III, 2020/2

Massimo Firpo, Germano Maifreda

L’eretico che salvò la Chiesa

Review by: Alessandro Paris

Authors: Massimo Firpo, Germano Maifreda
Title: L’eretico che salvò la Chiesa. Il cardinale Giovanni Morone e le origini della Controriforma
Place: Torino
Publisher: Einaudi
Year: 2019
ISBN: 9788806233570
URL: link to the title

Reviewer Alessandro Paris - FBK-ISIG

Citation
A. Paris, review of Massimo Firpo, Germano Maifreda, L’eretico che salvò la Chiesa. Il cardinale Giovanni Morone e le origini della Controriforma, Torino, Einaudi, 2019, in: ARO, III, 2020, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/2/leretico-che-salvo-la-chiesa-alessandro-paris/

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«Torrenziale, onnivora, scoraggiante». Così gli autori, Massimo Firpo e Germano Maifreda, presentano la loro monumentale biografia del cardinale milanese Giovanni Morone (1509-1580), autorevole diplomatico, ultimo presidente del Concilio di Trento, ma costantemente inseguito da accuse di eresia e colpito da un processo inquisitoriale nel 1555. Nunzio a più riprese nella Germania sconvolta dalla Riforma tra 1536 e 1555 e a lungo massimo conoscitore delle trame imperiali all'interno della Curia romana, fu inviato papale a Bologna (1544-1549), legato al Concilio nella prima fallita convocazione a Trento (1542-1543) e poi presidente delle ultime sessioni (1563-1564); ancora, tessitore delle trattative diplomatiche per l'alleanza che avrebbe portato alla battaglia di Lepanto e fautore della ricomposizione dei conflitti politici genovesi (1575-1576), nonché legato papale a Ratisbona per dirimere la controversia relativa al destino del Regno di Polonia-Lituania all'estinzione della dinastia degli Jagelloni (1576). Vescovo di Novara e di Modena, dove venne nominato la prima volta appena ventenne e affrontò «con desterità e mansuetudine» l'impegno pastorale, rivestì ruoli di primo piano nella Curia pontificia, interrotti soltanto dalla parentesi del processo inquisitoriale. Si occupò dell'organizzazione del Collegio Germanico a Roma, esercitò la protettoria della Santa Casa di Loreto, fu cardinale protettore di domenicani, benedettini cassinesi e cistercensi, nonché dei territori ereditari asburgici e d'Inghilterra, raccogliendo, negli anni Settanta, l'eredità dell'amico Reginald Pole, durante il breve ritorno del paese all'obbedienza romana.

Tuttavia, sino alla morte, «quel principe della Chiesa, ricco di talento ed esperienza, amico degli imperatori asburgici, ammirato dai re di Francia e di Spagna, da tutti riconosciuto come uomo di acutissimo intuito politico ed esemplare dirittura morale, dovette fronteggiare l'inestinguibile diffidenza causata dalle accuse di eresia di cui era stato fatto segno» (pp. XIV-XV). Nella sua vicenda umana e religiosa – sottolineano i due autori – «si riflettono come in uno specchio i conflitti interni, le tensioni, le pluralità delle scelte e degli esiti possibili, le contraddizioni emerse nel corpo malato dell'istituzione ecclesiastica quando la protesta di Lutero e il sacco di Roma le imposero di cercare la strada con cui uscire dall'abisso in cui era precipitata»; le conseguenze di tali scelte, poi, «ne avrebbero segnato fino a oggi la realtà istituzionale, l'autocoscienza storica e la prassi pastorale» (pp. XIX, XXIX).

Agli occhi della storiografia di matrice cattolica otto-novecentesca, che muoveva da chiari intenti apologetici (Ludwig von Pastor, Hubert Jedin), Morone costituiva «una figura imbarazzante, un simbolo dei laceranti conflitti che avevano diviso i vertici di una gerarchia ecclesiastica tornata a essere compatta e desiderosa di presentarsi come tale anche nel passato» (p. XXV). Altri tentativi di affrontare singoli ambiti della biografia e delle scelte religiose del cardinale milanese, come quelli intrapresi da Gustave Constant e da Federico Sclopis, e, più di recente, da Thomas F. Mayer e Patrick A. Robinson, non hanno sostanzialmente scalfito quest'immagine agiografica di Morone, quale «strumento del perenne istinto conciliare della Chiesa» (p. XXVIII).

In quest'ottica, la categoria di Controriforma comprende non soltanto il contrasto della Riforma da parte della Chiesa di Roma, ma anche i conflitti interni alla stessa Curia, a partire dalla lotta, avviata dal cardinal Gian Pietro Carafa e dai cardinali zelanti, «forti della poderosa arma inquisitoriale di cui avevano saputo munirsi, contro una riforma cattolica altra e diversa da quella che sarà definita tale in età postridentina» (p. XXIV).

È per tale motivo che i paradossi iscritti nella biografia di Morone, quel «continuo oscillare del pendolo politico e religioso» che segnò straordinariamente la sua carriera (salvatore del Concilio e candidato al Papato, ma al contempo a un passo dalla condanna definitiva del Sant'Ufficio tra le due convocazioni conciliari), riflettono in forme evidenti incertezze e conflitti che segnarono in profondità la storia della Chiesa del XVI secolo e che la caratterizzeranno anche nei secoli successivi. Tali contraddizioni possono essere sciolte solo ancorando alle fonti lo straordinario percorso biografico dell'ecclesiastico, celebrato dalla Chiesa tridentina come indispensabile, ma bollato a lungo come eretico. Nelle 1122 pagine di questo volume, compimento di un lungo processo d'indagine documentaria e di studi su singoli ambiti della vita del cardinale, la trama biografica è ricostruita sulla base di un enorme deposito documentario rastrellato nell'ultimo trentennio tra gli archivi europei, nonché grazie alla ricchissima fonte del suo processo inquisitoriale, la cui edizione si è dipanata tra 1981 e 2015, ed ha avviato, da tempo, ulteriori ricerche sugli spirituali italiani, sui rapporti tra Chiesa romana, Asburgo e Francia in Italia, sulla storia del Concilio.

Tra i ventisette capitoli del volume, accanto ai racconti delle vicende inquisitoriali e della breve stagione degli spirituali italiani, Firpo e Maifreda riservano ampio spazio agli ambiti  personali e familiari di Morone: dalla precoce formazione politica alle dinamiche patrimoniali, dai primi approcci con la Curia di papa Clemente VII (che vide in lui l'erede del talento politico del padre Girolamo) alla consistenza della sua famiglia cardinalizia e alla questione delle rendite finanziarie («Io tengo una casa, non una corte», precisava il milanese nel 1542), nonché alle disposizioni testamentarie e agli oggetti d'uso quotidiano elencati negli inventari. Si tratta di frammenti particolarmente preziosi, che permettono di indagare ulteriormente le convinzioni e le abitudini di quell'insondabile «pozzo di S. Patrizio» (come lo definì papa Paolo III), indiscusso protagonista della storia della Chiesa e della diplomazia europea nel Cinquecento.

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