Reviewer Massimo Rospocher - FBK-ISIG
CitationL’interesse per la dimensione spaziale della ricerca storica non è certo una novità. Basti pensare ad alcune tradizioni storiografiche, come quella francese, che vantano legami profondi e di lunga data tra discipline come la geografia e la storia, relazioni che si possono far risalire già alla prima generazione delle Annales, se non prima. Tuttavia, è innegabile che attualmente lo spazio rappresenti una categoria analitica fondamentale (e ubiqua) nell’ambito delle scienze umane e sociali. È infatti ormai da più di un ventennio che si discute di uno spatial turn in atto nelle discipline storiche [1] e, più in generale, della definizione di un ampio campo interdisciplinare descritto come spatial humanites – che coinvolge, oltre agli storici tout court, geografi, letterati, antropologi, sociologi, urbanisti, storici dell’arte, della scienza e dell’architettura.
Per orientarsi all’interno di questo panorama transdisciplinare dai contorni talvolta confusi, la traduzione inglese del volume di Susanne Rau, Räume: Konzepte, Wahrnehmungen, Nutzungen, apparso nella versione originale in tedesco nel 2013, offre un utile strumento di inquadramento metodologico, inserendo la categoria di spazio all’interno di un quadro teorico articolato e complesso.
Nel primo capitolo si cerca una delimitazione terminologica della nozione di spazio. L’autrice offre un’ampia rassegna che prende le mosse dalle definizioni dei filosofi dell’antichità (Aristotele e Platone), passando per quelle dei grandi geografi tedeschi ottocenteschi (tra i quali Carl Ritter e Alexander von Humboldt) o dei maestri francesi delle Annales (Lucien Febvre e Fernand Braudel, soprattutto), per giungere alle recenti concettualizzazioni di pensatori contemporanei (Henri Lefebvre e Karl Schlögl, tra gli altri). In questa sezione definitoria emergono con chiarezza alcune delle questioni che hanno reso lo spatial turn un approccio storiografico talvolta ambiguo. Tra queste, la difficoltà di trovare un vocabolario comune. In particolare, ad esempio, il binomio spazio/luogo (Raum/Ort in tedesco, space/place in inglese, space/lieu in francese) determina campi semantici non esattamente sovrapponibili tra una lingua e l’altra e anzi spesso tra loro contradditori.
Lo spazio, come evidenziato in apertura, costituisce una categoria e un oggetto di studio che appartiene non solo alla storia, ma anche a molte altre discipline. Nel secondo capitolo vengono dunque presi in esame i diversi approcci disciplinari alla categoria analitica dello spazio: nella geografia, nell’antropologia culturale e in particolare nella sociologia. È infatti nell’ambito di quest’ultima disciplina che l’analisi spaziale è divenuta una sorta di subdisciplina, con importanti contributi che vanno dalle opere classiche di Georg Simmel, alls concezione di espace social di Pierre Bourdieu, fino ai più recenti apporti di Anthony Giddens e Martina Löw. La ricezione di tali modelli teorici e paradigmi interpretativi sociologici in ambito storiografico ha avuto evidenti conseguenze epistemologiche, che non vi è qui lo spazio per riassumere.
