II, 2019/3

Sylvio Hermann De Franceschi

Morales du Carême

Review by: Claudio Ferlan

Authors: Sylvio Hermann De Franceschi
Title: Morales du Carême. Essai sur les doctrines du jeûne et de l’abstinence dans le catholicisme latin (XVIIe – XIXe siècle)
Place: Paris
Publisher: Beauchesne
Year: 2018
ISBN: 9782701022680
URL: link to the title

Reviewer Claudio Ferlan - FBK-ISIG

Citation
C. Ferlan, review of Sylvio Hermann De Franceschi, Morales du Carême. Essai sur les doctrines du jeûne et de l’abstinence dans le catholicisme latin (XVIIe – XIXe siècle), Paris, Beauchesne, 2018, in: ARO, II, 2019, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/3/morales-du-careme-claudio-ferlan/

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La Quaresima costituisce un momento simbolo del cattolicesimo. Istituita per preparare i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale, essa rappresenta un periodo di purificazione e di rafforzamento morale nel corso del quale il cristiano esercita le proprie virtù attraverso il compimento di tre tipologie di buone opere: preghiera, elemosina e digiuno.

Proprio sul digiuno e sull’astinenza (che sono due cose affini ma diverse) si concentra Sylvio Hermann De Franceschi, che nello scriverne la storia esplora un’evoluzione morale fondamentale per cui il cattolicesimo si è progressivamente privato della propria dimensione penitenziale tra la fine del XVII e la metà del XIX secolo (p. 58). Questa privazione progressiva, che tocca l’insieme dei precetti morali, non solo quelli quaresimali, e il digiuno, non solo quello quaresimale, si rivela un punto d'osservazione davvero privilegiato per comprendere l’ampiezza e il ritmo del movimento per cui le società occidentali hanno modificato il proprio rapporto con il credo cristiano. Con «società occidentali» si intendono qui soprattutto quella francese e quella italiana, le quali costituiscono il centro dello studio, con la fondamentale inclusione della Santa Sede. Nel sottotitolo l’autore ha scelto di utilizzare la dicitura «cattolicesimo latino», giustificata anche dai non rari riferimenti alla teologia spagnola e alla sua importanza per la regolamentazione della materia oltreoceano. L’obiettivo del libro è quello di individuare il cuore di tale movimento di modifica (p. 66), prestando principalmente attenzione alla progressiva distanziazione tra norma e prassi, indagando la prima attraverso testi normativi e teologici e la seconda tramite lo studio di prediche ed editti quaresimali. Tale duplice attenzione risulta utile anche per rispondere alla fondamentale domanda su quanto pervenisse al singolo fedele, magari analfabeta, della sottile disciplina delle privazioni alimentari dottamente portata avanti a suon di trattati di teologia e diritto canonico.

Il volume si apre con un’esaustiva introduzione, che costituisce agile ma ineccepibile ricostruzione storica del digiuno ecclesiastico tra storia moderna e contemporanea. Seguono tre corpose parti che si presentano quasi come degli studi a sé. La prima è dedicata soprattutto alle ordinanze dei vescovi francesi. Difensori dei precetti quaresimali, essi insistono in maniera unanime sui richiami alla Chiesa primitiva e al digiuno vissuto, quasi con gioia, come opportunità di penitenza e mai come limitazione alla libertà individuale del credente. Nella seconda lo sguardo si sposta sull’Italia e sulla Santa Sede, mentre la terza è dedicata alla sconfitta del rigorismo, simboleggiata dalla teologia "ragionevolmente indulgente" di Alfonso de Liguori (p. 469).

