Reviewer Marco Tamborini - Technische Universität Darmstadt
CitationIn questo pregevole breve testo pubblicato nel 2017 dalla casa editrice berlinese Mathes & Seitz, Henning Schmidgen, professore di Teoria dei media presso la Bauhaus-Universität di Weimar, sfoggia tutta l’ampiezza e la profondità dei propri temi di ricerca. Egli ci mostra come la storia della scienza si possa produttivamente unire alla teoria dei media, alla filosofia della scienza, all’estetica e alla letteratura. Il punto di contatto tra tutti questi temi è ciò che unisce gli undici brevi saggi raccolti nel volume: il ruolo degli esperimenti e delle macchine sperimentali in due diversi, ma fortemente collegati, campi del sapere: ovvero, nelle scienze e nelle arti.
A prima vista, il tema proposto in un volume di 220 pagine sembra molto pretenzioso e, apparentemente, contro corrente. Ciclicamente, filosofi e scienziati si sono cimentati nel tracciare i confini tra le scienze naturali, le pseudo-scienze e l’arte. Seguendo questa linea di pensiero, lo scienziato e romanziere inglese Charles Percy Snow (1905–1980) verso la fine degli anni Cinquanta del secolo scorso segnalò il gap tra scienze e arte come un crescente ed inesorabile divario tra due culture: quella delle scienze umane e quella scientifica.
Nel suo libro Forschungsmaschinen, Schmidgen tematizza questo contrasto, mostrando come in effetti non si possa parlare di due culture o di due sfere di sapere radicalmente separate. Al contrario, uno dei temi che unifica arte e scienza è l’uso di pratiche sperimentali. L’esperimento, quindi, che ha segnato la rivoluzione scientifica galileiana è in grado di colmare il presunto divario tra scienza ed arte.
A questa prima tesi proposta dall’autore ne segue un’altra altrettanto affascinante: sebbene la pratica sperimentale risulti rintracciabile sia nell‘arte sia nella scienza, non si può definire in modo unitario e omnicomprensivo cosa sia un esperimento. Ripercorrendo infatti la storia della scienza ci troviamo davanti a una infinità diversa di modi e pratiche sperimentali, difficilmente raggruppabili sotto la categoria unitaria di ‘esperimento scientifico’. Malgrado una definizione standard e universalmente accettabile sia impossibile da concepire o da rintracciare storicamente, nel suo testo l’autore ci invita a una mossa metodologica per capire in che modo l’esperimento possa essere identificato in svariati ambiti del sapere e quindi fatto oggetto di una riflessione teoretica.
In diversi casi studio, Schmidgen descrive come (de facto e de iure, per usare un lessico filosofico) scienziati, filosofi e artisti abbiano sperimentato in diverse epoche storiche. Partendo da questa indagine storico-filosofica, che non dimentica il contesto sociale in cui un esperimento è eseguibile, i media utilizzati nei vari esperimenti, e la validità di questa pratica, Schmidgen elabora una massima attraverso la quale comprendere cosa voglia dire sperimentare (e quindi come questa pratica si possa applicare sia all’arte sia alla scienza). Secondo l’autore, la macchina sperimentale è composta da qualsiasi struttura eterogenea di materiale e di componenti semiotiche che vengono temporaneamente combinati tra loro in modo da controllare le variabili in atto o coltivare e portare alla luce diverse e nuove esperienze. Ecco, dunque, che la flessibilità e la vaghezza dei confini con i quali l’esperimento è stato approcciato si rivela essenzialmente il pregio e il perno fondante dell’approccio sperimentale. L’incalcolabilità e l’imprevedibilità di cosa possa essere portato alla luce una volta messa in moto la macchina sperimentale è ciò che accomuna il procedere dello scienziato e quello dell’artista. Entrambe queste figure mettono in moto un insieme di media e pratiche in grado di portare a manifestazione una dimensione nuova (un possibile explanandum nel caso dell‘esperimento scientifico o una dimensione invisibile nel caso di quello artistico).
Il libro di Schmidgen è fortemente consigliato per due ragioni. In primo luogo, l’autore ci propone un metodo con il quale avvicinarci allo studio della teoria della scienza. I saperi vanno storicizzati, esaminati attraverso una scomposizione dei diversi media impiegati dagli scienziati e analizzati in ogni loro singola parte costitutiva (epistemica, sociale, estetica, ecc.). Solo mediante questo sguardo analitico, che, tuttavia, non offre mai un’analisi completa ed esaustiva del fenomeno che si analizza, si possono portare alla luce i possibili collegamenti tra i diversi campi del sapere e indagare quindi quale ruolo abbiano pratiche e concetti transdisciplinari come, ad esempio, quello dell’esperimento.
In secondo luogo, il testo ci mostra quali siano gli ambiti d’indagine e i luoghi del dibattito dell’odierna storia e teoria della scienza. L’indagine sulle condizioni di possibilità del sapere, tema portante della filosofia della scienza da Kant in poi, rimane ancora centrale. Queste condizioni però assumono una concretezza essenziale. Esse vengono materializzate e sono perciò visibili e rintracciabili in diversi ambiti della produzione del sapere. L’indagine storico-filosofica inoltre non deve necessariamente essere condotta in modo esaustivo e conclusivo. Al contrario, anche piccole narrazioni pubblicate perfino in organi non prettamente filosofici (come per esempio cataloghi di mostre o interventi on-line) possono e devono essere condotte. Esse fungono da veri e propri esperimenti collegando diversi media con una semantica. Se messe in moto attraverso la ricezione critica del pubblico, sono inoltre in grado di mostrare nuovi aspetti della realtà.