III, 2020/3

Alessandra Tarquini

La sinistra italiana e gli ebrei

Review by: Luigi Giorgi

Authors: Alessandra Tarquini
Title: La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2019
ISBN: 9788815285683
URL: link to the title

Reviewer Luigi Giorgi - Istituto Luigi Sturzo

Citation
L. Giorgi, review of Alessandra Tarquini, La sinistra italiana e gli ebrei. Socialismo, sionismo e antisemitismo dal 1892 al 1992, Bologna, Il Mulino, 2019, in: ARO, III, 2020, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/3/la-sinistra-italiana-e-gli-ebrei-luigi-giorgi/

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Alessandra Tarquini propone una interessante valutazione sui rapporti del mondo ebraico con la sinistra italiana. Essa viene presentata lungo un lasso di tempo che va dal 1892, anno di nascita del Partito socialista fino al 1992, tre anni dopo la caduta del Muro di Berlino e del progressivo esaurimento della stagione della cosiddetta Prima Repubblica e delle forze della sinistra italiana così come erano conosciute organizzativamente.

Nella sua ricostruzione l’autrice riflette su come la sinistra italiana abbia dimostrato una «Inadeguatezza di fronte ad una questione decisiva della storia del Novecento» (p. 292). Una mancanza dovuta a ragioni politiche e culturali. L’autrice ha il merito di mostrare come il dato politico, condizionato dalla contingenza degli eventi, non abbia rappresentato la sola motivazione di un rapporto difficile, ma di come esso si sia strutturato secondo un aspetto dottrinale, e culturale, proprio della sinistra, soprattutto marxista. E in ciò è aiutata dalla conoscenza, già mostrata negli studi sulla cultura fascista e su Giovanni Gentile, di come la storia delle dinamiche culturali rappresenti un aspetto fondamentale nel ricostruire percorsi politici di strutture complesse. Proprio in questo fattore l'autrice trova una delle motivazioni dell’incomprensione da parte (si potrebbe dire della maggioranza di essa) della sinistra italiana rispetto al mondo ebraico. E cioè nel ritenere le questioni legate alla religione un dato «sovrastrutturale», in base a una riflessione di Marx nella quale individuava una struttura economica della società, sulla quale si alza una sovrastruttura giuridica e politica cui corrispondono forme determinate della coscienza sociale. È quindi la struttura che influenza la sovrastruttura. In ragione di ciò l’antisemitismo, e la considerazione rispetto alle questioni religiose, assumono le caratteristiche di un dato «sovrastrutturale»: «uno strumento usato dalla borghesia per perpetuare la propria egemonia sulle classi subalterne, creando conflitti tra proletari» (p. 68). Esso si mostra, praticamente, come secondario all’attenzione delle forze di sinistra, in quanto primaria è la lotta che il marxismo immagina fra padroni e proletari. Essa non accetta diversivi particolaristici, soprattutto religiosi, creati a discapito della «volontà generale» da classi padronali contro quelli della «classe generale» che deve fare la rivoluzione.

A questo aspetto culturale, del rapporto fra la sinistra e l’ebraismo, se ne aggiunge uno politico determinato dalle varie fasi con le quali i diversi partiti affrontarono la questione: dal Psi al Pci fino ai socialdemocratici di Saragat. Questione che viene influenzata a più riprese da interessi internazionali determinati dal legame con l’Urss; da valutazioni nazionali, con l’avvicinamento progressivo della sinistra socialista all’area di governo. In tale quadro viene collocata quella che l’autrice definisce la «svolta» di Craxi che porta il partito da un atteggiamento filoisraeliano a uno filopalestinese. Decisione che viene attribuita, fra alcuni fattori, alla volontà: «di togliere spazio ai democristiani e ai comunisti: ai primi divenendo il principale protagonista di un nuovo neo-atlantismo, una riedizione attualizzata della politica introdotta alla fine degli anni Cinquanta, e mantenuta nei decenni successivi; ai secondi non lasciandoli soli a difendere le ragioni dei palestinesi, divenuti dal 1967, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, un simbolo della guerra contro l’imperialismo» (p. 264).

Senza dimenticare le influenze che ebbero la politica internazionale del Paese, la vicenda legata alla formazione dello Stato d’Israele e la questione palestinese, oltre al conflitto arabo-israeliano che più volte infiammò la regione. Tarquini ricorda infatti che con l’operazione in Libano, avviata nel 1982: «buona parte della sinistra italiana mise sotto accusa non soltanto le scelte di una classe dirigente, di un governo e di un esercito, ma quelle di un intero popolo capace di uccidere» (p. 256)

L’autrice trattando inoltre gli anni Settanta affronta anche il modo aggressivo, per utilizzare un eufemismo, con cui i cosiddetti movimenti, che si immaginavano a sinistra delle forze canoniche affrontarono la questione ebraica: «per criticare la classe dirigente israeliana, i movimenti extraparlamentari fecero ricorso alla storia di un intero popolo, accusandolo di comportarsi come i suoi carnefici. Da allora, per buona parte della sinistra radicale, il confine fra il sionismo e l’antisemitismo non è mai stato una linea netta: si può accusare chiunque di commettere i crimini più efferati nella gestione di un conflitto, ma perché richiamare un’esperienza fuori contesto?» (p. 215).

Una particolare attenzione è dimostrata alla difficoltà della sinistra italiana di riconoscere la specificità della Shoah: «nella maggior parte dei casi, socialisti e comunisti, da sempre assimilazionisti e antisionisti, sottovalutarono la realtà dei Lager alla fine degli anni Trenta, nel dopoguerra elaborarono un giudizio sull’antisemitismo all’interno di categorie inadatte a comprendere la Shoah, parteciparono a quella rimozione collettiva per cui fino agli anni Sessanta il dibattitto pubblico italiano non si occupò di sterminio degli ebrei e quando iniziò a discuterne, lo fecero in modi decisamente riduttivi e superficiali» (pp. 188-189)

Ciò accompagnò le varie sinistre italiane accomunandole in una sostanziale insufficienza nel comprendere appieno come si fossero strutturati, e sovrastrutturati, i totalitarismi. Anche perché questo avrebbe comportato il fatto di considerare criticamente i propri legami con la dittatura sovietica. Il libro si conclude con considerazioni amare, di un rapporto che non è «sbocciato» e non è vissuto in termini di vicendevole ricchezza. Perciò la sinistra italiana: «a volte antisemita, molto più spesso indifferente, ha guardato e non ha visto gli ebrei» (p. 292).  Anche se rileva come l’antisemitismo della sinistra non sia stato come quello della destra.

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