfaniane ad atteggiamenti più conservatori). E pensò di farlo tramite uno spregiudicato uso della macchina del Ministero dell’Interno, dove occupò il posto di ministro dal primo governo Segni passando per l’esecutivo Zoli fino al secondo Fanfani. Tale incarico, ricordano gli autori, «rappresenta il salto decisivo nell’ascesa politica» (p. 37)

Franzinelli e Giacone riportano le note definizioni di Rumor rispetto al politico marchigiano, per cui l’esponente veneto rinfacciò «all’avversario di concepire la politica 'come la sede degli intrighi e delle furberie', essendosi 'di proposito creato da se stesso la fama d’un piccolo Fouchè nostrano, che sapeva vita, morte e miracoli d’ogni uomo politico. Una delle sue espressioni ricorrenti era 'Io a quello gli leggo la vita'» (p. 82).

Se Tambroni si mosse in modo spregiudicato, va detto che si giovò di sponde molto importanti fra cui la figura del Presidente della Repubblica Gronchi. Senza dimenticare i sostegni, più o meno impliciti, nel mondo vaticano e della destra economica del paese. Egli andò, probabilmente, oltre le sue stesse possibilità, nel quadro di un’azione della polizia che represse senza troppi riguardi le manifestazioni di quei giorni. D’altra parte, la Dc riuscì, fra responsabilità per come la vicenda si era evoluta e la difficoltà di recuperarla secondo un percorso democratico che aprisse all’alleanza organica con il Partito socialista, a far dimettere Tambroni e a mantenere i nervi saldi in una situazione di estrema tensione. Di questo onere si fece carico il segretario Aldo Moro, il quale nel Consiglio nazionale di agosto disse: «Non si può … dire che si sia ceduto alla piazza, perché da parte nostra nessun ostacolo è stato posto e nessuna censura è stata mossa al Governo per la sua doverosa azione e tutela dell’ordine e della legalità. Non si è ceduto al partito comunista, quando, per sostenere meglio la nostra permanente e rigida azione contro il pericolo comunista, si è raccolta una maggioranza democratica, provata in quella lunga battaglia che è andata configurando lo stato democratico italiano … Non si può dire neppure che si sia ceduto al sentimento antifascista apparso così vivo e spontaneo in larghissimi settori del popolo italiano in questi giorni. Infatti proprio di questo sentimento, pur alieno come è da ogni faziosità ed angustia, è pienamente partecipe la D.C. … Inconsistenti debbono poi essere considerate le critiche relative al cosiddetto carattere extraparlamentare della crisi nella quale si sarebbe addirittura, così come è stato ritenuto, verificata la sostituzione dei poteri di fatto delle Direzioni dei partiti ai poteri legali degli organi costituzionali ed in particolare del Parlamento» (Il testo della relazione del Segretario on. Moro, «Il Popolo», 20 agosto 1960, p. 2).

Un discorso che, nella complessiva visione morotea del Partito, sembrava avere i crismi dello scampato pericolo ma che aveva la lucidità di individuare limiti e pericoli di quella vicenda e di trovare, all’interno di questi, i nodi ancora validi per una svolta che si allontanasse dalla stagione, ormai esaurita, del centrismo e si indirizzasse verso un ampliamento della maggioranza di governo.

ll merito di questo libro è dunque quello di indurre a riflessione generale sui pericoli ma anche sui pregi della nostra struttura democratica, attraverso la storia di momenti delicati e particolarmente tesi.

Subscribe to our newsletter

Partners