Reviewer Monica Fioravanzo - Università degli Studi di Padova
CitationIl presente volume, curato a sei mani da Francesco Berti, Filippo Focardi e Joanna Sondel-Cedarmas, raccoglie una silloge di saggi di studiosi polacchi e italiani, dai quali si evince una panoramica approfondita del complesso rapporto della società, della politica e della cultura polacca ed italiana con la memoria della Shoah. Il risultato è un’opera che dischiude al lettore importanti prospettive di riflessione.
Indubbiamente, sullo sterminio degli ebrei nel territorio polacco (opportunamente nel testo si distingue fra Polonia e territorio polacco per il periodo 1939-1945) molto si è scritto, e parecchio si è tradotto dal polacco, soprattutto negli ultimi anni, ma rispetto alla storia polacca più recente i contributi e del pari le traduzioni in Italia sono più scarse, oppure affrontano temi specifici, come per esempio il volume curato da Guido Crainz, Sessantotto sequestrato: Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni, ma che non riguarda appunto espressamente la Polonia.
A fare luce su questa realtà contribuisce dunque il volume, che mentre da un lato affronta e approfondisce la questione cruciale e controversa della memoria della Shoah nei due paesi, dall’altro consente anche, come anticipato, una riflessione sulla società e sulla politica italiane e polacche dal 1945 ad oggi.
Un libro che, peraltro, si inserisce in un percorso più ampio e non isolato, che si è snodato attraverso una serie di convegni e seminari promossi dal Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e Studi internazionali di Padova e dall’Università Jagellonica di Cracovia, sui rapporti fra Italia e Polonia, a partire da un primo seminario del marzo 2017 dedicato a Italia e Polonia nel Novecento.
La prospettiva comparatistica del volume, se generalmente fertile, qui risulta particolarmente indicata perché la storia dei due paesi si è in effetti intrecciata o snodata con andamenti paralleli nel corso del XX secolo: Polonia e Italia sono uscite dalla Grande guerra come due paesi a ordinamento liberale, hanno conosciuto una svolta fascista e autoritaria negli anni Venti – la marcia di Pilsudsky è del 1926–; hanno «ruotato» attorno alla Germania nazionalsocialista negli anni Trenta – l’Asse Roma-Berlino è del 1936, mentre del 1934 è il patto di non aggressione tedesco-polacco – e, nel volgere del conflitto, è nella Polonia che l’Italia fascista ha cercato il contrappeso al soverchiante potere della Germania nazista, sulla base della comune fede cattolica.
Nel secondo dopoguerra, i destini e i percorsi dei due stati si sono invece, come è noto, divaricati: mentre l’Italia, inserita nel blocco occidentale, adottava un ordinamento liberal-democratico, la Polonia diventava una democrazia popolare, nell’ambito del blocco sovietico. È nel quadro di questo scenario, divaricato e ormai politicamente antitetico, che gli autori hanno cercato di rispondere alla comune domanda di come sia stata vissuta e rielaborata la memoria della Shoah, di come abbia inciso nella costruzione dell’identità collettiva, nell’incontro con situazioni politico-sociali del tutto opposte.
Condizioni invero assai differenti, che non avevano però del tutto affossato continuità e permanenze del passato, quando i due paesi erano stati spesso affiancati e ‘paralleli’. E i saggi fanno emergere differenze e profili comuni, legati ai percorsi nazionali sia di breve sia di lungo periodo, giacché – ed è un dato che emerge trasversalmente da tutti i contributi – ad incidere sulla memoria della Shoah non è solo il quadro politico post 1945, ma non meno l’esperienza precedente.
Sul versante polacco, il saggio di Zdzislaw Mach delinea il processo di costruzione dell’identità nazionale polacca, che nel corso del XIX si era fondata essenzialmente sulla religione e sulla lingua, data l’assenza di uno Stato, per poi porre l’accento sull’eccezionalità del secondo dopoguerra, quando per la prima volta la Polonia ‘storica’ venne a coincidere – scomparsi gli ebrei – con la Polonia etnica. E qui si apriva appunto, almeno fino al 1989, una convergenza fra l’ideologia comunista, che risolveva la questione della Shoah nell’opposizione al nazionalsocialismo, con la conseguente attribuzione di responsabilità ai tedeschi occidentali e l’assenza sostanziale degli ebrei polacchi nel territorio polacco. Al Leitmotiv della lingua e della religione, a definire l’identità nazionale si aggiungeva ora il topos del martirio (polacco) ad opera dei nazisti.
