III, 2020/2

Anna Grillini

La guerra in testa

Review by: Caterina Pesce

Authors: Anna Grillini
Title: La guerra in testa. Esperienze e traumi di civili, profughi e soldati nel manicomio di Pergine Valsugana (1909-1924)
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2018
ISBN: 9788815279804
URL: link to the title

Reviewer Caterina Pesce - Università di Padova

Citation
C. Pesce, review of Anna Grillini, La guerra in testa. Esperienze e traumi di civili, profughi e soldati nel manicomio di Pergine Valsugana (1909-1924), Bologna, Il Mulino, 2018, in: ARO, III, 2020, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/2/la-guerra-in-testa-caterina-pesce/

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Il libro di Anna Grillini tratta di esperienze e traumi di guerra subiti non solo dai soldati, ma anche dai civili e dai profughi del Primo conflitto mondiale nel manicomio di Pergine Valsugana. Un territorio di confine che oltre a vivere con particolare drammatica intensità l’esperienza della guerra conobbe la transizione da una realtà statale ad un’altra, con ciò che comportava in termini di spostamenti volontari e obbligati della popolazione. L’analisi delle cartelle cliniche del manicomio di Pergine ha permesso all’autrice di guardare a queste vicende da diverse prospettive e tenendo conto della pluralità di soggetti che vi furono coinvolti. In primo luogo ha messo a fuoco le caratteristiche assunte dallo «sguardo psichiatrico» negli anni del conflitto e la lettura che questo propose dei traumi di guerra dei soldati. Gli psichiatri procedettero in maniera incerta, muovendosi tra la necessità di mantenere un approccio organicista e il legame con la medicina, e di riconoscere l’esperienza della guerra quale fattore patologico, pur salvaguardando le esigenze generali della Nazione. Inoltre, per la prima volta, Grillini ricostruisce gli effetti che la guerra ebbe sulle condizioni di vita dei ricoverati, costretti a trasferirsi in altri istituti. L’evacuazione dell’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana è così inserita all’interno del generale esodo della popolazione trentina durante la Seconda guerra mondiale, sottolineando gli effetti che questo ebbe su soggetti fragili, spesso incapaci di tutelare se stessi. Molti non riuscirono a sopravvivere al trasferimento e alla degenza in istituti stranieri fortemente provati dal sovraffollamento e dalla povertà dovuta alla guerra. L’autrice, infine, ha concesso ampio spazio all’analisi del vissuto della popolazione, sia allo scoppio sia alla fine del conflitto. L’istituzione psichiatrica di Pergine Valsugana infatti si configurava non solo come l’ennesima istituzione volta ad accogliere la popolazione sofferente durante gli anni della guerra, ma anche come una struttura di confine protagonista di una difficile transizione da un assetto statale a un altro, oltre che scenario di esperienze belliche devastanti e di movimenti della popolazione. Le sofferenze si prolungarono ben oltre il conflitto, quando la popolazione poté finalmente fare ritorno alla propria terra. Il tema del «ritorno» a un ambiente completamente stravolto dalla guerra e per di più inserito in un altro assetto statale che procedeva con l’italianizzazione del territorio, emerge dall’analisi delle cartelle cliniche condotta da Grillini. Già la guerra aveva portato in ospedale psichiatrico persone la cui sofferenza aveva stimolato la riflessione degli psichiatri, ma all’indomani del conflitto numerosi furono i ricoveri causati dalla difficile riappropriazione dell’andamento 'normale' della vita. Ciò divenne oggetto di studio e di dibattito da parte dei medici, come testimoniato anche dalla pubblicistica. Grillini, tuttavia, sottolinea una tendenza secondo la quale il riconoscimento degli eventi bellici quale causa di sofferenza rimase una prerogativa esclusivamente maschile. Per le donne questa spiegazione venne negata. Eppure furono proprio loro ad affollare le mura manicomiali fino a cambiarne la compagine: se in precedenza i reparti femminili erano soprattutto abitati da contadine provenienti da difficili situazioni economiche, negli anni del conflitto, come riporta Grillini, cittadine, commercianti e casalinghe entrarono a far parte della popolazione manicomiale. Queste donne, pur non combattendo, avevano vissuto gli stravolgimenti bellici prodotti sul loro territorio, avevano organizzato il trasferimento dei propri cari in altri luoghi e all’indomani del conflitto erano tornate alle loro desolate case, non sapendo come e da dove ripartire. Ma tutto questo gli psichiatri per lo più lo ignorarono.

La molteplicità delle implicazioni di queste vicende, evidenziata dal lavoro di Grillini, oltre a colmare una lacuna nel panorama storiografico riconferma l’importanza degli archivi degli ospedali psichiatrici non solo per la storia della disciplina psichiatrica, ma anche per la storia contemporanea. Questo lavoro infatti fa luce non solo sulle caratteristiche delle istituzioni manicomiali e dei loro principali attori, gli psichiatri, ma anche su aspetti drammatici degli eventi bellici e sui vissuti di coloro che vi si trovarono coinvolti, una ricostruzione resa possibile dallo studio dei documenti degli ex ospedali psichiatrici.

A essere riconfermato è inoltre un altro dato, già emerso in storiografia: l’importanza di sottolineare il rapporto tra ogni istituzione psichiatrica e il contesto politico e sociale circostante. Gli eventi bellici, la transizione da una realtà statale a un’altra condizionarono l’andamento e l’organizzazione dell’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, in particolar modo all’indomani della guerra quando forte era la volontà politica di italianizzare il territorio altoatesino. In questa direzione si è dimostrata felice la scelta della ricercatrice di soffermarsi su un solo significativo case-study, analizzando in profondità le vicende che meglio evidenziano il rapporto tra l’ospedale psichiatrico e il suo contesto. Ne emerge la complessità della storia relativa alle istituzioni psichiatriche (intra ed extra ospedaliere), per la quale diviene difficile avanzare generalizzazioni senza tenere adeguato conto delle differenze e delle specificità di ogni singola realtà, e senza quindi confrontare una pluralità di studi che approfondiscano e analizzino ognuna di queste. Pluralità di studi che risulta sempre più significativa e che si spera possa essere sempre di più incoraggiata, in modo tale che una maggiore consapevolezza storica possa orientarci meglio nel presente. A tal proposito Grillini chiude il libro auspicando che questo patrimonio storico, relativo ad oltre un secolo di storia dell’ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana, possa costituire il motore di una riflessione attuale relativa alla psichiatria transnazionale e transculturale. In questo senso risulta senz’altro utile la scrittura chiara e fluida che compone queste pagine, rendendole di facile comprensione anche a un pubblico non specialistico.

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