Il filo rosso che lega le tre parti è l’analisi del cambiamento, inteso come passaggio dal rigore normativo alla rilassatezza dei costumi. I momenti che segnano il processo di trasformazione sono molti, a partire dai decisi attacchi protestanti (luterani e calvinisti) contro l’astinenza e il digiuno, considerati comportamenti in sé virtuosi, ma utilizzati dalle gerarchie ecclesiastiche per vincolare i fedeli a comportamenti insensati, facendo loro credere che la fede fosse una questione di buone opere. Altro punto decisivo è, all’opposto, l’emergere del giansenismo con la sua vibrata e reiterata protesta contro la facilità di concessione delle dispense. Risultano invece meno agevoli da censire i contrasti interni alla Chiesa cattolica, in quanto sempre presenti nel lungo periodo e destinati a emergere con diverso vigore a seconda dei tempi e dei luoghi. Si pensi alla violenta lotta che, soprattutto nel Settecento, oppose  rigoristi e casuisti, questi ultimi prevalentemente Gesuiti, quando alla fedeltà alla tradizione dei primi si contrapponeva l’indulgenza dei secondi, convinti della necessità di rassicurare i fedeli e di rendere loro sopportabile una disciplina ecclesiastica divenuta con il tempo sempre più stretta, non al passo con i tempi si potrebbe dire. Ma non basta: l’inosservanza delle norme su digiuno e astinenza venne vista anche come uno dei segnali dell’irreligione, secondo un cambio di prospettiva avvenuto  anch'esso principalmente nel tardo Settecento, quando per teologi e pastori si trattava di tutelare non più tanto il rigore morale all’interno dell’osservanza quanto piuttosto il cattolicesimo stesso.

Il tentativo dei difensori del rigorismo di fare del digiuno un reale (non solo formale) elemento identitario del credo cattolico fallì. Nel corso del periodo studiato da De Franceschi mutò la forma stessa dell’inosservanza delle regole quaresimali: da segno della resistenza alle imposizioni canoniche da parte di spiriti liberi o dissidenti essa si trasformò lentamente in cancellazione della morale cristiana dalle coscienze. Questo fu il risultato della dissonanza tra norma e prassi, il segnale del trionfo dell’abitudine. I costumi dei credenti si emanciparono sempre più dalla sorveglianza dell’autorità ecclesiastica o parrocchiale. Si tratta di un processo ancora oggi in atto, di una sorta di lenta erosione del controllo del quale si può prevedere, e forse anche percepire, uno stacco definitivo. Segnali importanti in questo senso furono registrati per esempio dai vescovi francesi nominati dalla monarchia della Restaurazione. Essi si trovarono a combattere una battaglia persa contro la prassi per ristabilire nel paese l’osservanza della disciplina quaresimale (p. 212); di fronte alla superiorità dell’avversario non rimase che accontentarsi di promuovere il rispetto di regole assai addolcite. Questo cambio di atteggiamento, secondo l’autore, fu un passo decisivo per la "folklorizzazione" della Quaresima (p. 194), conseguenza del progressivo distacco tra morale e religione, testimoniata per esempio dalla normalizzazione delle dispense di magro, motivo di scandalo nell’Antico Regime e considerate invece normali nel periodo post-rivoluzionario.

Nell'impresa di invertire il processo non riuscì neppure l'intervento papale, il "momento Benedetto XIV" come lo definisce De Franceschi (308), segnato dalle due encicliche in difesa della morale quaresimale datate 1741 (Non Ambigimus, 30 maggio e In Suprema Universalis, 22 agosto): il nocciolo della questione verteva attorno alle domande sull’unico pasto quotidiano e sull’astinenza dalle carni. Le norme molto chiare miravano a restaurare una disciplina da tempo indebolita e il loro orientamento rigorista fu ben accolto dall’episcopato, ma l’applicazione delle regole si scontrò con notevoli distorsioni nella percezione del dettato delle encicliche, di per sé piuttosto esplicito. Ciò dimostrava ancora una volta l’ormai consolidato dominio della prassi, così distante dal rigorismo dei secoli precedenti, tanto estraneo al basso clero e ai fedeli da risultare inconcepibile anche all’interno di una disciplina canonica dettata di propria mano dal pontefice giurista.

La preoccupazione di dare conto nel dettaglio di pronunce, opinioni e scritti di gran parte di teologi e prelati di età moderna porta l’autore ad abbondare nelle citazioni e nell’analisi di testi tra loro anche molto simili. Si tratta certo di una scelta comprensibile, volta ad approfondire il più possibile il tema di ricerca e a mostrare le strade della circolazione del sapere, ma che può rendere la lettura talvolta non agevole. Morales du Carême richiede tempo per una lettura approfondita, magari ripetuta, e anche per questo si pone come un punto di riferimento irrinunciabile nella storiografia sul digiuno ecclesiastico di età moderna.

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