La questione è ripresa da Johanna Sondel-Cedarmas, che nel suo contributo declina il concetto di «vittima» in rapporto alla memoria dei «Giusti tra le nazioni», introducendo una chiave interpretativa forte rispetto alla memoria dell’Olocausto. Se, fino al 1989, l’autorappresentazione dominante nella memoria pubblica polacca era stata quella dei polacchi etnici e degli ebrei come vittime comuni del nazionalsocialismo, e dei polacchi come salvatori degli ebrei, senza alcun accenno all’antisemitismo dei decenni anteriori al 1939, dopo il 1989 questa visione, in cui gli ebrei erano sostanzialmente assenti, e se presenti erano comunque grati ai polacchi, si è articolata e si è intrecciata con la politica della memoria – o meglio ancora con le politiche della memoria – gestite ora dai conservatori ora dai liberali. Per lo stretto nesso fra la visione della Shoah e dell’antisemitismo, da un lato e gli orientamenti della classe politica, dall’altro, la riemersione del nodo cruciale dell’Olocausto dopo il 1989 risulta controversa, soprattutto quando l’orientamento politico dominante sembra recuperare quel sentimento nazionale «esclusivo» di cui Mach scrive nel primo saggio.
La difficoltà di affrontare il nodo del rapporto fra Shoah e responsabilità polacca è attestata peraltro dall’emendamento alla legge polacca sull’Istituto della Memoria Nazionale, poi ritirato, che è un esempio eloquente delle oscillazioni e delle incertezze nell’assumere una linea condivisa, visto che l’emendamento entrato in vigore il 26 gennaio 2018 è stato soppresso dopo cinque mesi, il 27 giugno 2018. Sulle ragioni ci illuminano i saggi di Jolanta Ambrosewicz-Jacobs e di Agnieszka Barczak-Oplustil: se quest’ultima ci guida attraverso l’intricato iter legislativo, Ambrosewicz-Jacobs solleva un aspetto ‘psicologico’, chiamando in causa il concetto di «trauma» e la sua interazione con la dimensione della sofferenza e del vittimismo, entrambi storicamente centrali nell’identità nazionale polacca. Sino al punto che una sorta di «rivalità nella sofferenza» sembra essere un tratto caratteristico dell’identità nazionale polacca.
Parzialmente differente è il discorso relativo all’Italia, quale emerge dai saggi di Filippo Focardi, di Chiara Becattini e di Luigi Cajani.
Se in Italia non vi fu il problema di un oblio della presenza ebraica, che fu anzi forte sin dal dopoguerra seppure in parte inserita ed assimilata nella lettura (e nella retorica) della Resistenza e dell’antifascismo, tuttavia il fatto stesso che non si fosse posta una ‘questione ebraica’ ha contribuito ad attenuare nella memoria il peso delle leggi razziali e la responsabilità italiana nello sterminio degli ebrei. Tanto che appare possibile individuare una notevole analogia con il caso polacco nel ritratto dell’italiano presentato quale «salvatore di ebrei», sebbene gli autori distinguano opportunamente fra il piano della memoria collettiva, che ha coltivato questo mito, e il livello, invece, della ricerca e del discorso storiografico, che soprattutto dagli anni Ottanta hanno approfondito una visione assai più critica e rigorosa.
Nondimeno, similmente a quanto si è detto per la Polonia, anche per l’Italia l’orientamento della classe politica di governo ha influenzato l’atteggiamento verso la questione ebraica, tanto che il prevalere dagli anni Novanta di un polo di centro-destra, favorendo il «paradigma antitotalitario» a discapito della contrapposizione fra fascismo e antifascismo, ha conferito maggior risalto al ricordo degli ebrei – si pensi all’istituzione della Giornata della Memoria – rispetto a quello della Resistenza in cui prima gli ebrei erano inseriti, anche se la memoria della Shoah rimase comunque iscritta nel duplice paradigma del tradizionale ruolo soterico degli italiani e della preminente responsabilità della Germania. Anche in questo caso, quindi, come in Polonia l’attribuzione di responsabilità è dirottata principalmente verso l’esterno, così da discolpare almeno in parte la memoria nazionale. Riguardo alla dimensione europea, grazie al saggio di Piergiuseppe Parisi. il volume allarga lo sguardo all’interazione fra le politiche della memoria nazionali e la politica della memoria dell’Unione Europea, evidenziando il complesso intreccio fra sfera politica, storica e giuridica, rivelatore delle difficoltà di ricostruire una memoria ‘condivisa’ e senza esclusioni, non soltanto a livello nazionale, ma anche ‘sovranazionale’.
Lungi dall’offrire chiavi di lettura onnicomprensive, o facili interpretazioni, il volume (come ogni opera seria) apre più interrogativi e questioni di quante non ne dirima, e grazie a contributi fondati su ricerche rigorose pone in luce la complessità del confronto con il passato nella memoria collettiva.