Susanne Rau invita inoltre a riflettere su quali siano gli effetti più concreti di un’analisi spaziale nell’ambito della ricerca storica. In generale, secondo l’autrice, un’analisi spaziale consente di porre nuove domande e questioni, di osservare fenomeni e processi da altre prospettive, di generare diverse periodizzazioni e di guardare, in ultima istanza, alla storia con occhi differenti (pp. 78-79). Più nello specifico, tra gli effetti più evidenti sul mestiere dello storico vi è anche un nuovo approccio alle fonti. In quest’ottica, una crescente attenzione alla dimensione materiale dello spazio, prodotto di un rapporto sempre più stretto con l’archeologia e la storia dell’architettura, ha condotto gli storici sempre più fuori dalle proprie comfort zones (archivi e biblioteche), spingendoli nelle strade e nelle piazze, ma anche nei musei e nelle gallerie, per indagare le tracce dell’uso sociale dello spazio nelle epoche passate. In un’utile sezione (pp. 80-86) vengono elencate le possibili fonti utilizzabili per un’analisi spaziale del passato. Oltre agli spazi fisici, mappe, disegni, topografie e statistiche affiancano fonti più tradizionali come le descrizioni di città, i diari di viaggio, le fonti letterarie e quelle giudiziarie. Alcune di queste tipologie sono riprese nell’appendice documentaria a corredo del volume, che offre un’utile esemplificazione del tipo di domande e questioni che possono essere poste ai documenti. Dopo aver definito un quadro storiografico e segnalato un ampio ventaglio di fonti, l’autrice suggerisce anche delle possibili strategie analitiche. Lo schema investigativo si riassume in quattro punti fondamentali, intesi come passi successivi per procedere a un’analisi storica di un determinato spazio, essi prevedono l’individuazione di: 1. spatial types or configurations 2. spatial dynamics; spatial perceptions; spatial practices and uses of spaces (pp. 85-116).
In conclusione, la lezione più importante che questo volume invita a non dimenticare è che lo spazio non debba essere inteso come un’astrazione, ma come il prodotto dell’azione umana e della vita sociale. Allo stesso tempo, lo spazio (sia esso architettonico, urbano, geografico, fisico o mentale) non costituisce una mera scenografia immobile, un teatro per le azioni che vi svolgono, ma ne è un protagonista attivo, partecipe degli eventi e dei processi sociali.
Questo ottimo contributo non è privo di qualche imperfezione. Nel dettagliato quadro teorico definito dall’autrice, alcune affermazioni appaiono discutibili o quantomeno non del tutto aggiornate (forse anche in virtù del lasso di tempo trascorso dall’edizione originale). Ad esempio, viene lamentata la scarsa, o quasi assente, ricezione di una figura di rilievo come Henri Lefebvre, la cui opera più importante – La Production de l’Espace (1974) – è invece stata ampiamente discussa dalla più avveduta storiografia modernistica dell’ultimo decennio e costituisce forse la più influente teorizzazione relativa alla definizione dello spazio come spazio sociale, prodotto delle azioni degli attori che lo popolano e lo costruiscono [2]. Inoltre, nella traduzione emerge talvolta qualche evidente fraintendimento, come quando la nota teorizzazione di Manuel Castells dello «space of flows» viene resa con un fuorviante «space of streams» (p. 123) [3]. Infine, avrebbe potuto essere approfondito e rimane da teorizzare un approccio nell’utilizzo delle tecnologie geospaziali, tra cui soprattutto il Geographical Information Systems (GIS), e il relativo impatto sulla ricerca nelle scienze umane. Una colmabile lacuna che conferma come si tratti di un ambito di ricerca in costante evoluzione. Piccoli appunti, comunque, che nulla tolgono al valore di quest’operazione editoriale, la quale presenta a un pubblico più numeroso la possibilità di confrontarsi con questo vivace e innovativo approccio storiografico.
* il volume in lingua tedesca è stato recensito da Katia Occhi in "Annali dell'Istituto storico italo-germanico | Jahrbuch des italienisch-deutschen historischen Instituts", 40, 2014/1, https://aro-isig.fbk.eu/issues/2014/1/raume-konzepte-wahrnehmungen-nutzunge-katia-occhi/
[1] A. Torre, Un «tournant spatial» en histoire? Paysages, regards, ressources pour une historiographie de l’espace, in «Annales. Histoire, Sciences Sociales», 63, 2008, 5 pp. 1125-1144.
[2] Ad esempio: A. Vanhaelen - J. P. Wardaking (edd), Making Space Public in Early Modern Europe: Performance, Geography, Privacy, London - New York, Routledge, 2013.
[3] M. Castells, Grassroting the Space of Flows, in «Urban Geography», 20, 1999, 4, pp. 294-302.